OSSERVAZIONI SULLA STRATEGIA PER LE PROSSIME ELEZIONI PRESIDENZIALI NEGLI USA E SULLA TATTICA DI OBAMA.

obama

In un articolo sul Sole 24 ore di oggi (26.08.2012) Mario Margiocco scrive:

<<L’economia americana è alle soglie della recessione e non vota per Obama. Il sistema elettorale però, premiando non solo la somma dei voti popolari ma anche la loro distribuzione geografica, lo aiuta, e lo vede ancora in testa, meno di un mese fa, ma nettamente>>.

Difatti Ken Langone, cofondatore di Home Depot – e rappresentante autorevole di quel 60% del mondo imprenditoriale Usa che non vuole la rielezione di Obama (almeno così sembra) –  afferma, in un intervista al Sole 24 ore: << Se qualcuno continua a ripetere in qualunque occasione di esserti contro, come ha fatto Obama con noi imprenditori, è naturale che il sentimento diventi reciproco. Si aggiunga una gestione economica fallimentare, le promesse mancate, l’intrusione strisciante e crescente dello Stato negli affari del mondo privato, la stretta di regole, come quelle imposte dalla Dodd Frank sul settore bancario e si capisce che l’alchimia con questa Casa Bianca è impossibile>>. Però Langone e i suoi amici portano lo scontro anche sul piano propriamente ideologico e quasi filosofico riallacciandosi ai “valori centrali americani”, quelli legati ad un capitalismo “virtuoso”, alla propensione al rischio e all’investimento, allo spirito pioneristico dei tempi “eroici” della conquista dell’”Ovest”. Margiocco a questo proposito rileva, perciò, che i repubblicani invece di contestare gli errori di Obama

<<hanno scelto una strategia radicale. […] Con loro la stella tornerà a splendere, dicono, grazie all’antica ricetta del più mercato e meno stato, anche stato sociale>>.

Finora questo era considerato il “terzo binario” – nella maniera spiegata quasi sessanta anni fa da Dwight Eisenhower – ritenuto, per lo più, ormai improponibile all’ interno della “democrazia multietnica” statunitense. Soprattutto da quando – come ha riscontrato la Federal reserve a giugno –  le famiglie americane sono ritornate, tra il 2007 e il 2010, al livello di ricchezza dei primi anni novanta del secolo scorso. E riguardo al periodo che va dalla metà del 2009 al 2012 – con tre anni di crescita, moderata e parziale – un ente privato di ricerca, il Sentier Research, ha confermato, in base a dati ufficiali,  che le famiglie hanno continuato a perdere terreno ed ha concluso affermando:

<<Siamo in un periodo di stagnazione economica senza precedenti>>.

Le famiglie, ovvero gli strati sociali medio e medio-basso, sono ancora troppo indebitate e riescono a consumare relativamente poco così che Margiocco può concludere:

<<Le banche sono state salvate. Il sistema delle imprese ha retto bene. Ma a votare sono le famiglie, e queste non hanno retto affatto bene>>.

Secondo il giornalista i repubblicani hanno sbagliato nella loro scelta di sferrare ad Obama un attacco frontale in nome di un “vero americanismo” declinato con la formula: meno tasse per i ricchi + meno spesa sociale e pensionistica; anche perché si sarebbe dovuto far leva maggiormente sugli “errori” del presidente in carica e proprio tra i vari “errori” di Obama se ne trova uno di

<<colossale e che anche il filo-democratico New York Times non ha potuto non stigmatizzare con risalto in prima pagina nei giorni scorsi: il poco fatto per i mutuatari in difficoltà, una scelta precisa visto che i fondi per farlo c’erano, e i 250 miliardi che la legge di salvataggio bancario (la Tarp dell’ottobre 2009) stanziava per la rinegoziazione dei mutui sono rimasti fermi e ormai fuori tempo massimo>>.

Ma ovviamente, come lo stesso Margiocco ammette, si è trattato tutt’altro che di un “errore” perché una massiccia rinegoziazione dei mutui avrebbe comportato per le grandi banche perdite notevoli, soprattutto sul fronte dei cosiddetti mutui “secondari” (1) (prestiti sulla casa), un monte di circa 300 miliardi che sarebbe andato in parte notevole perduto, proprio perché “secondario”. In conclusione, scrive Margiocco:

<< Obama non ha voluto dare questo dispiacere alle grandi banche che li detengono>>.

Per completare il riferimento ad Eisenhower, accennato sopra, il giornalista ricorda che il presidente di allora, in una lettera scritta 58 anni fa a suo fratello Edgar, scriveva: <<Quel partito che volesse abolire le pensioni pubbliche, i sussidi ai disoccupati, le leggi sul lavoro e i sussidi agricoli sparirebbe dalla nostra storia politica>>. E nei suoi attacchi “pubblici” nei confronti del partito repubblicano e di una parte dell’imprenditoria privata Usa Obama ha proprio scommesso sulla validità, ancor oggi, di quella affermazione – nonostante che allora il Welfare State fosse all’inizio della sua ascesa mentre ora appaia decisamente in declino in tutto il mondo – completando, però, la sua strategia con un accordo già da tempo stabilito, ma ora rafforzato (e non “pubblicizzato”), con alcuni dei gruppi bancari e militari-industriali più potenti e influenti negli Stati Uniti e nel mondo.

(1)   Si tratta dei mutui subprime. Dal sito www.borsaitaliana.it (gennaio 2010): <<Tutto è cominciato con una folta schiera di risparmiatori americani in crisi che hanno cominciato a non pagare il mutuo e con un’ondata di pignoramenti. La crisi dei subprime deriva, infatti, dai cosiddetti mutui subprime o mutui secondari. I mutui secondari americani differiscono dai mutui primari, i normali mutui Usa, perché sono concessi a debitori particolarmente a rischio per diversi motivi quali un reddito inadeguato all’accensione di un mutuo primario, un passato di insolvenze o fallimenti e simili. Si tratta in pratica di prestiti rischiosi che le banche per molto tempo hanno concesso a questi mutuatari (il popolo dei subprimer Usa) scommettendo sulla crescita del mercato immobiliare e sul basso costo del denaro negli Stati Uniti>>.

Mauro T.                                26.08.2012