Lo scandalo VW e le ambiguita’ tedesche (di A. Terrenzio)

europa

In un editoriale del Financial Times, Wolfang Munchau sostiene che lo scandalo VW abbia tutte le potenzialità per innescare delle trasformazioni, in grado di cambiare la realta’ economica tedesca.

Secondo il noto giornalista tedesco, lo scandalo della casa di Volfsburg potrebbe creare delle ripercussioni, tutt’altro che passeggere.

Con una multa da 18 miliardi di Euro addebitata dagli Usa, il 20% di perdita in borsa e le immediate dimissioni del CEO Martin Winterkorn, “la Fukushima tedesca”supererà l’ammontare di 100 miliardi di Euro.

Ma la cosa piu’ rilevante, evidenzia sempre Manchau, e’ che lo scandalo avrebbe tutte le potenzialita’ per scardinare il modello economico tedesco.

La Germania, infatti ha posto troppo affidamento sull’industria dell’auto, cosi’ come quest’ultima e’ stata eccessivamente dipendente dalla tecnologia diesel. Sempre secondo l’editorialista tedesco, questo fattore sarebbe uno dei punti di maggiore vulnerabilita’ del suo intero sistema industriale.

Inoltre la VW sta mancando l’obiettivo del boom di vendite negli Usa, e se le perdite commerciali iniziassero ad accumularsi,potrebbero facilmente superare i costi di qualsiasi risarcimento legale. Per mantenere le quote di mercato, la VW dovrebbe praticare sconti sui prezzi di listino che uniti a bassi volumi di vendita’ creerebbero una spirale di cali di profitti. Ipotesi ben peggiore sempre secondo Manchau, sarebbe addirittura una svendita di attivita’ al fine di pagare i risarcimenti danni e le sanzioni. Tutto cio’ comporterebbe diversi rischi dal momento che gruppi controllati dalla casa di Volfsburg, come Seat in Spagna e Skoda in Rep.Ceca ne condividono la tecnologia.

Per far fronte all’eventualità’ che gruppi stranieri, potrebbero tentare la scalata (l’FCG di Marchionne?), il sistema politico tedesco potrebbe ricorrere ad una serie di aiuti di Stato, che a lungo andare risulterebbero molto costosi ed impopolari.

La poca flessibilita’ dell’industria tedesca inoltre, potrebbe favorire paesi con un’industria piu’ dinamica e versatile, come Francia ed Italia.

Qui cercheremo di capire, quali siano state le reali ragioni di tale attacco alla Germania, da parte di ambienti americani.

La Germania, in questi ultimi mesi, sembra aver creato dei grattacapi a Washington, su una serie di questioni internazionali, come l’apertura ad Assad, e la sua inclusione nei colloqui di pace in Siria; la disponibilita’ al dialogo con Mosca, per una risoluzione del caos Ucraino; e, soprattutto, i tentennamenti sul trattato di commercio transatlantico (TTIP).

Da molto tempo, su queste colonne, andiamo ripetendo, quale sia, uno degli incubi peggiori che tolgono il sonno ai falchi del Council of Foreign Relations: una Germania troppo forte che con un’alleanza con la Federazione Russa, sarebbe in grado di porre fine all’unipolarismo americano.

Il reale motivo del “dieselgate”, appare quindi, quello di indebolire la Germania, diventata troppo forte in Ue.

Cosi’ come gli Usa, non hanno esitato a compiere aperture storiche, nei riguardi dell’Iran, per creare un bilanciamento di forze in Medioriente, andando anche contro i propri alleati regionali, come Turchia, Arabia Saudita ed Israele, cosi’ li vediamo attuare la stessa strategia in Europa, andando a colpire la Germania nel cuore della sua macchina industriale.

L’idea principale dei falchi americani rimane sempre assicurasi, che un attore regionale, non diventi troppo indipendente, che non sviluppi intenzioni diverse dal ruolo previsto dalla strategia Usa.

Malgrado le finalita’ strategiche statunintensi, appaiano ben chiare, il ruolo della Germania della Merkel rimane davvero difficile da decifrare.

Pur riconoscendo il dato di fatto che essa abbia le “mani legate” dal padrone americano, pronto a frenare aspirazioni di indipendenza strategica, non possiamo fare a meno di rilevare una serie di elementi che lasciano piu’ di un dubbio sul ruolo di paese guida di Berlino, all’interno di quest’Ue sempre piu’ divisa e squilibrata.

Come ricordato anche da Vladimiro’ Giacche’, la creazione di quest’Ue ha di fatto rappresentato un allargamento dell’egemonia tedesca, esattamente come accaduto nel ‘90 con la DDR.

Anche noi italiani abbiamo potuto constatare come il nostro paese, a partire dall’ingresso nella moneta unica, abbia iniziato un declino inarrestabile che sta letteralmente demolendo la nostra economia, a partire dai suoi pezzi pregiati dell’alta industria e del manifatturiero.

Le politiche di rigore e di austerita’ hanno complicato la vita a molti membri dell’Ue e letteralmente affossato la Grecia. Rigore, “stranamente” risparmiato all’Ucraina. In queste queste Berlino ha molte colpe.

Per non tacere del ruolo avuto dalla Merkel in combutta con Obama e Napolitano, nel disarcionare Berlusconi, nel golpe del 2011.

Non tralasciamo nemmeno il comportamento ostile della Germania nei riguardi della Russia di Putin sulla situazione ucraina, l’applicazione supina delle sanzioni, dopo l’abbattimento del boeing malese su Donetsk, ed infine i tardivi accordi di Minsk, dove solo per paura di una reazione russa la Merkel e’ corsa ai ripari.

Poi c’è stato il comportamento egoista ed ipocrita sull’emergenza dei migranti, dapprima “scaricati” all’Italia ed alla Grecia, ed in seguito accolti, sempre con il massimo dell’ipocrisia, su suolo germanico come manodopera a buon mercato.

Non dimentichiamo l’ultimo regalino agli Usa di Berlino, venti ordigni nucleari dislocati nella base militare di Buchel, in Renania-Palatinato, che ha avuto l’effetto di alterare l’equilibrio strategico, come sostenuto dal portavoce del Cremlino, Dimitri Peskov.

L’ambiguita’ tedesca, appare così in tutta la sua evidenza.

L’asse Berlino/Mosca, con questi presupposti, si allontana dall’orizzonte delle possibilità.

Una vera soluzione dei problemi europei potrà’ prospettarsi solo a partire dalla ristrutturazione degli attuali rapporti di forza nel Vecchio Continente, con una Germania finalmente consapevole delle sue potenzialità geopolitiche, pronta a mettersi in competizione con Washington, anziché al suo servizio.