NIENTE TEORIE GENERALI di G. La Grassa

 

Presentazione di Gianni Petrosillo (clicca qui per accedere al saggio)

 

Per una strana ironia della sorte (ma questo è il destino delle teorie che giungono alla fine del loro ciclo storico) il marxismo come scienza ha subito la medesima caduta della teoria economica classica, allorché quest’ultima è stata poco a poco rimpiazzata da quella bieca trasposizione volgare (prima nella versione blanda di un Bastiat e poi in quella estrema di un Roscher), che si è arrogata il merito di averne superato gli ostacoli teorici ma “a forza di chiacchiere” e di apologia (Marx).

Marx afferma espressamente, nelle Teorie sul plusvalore, che quando si chiude il cerchio dell’economia politica come scienza (a causa di contraddizioni irriducibili che rendono vacillanti i presupposti sui quali essa si era costituita come tale), il suo peculiare campo teorico viene letteralmente occupato dall’economia volgare che sostituisce i problemi concettuali da quella lasciati insoluti con la mera compilazione dottrinale, avvolta in un “sincretismo erudito e in eclettismo senza carattere”. La forma ultima di questa deriva dogmatica è quella professorale la quale “toglie lo spirito vitale a tutti i sistemi” temperando “il calore dell’apologetica” con la falsa erudizione che “osserva con benevola superiorità le esagerazioni dei pensatori economici e le tollera solo come curiosità che galleggiano nella sua mediocre poltiglia”.

Questa critica deve ora essere rivolta contro lo stesso marxismo in quanto, essendo stato esso incapace di cogliere le contraddizioni e gli errori dell’impianto teorico sistematizzato dal suo iniziatore in un’altra epoca storica (ovviamente, noi abbiamo il privilegio di parlare col senno di poi), ha permesso che la base scientifica di quel pensiero divenisse terreno fertile per l’innesto di utopie strampalate e di visioni “professorali” senza consistenza (anch’esse inquadrabili, al pari di quelle criticate dal pensatore tedesco, nel volgarismo ideologico più infimo). In verità, queste teoresi si ripresentano oggi in nuove fogge dopo essere state a lungo combattute e spazzate via dagli stessi fondatori del socialismo scientifico.

Il proliferare di tutte queste impostazioni confuse e senza rigore conoscitivo (edificate sull’Uomo o sul calore della comunità) costituiscono la pietra tombale sotto la quale è stata definitivamente sepolta la teoria marxiana. Eppure, lo scienziato di Treviri ha sempre avuto in totale spregio i preti e i pedanti di tutte le scuole contro i quali ha più volte scatenato la sua derisione intellettuale.

Per esempio, Marx riconosceva all’economista inglese Ricardo quella giusta “mancanza di riguardo” che ogni pensatore di scienza deve mantenere per preservare il miglior approccio possibile alla disciplina oggetto del suo studio. Al contrario, non lesinava di ridicolizzare gli armonizzatori e apologeti di professione che accomodavano la scienza (queste stimmate verranno affibbiate da Marx a Malthus, le misérable, ma anche a Bastiat e a Roscher) per tutelare particolari interessi di classe.

Vorrei citare un passo, tratto sempre dalle “Teorie”, dove Marx chiarisce come divenga possibile offuscare la comprensione della realtà “giocando” coi bei sentimenti sull’uomo, pur essendo armati delle migliori intenzioni:

 

“Giustamente, per il suo tempo, Ricardo considera il modo di produzione capitalistico come il più vantaggioso per la produzione in generale, come il più vantaggioso per la produzione della ricchezza. Egli vuole la produzione per la produzione, e questo a ragione. Se si volesse sostenere, come hanno fatto degli avversari sentimentali di Ricardo, che la produzione in quanto tale non è il fine, si dimenticherebbe allora che produzione per la produzione non vuol dire altro che sviluppo delle forze produttive umane, quindi sviluppo della ricchezza della natura umana come fine in sé [avete capito bene a cosa lega Marx lo sviluppo della natura umana?]. Se si contrappone a questo fine, come Sismondi, il bene dei singoli, allora si afferma che lo sviluppo della specie deve essere impedito per assicurare il bene dei singoli e che quindi, per esempio, non dovrebbe essere fatta nessuna guerra in cui i singoli in ogni caso si rovinano…Non si comprende che questo sviluppo delle capacità della specie uomo, benché si compia dapprima a spese del maggior numero di individui e di tutte le classi umane, spezza infine questo antagonismo e coincide con lo sviluppo del singolo individuo, che quindi il più alto sviluppo dell’individualità viene ottenuto solo attraverso un processo storico nel quale gli individui vengono sacrificati, astrazion fatta dalla sterilità di tali considerazioni edificanti, giacché i vantaggi della specie nel regno umano, come in quello animale e vegetale, si ottengono sempre a spese dei vantaggi degli individui che in pari tempo costituiscono la forza di questi privilegiati”.

 

In questo senso, chiosa Marx, il vero filantropo, nel significato alto del termine, è proprio Ricardo che mette sullo stesso piano, per onor di scienza, la vita degli operai e quella dei borghesi. A lui interessa solo l’incremento della forza produttiva del lavoro e se questa, accrescendosi, svalorizza il capitale della borghesia industriale non è una questione che, come uomo di scienza, gli riguarda.

Si può dedurre facilmente cosa direbbe oggi il teorico tedesco di quei pagliacci (sistemici o ultrarivoluzionari, qui la solidarietà antitetico-polare è d’obbligo) che pretendono di saper leggere, interpretare o trasformare la società capitalistica partendo proprio dal buonismo umanitario (concentrato nelle nuove “parrocchiette” utopistiche dei comunitaristi, dei decrescisti, ecc. ecc.) o, peggio ancora, di quelli che ‘con alcuni strumenti matematici dei moderni “tecnici ed esperti” dei dominanti’ (La Grassa) riducono il capitalismo ad un algoritmo senza alcuna determinazione sociale che “stranamente” (per essi) non viene rovesciato dal loro colpo di genio “storicamente muto”. Con questi avvelenatori del pozzo chiudiamo definitivamente i rapporti, poiché sono, come detto da La Grassa in questo nuovo saggio, vili mestatori che lavorano nelle retrovie ed ai margini della società capitalistica, con l’obiettivo di impedire il risorgere di qualsivoglia pensiero critico e rivoluzionario.

Il nostro compito immediato deve essere, invece, quello di elaborare un orientamento teorico di fase  per riuscire a muoverci, con minor approssimazione, in questa precisa congiuntura storica che si annuncia carica di novità. Probabilmente ci troviamo in un’era di trapasso che avvierà la genesi di una diversa formazione sociale dopo quella borghese (del periodo di predominanza inglese) e quella dei funzionari privati del capitale (di matrice americana). Sta cioè finendo un mondo ma non il mondo tout court che, anzi, entra a piedi uniti in un’epoca di grandi conflitti dai quali emergerà, quasi certamente, tutt’altra  “geografia” di dominanza.

Proprio tale movimento tellurico, sotto lo spazio sociale, testimonia della rinnovata conflittualità sistemica apertasi tra gruppi dominanti nell’ambito della formazione capitalistica globale. Queste tensioni, ancora allo stato iniziale, assumono, sulla superficie della società, la forma delle crisi (economica, sociale, politica, ideologica ecc. ecc.). I rischi, sul fondo di questa aspra lotta interdominanti, sono davvero alti, a partire da quelli derivanti da un possibile scollamento sociale, ma è altresì avverabile che questa situazione possa introdurre elementi di mutamento che i dominati potrebbero riuscire a giocare a proprio favore. Come ribadisce La Grassa, ogni individuo ‘deve sia essere in possesso della precisa coscienza che ogni realtà (macro e microsociale) è un campo di conflitto, è squilibrio e sviluppo ineguale, sia rendersi consapevole del suo essere portatore soggettivo del movimento squilibrante oggettivo. Ognuno ha dunque una sua responsabilità prettamente individuale, da non nascondere dietro l’inconcludente, e vile, appello alla “calda comunità” di intenti collettivi: quella collettività che è il paravento di chi fugge appunto dalla propria responsabilità, volutamente dimenticando il suo ineliminabile ruolo di portatore soggettivo (e individuale) di dinamiche oggettive di conflitto e di squilibrio. Il portatore soggettivo, l’individuo umano, non vive però intere epoche storiche, non può calare l’amo delle sue idee più generali se non nell’acqua (fangosa e inquinata da altri portatori soggettivi “nemici”) che sciaborda sulla riva del tempo in cui egli staziona, cercando di pescare quel che trova lì, attorno a lui. Solo il pescatore sognante fantastica sulla fauna che potrebbe esserci a molti kilometri in alto mare, e a profondità insondabili, mentre lui dispone al massimo di una piccola barchetta per spostarsi e, “se ci sta ancora” con il cervello, di qualche rete “appesantita” che riesce a trascinare con un pescaggio di una decina di metri.’

 

Allora, il realismo impone, anziché mettersi a fantasticare su come saranno le osterie del futuro, di tornare ad un più adeguato approccio scientifico, il che, dal nostro punto di vista, non può esulare da un’indagine serrata dei rapporti di forza geopolitici tra la potenza ancora predominante e il resto del mondo, la cui forza ricomincia a crescere (policentrismo). Esclusivamente dalla comprensione di (e dall’intervento in) queste dinamiche conflittuali diventerà possibile ai non decisori creare qualche fastidio ai dominanti.