MANOVRE DI UN CAPITALISMO IN AFFANNO di G. La Grassa

Pochi anni fa, con la pura scusa dei “furbetti del quartierino”, venne liquidato Fazio e messo al centro del sistema bancario quello che ho sempre indicato – per carità, con i normali margini di errore – l’“uomo degli americani”. Lasciando stare le motivazioni apparenti (certo ben scelte perché nessuno vorrà mai difendere i Fiorani e i Ricucci), ho sempre ritenuto che si sia trattato di un pezzo della battaglia tra finanza vaticana (ma non certo da sola) e quella americana (alcune parti di essa). Gli obiettivi di tale battaglia, nella loro generalità ma anche genericità, potrebbero forse essere indicati, ma molto sommariamente; di conseguenza, non vale adesso la pena di scervellarsi per “indovinare” retroscena assai incerti. Importante è invece ricordare che la motivazione principale allora addotta per liquidare Fazio – su cui inscenò, fra gli altri, una delle sue sceneggiate, a “capigliatura fluente” e buttata all’indietro con “grazioso” movimento del capo, l’ineffabile ex presidente della Confindustria – fu la sua troppo “rozza” difesa dell’italianità di due banche italiane concupite da spagnoli e olandesi; e questo mentre eravamo in piena virtuosa globalizzazione dei mercati, in particolare finanziari, che ha portato alla deteriore situazione odierna.

Oggi il clima è cambiato e l’italianità è tornata di moda, e non solo per il governo di centrodestra. Sono certissimo che, come le “virtù” della globalizzazione, anche quelle dell’italianità sono solo il paravento di manovre di potere, i cui contorni tralucono qua e là talvolta, ma restano di difficile interpretazione nell’empirica concretezza delle svolte che subiscono da un mese (se non da un giorno) all’altro. L’importante è sapere che a nessuno interessa, in sé e per sé, né globalizzazione né italianità; e tuttavia, se per la cosiddetta “eterogenesi dei fini”, alcune aziende non irrilevanti resteranno italiane, ma solo “ufficialmente” nella loro mera espressione legale, è forse sempre un po’ meglio – ma un po’, solo un po’, fin che non cambia la politica italiana, cioè fin quando non riuscisse a nascere una dura nuova forza politica interessata veramente al sistema-paese, in grado di spazzare via i codardi e succubi di entrambi gli schieramenti attuali – che se cadono in altre mani.

L’Alitalia resterà italiana; così si assicura. Bene (appena un po’ bene, lo ripeto), se ciò accade. Mi auguro che adesso quelle organizzazioni “mafiose” che sono diventate i sindacati non si oppongano frontalmente; solo contrari, senza proposte alternative credibili, ai previsti 5000 esuberi, magari strillando che Air France ne annunciava poco più di 2000. Ho buona memoria per ricordare i sindacati accusare la compagnia francese di truccare le carte, poiché gli esuberi erano almeno 5-6000; anzi ci si spingeva fino sventolare la cifra di 7-8000. Quindi, bando alla malafede e alla faziosità di questi apparati tipici dell’Alzheimer che ha colpito il “movimento dei lavoratori” italiani. Però non basta alcuna italianità (fra l’altro formale), se non si capisce a che cosa è funzionale; non comunque a mantenere posti di lavoro pagati puramente da soldi attinti alla spesa statale, senza nessuna finalità produttiva e di servizio reso al rilancio del sistema complessivo; un salvataggio così tanto per sopravvivere e fingere “occupazione” che impoverisce l’insieme e che quindi, in un appena più lungo periodo di tempo, riproporrà gli stessi problemi aggravati e con disoccupazione assai più ampia. I sindacati attuali sono esattamente come quei capitalisti che sfruttano l’occasione per guadagnare il più possibile nel più breve tempo possibile, inaridendo le fonti di un minore ma più duraturo lucro, per di più crescente nel tempo. E’ giusto affrontarli a brutto muso; ma per questo, temo sia necessaria la “dura nuova forza politica”, oggi inesistente, di cui parlavo sopra.

 

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Anche sulla Telecom si sta svolgendo battaglia. L’attuale dirigenza la vuole mantenere italiana; qui i suoi scopi del tutto particolari di gruppo di potere sono assai evidenti, e l’italianità non appare nemmeno come “foglia di fico”. Gli spagnoli di Telefonica scalpitano, e così pure Fossati e altri soci italiani (adesso da questa parte si schiera anche Benetton, a quanto sembra). D’altra parte, bisogna ammettere che tale azienda è veramente in stato comatoso; nell’ultimo anno, come “consumatore”, m’ha creato tanti di quei problemi sottraendo ore e ore del mio tempo (non so quanti giorni se sommate insieme) ad attività più divertenti e utili. Le telecomunicazioni sarebbero un settore vitale per l’economia del paese – non meno di quello energetico (Eni ed Enel), di quello elettronico (Finmeccanica), di quello cantieristico, ecc. – ma non certo con le politiche di “rapina” della Telecom, priva di un piano industriale minimamente serio e credibile, con una montagna di debiti che si cerca di ripianare a furia di imbrogli a danno degli utenti e magari, alla fine, tendendo la mano all’elemosina statale; o legandosi, tramite i “padroni finanziari” (tipo Intesa), a interessi americani pur nella finta “proprietà giuridica” italiana.

Al momento, è impossibile prendere una posizione – sia pure di “male minore” – su questa catastrofica azienda. Forse la prima cosa sarebbe riuscire ad azzerare il potere dell’attuale gruppo dirigente e della finanza che ci sta dietro. Poi ricominciare da capo un discorso complessivo e di interesse veramente nazionale; mi sembra che siamo mille miglia lontani da simili prospettive. Ancora una volta, ripeto: ci vorrebbe la “forza” di cui sopra; altrimenti, in questo paese di mediazioni sfibranti, di banditelli da “Chicago anni ‘20”, non si va avanti.

 

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Rispetto a questi problemi, è mossa proprio del tutto indipendente, e soltanto orientata da fini di maggior efficienza, quella che ha patrocinato Bankitalia, subito seguita da Geronzi in Mediobanca (con una debole resistenza, e quindi significativa in questa sua debolezza, dell’Unicredit e di dati gruppi manageriali)? Ricordo brevemente. Solo un paio d’anni fa o poco più, si era montato l’organetto rispetto alle meraviglie della nuova governance duale che aveva caratterizzato le fusioni (reali incorporazioni) tra Intesa e San Paolo e tra Unicredit e Capitalia. Il duale prevede un Consiglio di Gestione, “ufficialmente” in mano al management, e un Consiglio di Sorveglianza, “ufficialmente” controllato dai soci (i capitalisti proprietari). “Magnifico”! I manager avrebbero autonomia per non sottostare alla miopia di soci eventualmente interessati soltanto agli utili; i proprietari avrebbero titolo e forza per difendere questi utili da eventuali politiche aziendali poco attente a simile decisivo aspetto del funzionamento capitalistico. Una “trovatina” strombazzata in pompa magna, presentata come un vero colpo di genio del nostro capitalismo “inventivo”.

Adesso, “vade retro Satana”. Il duale è pessimo, consente l’irresponsabilità del management, bisogna tornare all’antico con il classico Cda (consiglio di amministrazione), l’amministratore delegato, il direttore generale, ecc. La carica è stata suonata da quello che io penso come “uomo degli americani” al vertice del sistema bancario italiano; Geronzi (Mediobanca) si è reso “punta di lancia” del progetto, in accordo con il suo (solo un tempo?) “avversario” Bazoli (Intesa), pur se questi si è dimostrato più “tranquillo” (forse appunto deve concentrarsi maggiormente su Alitalia e su Telecom); Profumo (Unicredit) ha manifestato appoggio ai manager dissenzienti – perché esautorati di un bel pezzo di potere – ma mi pare che accetti la “sconfitta”, in una battaglia forse di facciata (o forse no? Comunque, è sconfitto).

Naturalmente, il ritorno all’antico non significherà – così si sostiene nelle “alte sfere” – lasciare i manager in balia dei “miopi” proprietari solo interessati agli utili; ci saranno marchingegni vari, controlli, regole da rispettare, per garantire un “giusto” equilibrio di potere, per salvaguardare anche le prerogative dei manager. I quali ci credono poco e mugugnano poiché sanno bene quale fregatura stanno prendendo; sia chiaro, però, non brontolano per salvaguardare con dignità le loro specifiche capacità di dirigenti di una adeguata politica industriale, ma perché minor potere significa riduzione dei loro scandalosi, e ingiustificati, emolumenti (oggi sotto accusa, e non solo in Italia). Inoltre, tutto questo fiorire di superfluo controllo, vero fumo negli occhi per i gonzi, rappresenterà un ben di Dio per i legulei, commercialisti, controllori dell’Istituto centrale e magari per nuove Authority (o comunque per istituti dello stesso tipo di inutilità, in cui “lavora” una massa di nullafacenti di nomina politica; si badi bene che non si tratta dei "fannulloni" indicati da Brunetta, questi non saranno minimamente toccati dal "basso" Ministro!). Naturalmente, il tutto a spese dei clienti di questi apparati di ladrocinio che sono le banche e dei cittadini per nulla tutelati da questi “commessi” del potere capitalistico italiano, il più arretrato che si conosca.

Nel mentre avviene tutto ciò, Tremonti – di cui mantengo l’idea che batta tre a zero gli sciocchi e inconsistenti di prima (i Padoa-Schioppa e i Visco) – in accordo (strano) con Draghi e con i banchieri, toglie una serie di intoppi all’assunzione di proprietà azionarie rilevanti in imprese industriali da parte degli istituti finanziari. Evidentemente, la scottatura della sua precedente esperienza di Ministro – quando fu costretto a dimettersi per aver sfidato le banche sulla questione delle fondazioni bancarie, da cui voleva prelevare fondi per le grandi opere infrastrutturali – lo spinge oggi ad alleanze che non so quanto siano coerenti con quello che scrive in libri di grande tiratura (per il “popolo”) e in interviste in cui la sua “dignità di studioso” gli impone di dire qualche “verità”. Non voglio prendere subito di petto questa decisione politica che, nelle assonanze, riporta alla memoria i processi catastrofici a cavallo tra otto e novecento, quelli che furono poi alla base delle tesi di Hilferding ne Il Capitale finanziario. Vedremo meglio in seguito.

Anche in tal caso, comunque, assistiamo a tutto un fiorire di assicurazioni circa garanzie e controlli per impedire che la finanza imponga semplicemente i suoi scopi e interessi all’industria (con i risultati ormai noti da un secolo almeno); e anche qui, alla fine, correranno tanti fiumi di soldi per i legulei, ecc. di cui sopra. Come si farà a tirare avanti con questa pletora di mignatte attaccate al nostro corpo, già un po’ dissanguato, mi risulta francamente un mistero (poco “gaudioso”). Comunque, volevo per il momento solo illustrare alcuni “piccoli” processi che stanno avvenendo, e che sicuramente non saranno indifferenti per il nostro futuro, anche prossimo. Mi accontento di questo, ce n’è intanto d’avanzo.