LE PREVISIONI IMPOSSIBILI di G.P.

 

Nessuno ha mai chiesto agli economisti di saper leggere nella sfera di cristallo. Questa prerogativa hanno voluto abbottonarsela loro stessi sul petto, come una medaglia al valore, per apparire, a tutti i costi,  giganti di scienza, nonchè coltissimi uomini dal sapere illimitato, al cospetto dei quali l’umanità minuscola e incompetente (di cui noi tutti facciamo parte) era tenuta a mostrare massima riverenza. Proprio loro, gli intimamente avulsi all’insegnamento socratico secondo il quale, giusto per cautela, è sempre meglio sapere di non sapere o almeno fingere che sia così.

Quel che più fa specie di questi professoroni, la cui autorevolezza è andata a farsi benedire insieme a tutte le loro sicumere, è che di fronte agli innumerevoli errori di previsione sulla crisi in corso e ai conseguenti vaticini consolatori – richiesti da quella stessa committenza che li ha portati in auge – non hanno ancora smesso i panni dei primi della classe. Essi, pur essendo nudi e screditati a causa delle loro stesse grossolanità, continuano ad aggirarsi come profeti, appena un po’ depressi, nei Talk show e nelle conferenze tematiche dove possono adularsi, nonostante il mondo lì fuori li abbia abbondantemente sbugiardati.

Per questo, e a ragione, Tremonti ha parlato di azzeramento del capitale intellettuale degli economisti, i quali dopo aver sostenuto che tutto andava per il meglio, che la crisi economica aveva la stessa consistenza di un temporale estivo, che i fondamenti del sistema internazionale erano più saldi che mai, accennano ora, con troppo ritardo e travolti dalla realtà, a rivedere “qualcosa”. Ma questo “qualcosa” è una capriola di 180° che stravolge ogni loro convinzione. Gli analisti economici hanno cambiato il testo del loro rosario, passando, con esigua convinzione e molta convenienza, dalle orazioni pro libero-mercato a quelle a favore di un più incisivo intervento del pubblico.

Certo, è vero che solo gli stolti non cambiano idea, ma transitare dal sostegno cieco al laissez faire alle istanze reiterate per un intervento regolativo del mercato (da parte di un organo che, fino a ieri, rappresentava, col suo peso burocratico, una iattura oltre che impedimento al libero sviluppo delle forze produttive e alla circolazione delle merci), senza nessuna autocritica delle posizioni precedenti, costituisce una vera e propria metamorfosi psichica.  

Persino la rivista Nature, come riporta un articolo di Giancarlo De Vivo pubblicato sul sito www.economiaepolitica.it, sostiene, senza mezzi termini, che è necessaria una rivoluzione scientifica in economia in quanto, fino ad ora, tutto ciò che si è spacciato per scienza pura è stato, al massimo, un travestimento ideologico di dogmi e atti di fede con poca sostanza scientifica. Tuttavia, non credo, come sostenuto nell’articolo di De Vivo, che il problema riguardi soltanto gli economisti liberisti. L’improvvisazione aleggia un po’in tutte le scuole di pensiero, assumano esse un approccio keynesiano più demodé o, invece, uno orientato alle convinzioni mercatiste, tanto a la page solo fino a qualche tempo fa.

Del resto, basta andarsi a leggere i numerosi rapporti stilati dai vari centri studi economici per capire che, ovunque, regna confusione e improvvisazione.  C’è concordanza da parte degli esperti nell’annunciare uno scossone sistemico di non immediata risoluzione, ma quasi nessuno di essi rinuncia a diffondere previsioni ottimistiche, al solo fine di non alimentare il panico. Ma è proprio il ricorso agli elementi umorali, quali il panico o la fiducia dei consumatori, che segnala lo sconfinamento dell’ideologia nella scienza. Questi fattori, improvvidamente tirati in ballo quando si perde la bussola, sono al massimo capaci di retroazione sulle cause reali implicate nell’instabilità dell’intero edificio dell’economia mondiale.  

Noi del blog abbiamo spesso pubblicato i bollettini sulla crisi dei ricercatori del Leap, i quali, hanno tratteggiato, a più riprese, uno scenario a tinte fosche rispetto alla situazione economica globale. Questi ricercatori hanno stimato che la debacle economico-finanziaria avrà una lunga durata e si iscriverà in un decorso addirittura decennale. Oggi, invece, vi sottoponiamo il rapporto redatto dal Centro Studi Economia Reale, di Mario Baldassari (economista vicino al PDL) per il periodo 2009-2011, che abbozza tutt’altro tipo di sviluppo della crisi in atto.

Diciamo subito che in questo documento le previsioni sono molto meno pessimistiche. Il 2009, si legge nel rapporto, sarà l’anno di una crescita negativa per quasi tutti i paesi occidentali e per l’Europa in particolare, la quale risentirà, più di altre aree, della durezza della crisi. Tuttavia, già a partire dal 2010 la situazione migliorerà. Nelle tabelle che seguono riportiamo i dati sul Pil attinenti alle diverse aree dell’economia mondiale e a quella dei paesi europei, così come elaborate da tale Centro Studi.

TAVOLA – 1 – PREVISIONI INTERNAZIONALI

ANNI

2008

2009

2010

2011

2012

Crescita PIL Stati Uniti

1,3

-0,4

2,5

3,6

3,8

 

Crescita PIL Cina

9,2

8,4

8,7

8,9

9,2

 

Crescita PIL India

7,7

6

7,6

8,4

8,6

 

Crescita Pil Unione Europea

1,3

-0,6

1,3

2,3

2,6

 

Crescita Area Euro

1

-0,5

1,2

2

2,3

 

 TAVOLA – 2 – PREVISIONI TENDENZIALI AREA EURO:CRESCITA PIL %

ANNI

2008

2009

2010

2011

Unione Europea a 27 

 

1,3

-0,6

1,3

2,3

AREA EURO

1

-0,5

1,2

2

 

GERMANIA

1,3

-0,7

1,1

1,8

 

FRANCIA

0,9

-0,4

1,2

1,9

 

ITALIA

-0,4

-0,8

0,5

1,3

 

SPAGNA

1,2

-1,2

1,2

2,8

 

Come si può vedere il 2009 si annuncia negativo per gli Usa (-0,4%) e per l’Unione Europa (-0,6%), mentre Cina ed India subiranno una diminuzione del Pil, rispetto ai livelli del 2008, rispettivamente di uno 0,8% e di un 1,7%, pur sempre attestandosi sopra livelli di crescita inimmaginabili per economie pienamente sviluppate come le nostre (8,4% per la prima e 6% per la seconda).

I dati sui paesi europei ci dicono, invece, che l’Italia peggiorerà ancora i livelli del suo PIL, da un -0,4% del 2008 ad un meno -0,8% nel 2009. Peggio di noi farà solo la Spagna investita dalla crisi del settore immobiliare (-1,2%). Dietro questi numeri si nasconde, per l’Italia, una diminuzione di posti di lavoro per almeno 200.000 unità.

Ciò che non convince di questo rapporto sono le previsioni per il 2010. A partire da questo periodo tutte le economie dei principali paesi occidentali tornerebbero a crescere. Già nel 2010, si legge, gli Usa si riporterebbero in positivo con un PIL attorno al 2,5% (superiore ai livelli del 2008), mentre l’Europa si attesterebbe sugli stessi livelli di crescita del 2008 (1,3%). Anche l’Italia tornerebbe in positivo, ma con un misero 0,5%. I dati forniti da Baldassari stridono con le previsioni fatte dai ricercatori Leap e riportate sul nostro blog in questi mesi. In sostanza, il rapporto nega che siamo in presenza di una crisi economica peggiore di quella degli anni ’30, come da più parti annunciato.

Ovviamente, non sono un esperto e quindi prendo posizione con molta cautela ma, a mio modo di vedere, difficilmente la crisi potrà risolversi nel 2010. Più azzeccata mi sembra la previsione del documento del Centro Studi sulla capacità degli Usa di riuscire a tirarsi fuori dalla crisi molto prima dell’Europa. Quest’ultima pagherà lo scotto delle sue divisioni interne e dell’incapacità di agire unanimemente a livello politico-strategico ed economico. Lo stiamo vedendo in questa prima fase di gestione dell’emergenza economica, con gli organi europei che continuano a ritardare, a quasi tutti i livelli, le grandi decisioni utili a risalire la china.