ORIENTALISMO DI SINISTRA di P. Pagliani

 

Ovvero: dei “fascicomunisti" e dei "sinistri laureati”

 

Ascoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.

Eugenio Montale, “I limoni”

 

In una email spedita pochi giorni fa alla mia modesta lista di distribuzione scrivevo:

 

“Alcuni miei scritti che, tengo a ribadire, cercano di attuare una critica marxista al marxismo, compresi i suoi miti identitari (simbolici, culturali e storici – in quanto mitologia e non in quanto elaborazioni o eventi storici, che invece sono da difendere) sono stati visti da certi settori dell’estrema destra,  come altre volte è accaduto in casi simili e anche a persone più preparate di me, come una possibilità di convergenza in un indistinto movimento ‘antisistema’ o ‘antiegemonico’, di tipo ‘nazionalitario’, ‘comunitaristico’, ‘eurasiatico’ o d’altro tipo.

Seppure in linea di principio io creda che il confronto con singole personalità di altra provenienza politica possa a volte essere utile, per quanto mi riguarda sotto l’assunto di un minimo denominatore comune razionalistico – o meglio ‘universalistico’ – dirò esplicitamente che la critica ai miti fondatori della cultura politica da cui provengo non mi porta per nulla ad assumere quelli di una cultura politica che nella pattumiera della storia ci è finita molto prima.”

 

Un’amica, in modo provocatorio, mi ha domandato come mai io mi meravigliassi che mi leggessero dei fascisti. Ma lei ha puri sentimenti che non potrebbero mai essere fraintesi. E me li sbatte continuamente in faccia.

Un amico ironico, invece, mi chiedeva se avessi fatto questa puntualizzazione perché mi avevano già dato del “camerata”.

In realtà per ora mi è andata bene e non mi hanno (ancora) dato del “camerata” o del “rosso-bruno”.

Ad altri è già successo. Solito metodo e solito modo di pensare: se critichi Bush sei antiamericano; chiunque critichi il Sionismo – anche se ebreo – è antisemita; se si critica Marx – anche se partendo dichiaratamente da Marx e con metodo marxista – si è traditori o fascisti.

Marx stesso questa mentalità diadica la chiamava “manicheismo” e la considerava una peste bubbonica.

E indubbiamente per i manichei io rischio di essere borderline.

Alcuni miei contributi pubblicati nel blog “RipensareMarx” sono stati ripresi da altri siti, alcuni di estrema destra e altri “ecumenici”, come “Ariannaeditrice”, “Radioalzozero” o “Comedonchisciotte”.

Lasciando perdere il fatto che io invio i miei contributi a un forum che si richiama a Marx e non a Sorel o ad Evola, queste riprese potrebbero suggerire a uno sconsiderato e illetterato di definirmi rosso-bruno. Se ciò dovesse succedere, però rivendicherei per lo meno la compagnia di una serie di “sinistri laureati”, come ad esempio alcuni collaboratori del “Manifesto” i cui articoli sono parimenti ripresi da quei siti, o come Massimo Cacciari che sembra sospinto verso una critica alla modernità di stampo heideggeriano e il cui novello concetto di “welfare community” a quanto sembra fu già cavallo di battaglia di Alemanno e dell’estrema destra raccolta attorno alla rivista “Area”.

Quindi, a rigor di logica, prima che si dia del “rosso-bruno” a uno come me che rivendica di essere imbottito di anticorpi illuministi, si dovrebbe dare del “rosso-bruno” a Massimo Cacciari.

In realtà spero che ciò non succeda né a me né a Cacciari, ma che, al contrario, ci siano persone sensate che riescano a capire che certe tematiche non possono essere esorcizzate, bensì affrontate; persone che riescano a capire che il manicheismo è veramente una peste bubbonica che porta solo alle tenebre e alla putrescenza del pensiero laddove invece non ha niente a che vedere con la difesa di alcun principio etico o sociale.

Non lo do per scontato. Per niente. So bene che se esci da quello che i residui ingloriosi di un glorioso movimento hanno stabilito essere il sistema corretto di categorie, di metodi, di oggetti e soggetti, di simboli, di termini e persino di costruzioni sintattiche, allora rischi veramente di essere considerato borderline o addirittura un dropout.

E’ una sorta di "Orientalismo di sinistra”.

Mi permetto di riprendere una nota a piè di pagina tratta dal mio libro “Naxalbari-India. La rivolta nella futura terza potenza mondiale”:

 

“Il termine “orientalismo” è stato utilizzato da Edward Said nel suo splendido saggio omonimo per denotare quel complesso di studi di varia natura (letteratura, linguistica, archeologia, antropologia) che a partire dal XVIII secolo tende a dare delle regioni orientali un’immagine organica alla visione politica imperialista dell’Occidente. Per quanto riguarda l’India, ‘Tale ritratto veniva continuamente strumentalizzato per negare riforme liberali e democratiche. Nel 1892, le riforme elettorali furono accantonate perché, secondo le parole del primo ministro Lord Salisbury, il governo rappresentativo non era ‹‹un’idea orientale››’. Questo ‘desiderio di tutela’ nei confronti dei popoli orientali non è per nulla morto, come si può notare ogni giorno.”  

 

Allo stesso modo, c’è un diffuso e consolidato apparato culturale di sinistra che decide di che cosa e in che termini sia ammesso parlare senza rischiare di essere espulso dal consesso civile. Questo apparato mette sotto tutela, approvandolo, disapprovandolo o condannandolo, ciò che avviene e ciò che si pensa. Non analizza, non cerca di capire, pre-giudica cercando di comprimere la complessità del mondo reale in scelte dicotomiche astratte.

Un esempio recente? Il Dalai Lama è buono e il governo Cinese è cattivo. Guai a chi lo mette in dubbio. Questo apparato culturale si appella ai diritti universali e alla non-violenza allo stesso modo in cui la non-violenza e i diritti universali sono usati – perdendo così immediatamente ogni valore – come “warfare” dalle agenzie di mestatori, corredate di ONG, guidate – in senso letterale, non figurato – dai servizi di intelligence statunitensi e specializzate in quelle “rivoluzioni colorate”, “dal basso” e “nonviolente”, così tanto politicamente corrette. E quando non ce la fanno, appena possibile i diritti universali e la non-violenza diventano transponder per bombardieri e missili da crociera.

Ma già dire questo è rischioso. Si corre il rischio di essere guardati con sospetto, non foss’altro che per il semplice fatto che si è posta la questione della usabilità di principi universali che invece, per definizione, sono delle guide e non dei mezzi (come dire che ammettere che Cristo c’entri con la Santa Inquisizione sia come proclamare che la Santa Inquisizione sia Cristo – classico pensiero diadico in azione).

Per essere orientalista riconosciuto dai pari laureati dovevi parlare di questo ma non di quell’altro, le discipline dovevano essere queste e non quelle altre, dovevi citare questo ma non quest’altro. E, men che meno, dovevi mettere in discussione l’idea stessa di “Orientalismo”.

Come l’Orientalismo classico, l’ “Orientalismo di sinistra” è un sistema autoreferenziale, escludente e cooptante. L’espulsione, il confino, il dimenticatoio o il cordone sanitario al posto dell’analisi e della discussione.

Sarà un caso che nessun sito della “sinistra laureata” ha mai ripreso, non dico i miei interventi, ma per lo meno quelli di una personalità come Gianfranco La Grassa (se non qualche volta per dargli, per l’appunto, del “rosso-bruno”)? Troppo poco “buonisti”? troppo poco “a difesa degli oppressi”? troppo poco a “difesa dei diritti universali”? troppo disinteressati alla “classe”? troppo interessati alle mosse geostrategiche degli USA? (che poi queste mosse facciano centinaia di migliaia di morti, che altrettanti ne minaccino e che non stiano ad aspettare che i nostri buoni sentimenti e incorrotti ideali abbiano fatto breccia con francescana e paziente opera, tutto ciò poco conta rispetto al sentirsi in pace con la coscienza -magari di classe- o ancor partecipi dei riti mistici di sinistra).

E’ desolante vedere siti di destra che riprendono le discussioni presenti sul “Manifesto” o su “Ripensaremarx”  e i siti della sinistra laureata dediti invece agli esercizi spirituali e a fare orecchie da mercante con chiunque ponga domande non previste e non retoriche, o peggio ancora, “metadomande” che rimettono tutto in discussione.

 

Anni fa, in una geniale vignetta di Altan si vedeva un signore un po’ sfatto che nuotava sul dorso in un italico mare pieno di alghe ed escrementi galleggianti e che con aria trasognata si domandava: “Chi siamo? Dove andiamo? Che codice fiscale abbiamo?”.

 

Io non mi pongo queste domande da disincanto post-sconfitta, perché è da un po’ che sono disincantato, ma cerco invece di gettare sul tavolo della discussione il quesito che si deve essere posto Altan quando ha creato quella vignetta: “Cosa devo disegnare oggi? Cosa dobbiamo rappresentare oggi?”.

 

  

Piero Pagliani