PANE AL PANE

 1. Alla faccia degli sciocchi (in buona fede? Non credo proprio) che ci accusavano d’essere cripto-filoberlusconiani, noi non abbiamo alcun problema a dire “pane al pane, ecc.” in faccia al cavaliere e agli articoli (di Sallusti, Porro e altri) sul “suo” Giornale, una delle più solari dimostrazioni di dove porta il liberismo: qualche idea azzeccata, ma in genere una “catastrofe”. Del resto, ripeterò per l’ennesima volta che ciò è valido fin dall’800, quando i sostenitori del “libero” commercio internazionale (secondo la teoria ricardiana dei “costi comparati”) erano gli ideologi “ufficiali” dei subdominanti europei continentali (e dei proprietari cotonieri degli Stati meridionali degli Usa), i cui interessi coincidevano con quelli dei predominanti inglesi, che avevano già realizzato la “prima rivoluzione industriale”. Fu necessario schiacciare questi subdominanti, con i loro ideologi liberisti, affinché sorgessero due potenze, Usa e Germania, in lotta (vi si aggiunse a oriente il Giappone) per la successione alla posizione centrale dell’Inghilterra; sanguinosissima fu in particolare la “guerra di secessione” americana, vero atto fondativo di quella che divenne infine la nazione capitalistica predominante.

Noi comunque – sempre alla faccia di coloro che hanno ossificato il marxismo quale dottrina chiesastica o hanno fatto di Marx un profeta della salvazione umana – rimaniamo marxisti nel senso reale di una teoria scientifica capace di autocritica in base al succedersi degli eventi storici, che hanno smentito sue decisive previsioni; non ci fermiamo quindi a ripetere come dischi rotti le formulazioni marxiane, e tuttavia seguiamo una rigorosa impostazione strutturale prendendo in esame il ruolo assunto e la funzione svolta in date congiunture dagli individui, senza molto riguardo per le loro predisposizioni psicologiche, meramente personali. Berlusconi, per ragioni più volte spiegate, ha inceppato la scelta della Confindustria (attuata mediante utilizzazione di coloro che avevano rinnegato il comunismo) di subordinarsi agli Usa e di distruggere l’industria strategica italiana (pubblica per ragioni storiche); scelta mascherata da operazione giudiziaria. Se oggi questa sua funzione è crollata miseramente – di fronte all’ultima offensiva della magistratura, di apparati di Stato che l’hanno spiato e diffuso ridicole storie di sesso, della pubblicazione di documenti Wikileaks, di avvertimenti “mafiosi” vari, utilizzando, nella sfera politica, una prima linea d’attacco (Fini) e, fallita questa, quella “di riserva” (Napolitano) – noi non abbiamo alcuna difficoltà a dirlo proprio perché non attribuiamo un peso decisivo all’uomo singolo, alla sua mera individualità, ai suoi “vizi”, ecc.

A parte il brusco voltafaccia berlusconiano sulla guerra libica, rispetto a dichiarazioni di nemmeno una settimana fa, appare scandaloso che si sostenga – anche da parte del presidente della Repubblica, grande cultore dell’Unità d’Italia e “sacrale custode” della Costituzione – la continuità di simili posizioni con la Risoluzione dell’Onu. Già ultracriticabile sia chiaro – e criticabilissima la posizione codista di Cina e Russia – per la sua ipocrisia e sostanziale avallo di operazioni tese a separare la Cirenaica dalla Libia, ma che comunque prevedeva una “zona di non sorvolo” (di eventuali aerei libici, di cui si dichiarava, con aperto mendacio, la volontà di bombardare la popolazione cirenaica, identificandola tout court con quella libica) e non certo l’aggressione all’intero territorio della Libia e addirittura, con dichiarazioni ormai aperte di Usa, Inghilterra e Francia, la liceità dell’assassinio di Gheddafi. E’ talmente inaudito un simile cambio di contenuti della Risoluzione da far sospettare che nemmeno a fine ‘800 i colonialisti fossero così scaduti a delinquenti comuni; dato che, “a casa mia”, l’assassinio intenzionale di singoli individui è un preciso crimine: “omicidio con premeditazione”, non preterintenzionale o colposo, ecc.

Il presidente della Repubblica è difeso da una legge contro critiche aspre, che sarebbero adeguate alla gravità delle sue dichiarazioni: essere la partecipazione alla guerra contro la Libia la semplice conseguenza logica della Risoluzione Onu e del tutto rispondente alla sua stessa volontà e desiderio. Credo sia lecito dire che la sua vita personale è in perfetto parallelismo con l’evoluzione del Pci, cui ha sempre appartenuto. Da un acceso filo-sovietismo, privo di qualsiasi riflessione critica (e autocritica), al progressivo cambio di campo – iniziato negli anni ’70 con la segreteria Berlinguer – che conobbe una svolta rapida in assenza di meditata giustificazione, politica e ideologica, con il crollo “socialistico” (1989) e la dissoluzione dell’Urss (1991). Credo non vi sia dubbio che, dopo l’appannamento di Fini (definitivo?), Napolitano resta oggi il miglior referente di certi “ambienti americani” in Italia, ambienti in stretto contatto con gli industrial-finanziari “privati” italiani, che sono appunto i nuovi subdominanti “liberisti” legati, per interessi “complementari”, ai predominanti statunitensi.

Si tratta degli stessi subdominanti che, obbedendo ai loro “riflessi condizionati” filo-Usa, hanno ottenuto il benestare alla proposta di nomina di Draghi alla Bce, per la quale si sono dissolte (veramente sono in parte tornate quelle tedesche, ma sono schermaglie) le perplessità, o anche opposizioni, di Germania e Francia, con ciò dimostrando che l’ultima vicenda internazionale ha segnato lo schiacciamento di ogni pur minima velleità di autonomia europea, ormai una grande area di supina acquiescenza ai voleri della potenza capitalistica ancora preminente. Come dicevo, assistiamo ad una vera svolta storica, non soltanto a quella della tattica statunitense detta “del serpente”, proprio frutto della manifesta incapacità di tale paese di predisporre un autentico piano di dominazione “imperiale” globale. Nell’epoca dell’imperialismo (fine ‘800 e primi ‘900), vi fu l’accentuazione del fenomeno colonialista e la sua generalizzazione ad una serie di potenze in conflitto via via più acuto sino a sfociare nel primo scontro mondiale. Tuttavia, vi era un “più sano” (si fa per dire) cinismo, con al massimo il mascheramento ideologico della “civilizzazione” degli indigeni, razzisticamente dichiarati selvaggi o barbari. Spesso però sostenendo apertamente la necessità di partecipare alla (re)distribuzione delle “terre” pre-capitalistiche in senso coloniale.

Oggi siamo alla più indecente ipocrisia – tesa a nascondere l’aperto massacro di popolazioni inermi e a manifestare invece esplicitamente l’intenzione di omicidi mirati all’eliminazione di capi di Stato “scomodi” – dell’intervento “umanitario”, della necessità di diffondere la “democrazia” nel mondo e altre meschine menzo
gne del genere. E’ del tutto evidente, almeno secondo me, che tale apparente “mutazione genetica” dei gruppi dominanti (pre e sub) è l’effetto di una transizione intracapitalistica già più volte da me ricordata: dal capitalismo borghese a quello dei funzionari del capitale. Ne parleremo ancora in un prossimo intervento (ormai dopo l’incontro degli amici del blog), così come bisognerà analizzare alcune strategie internazionali seguite da chi si oppone agli Usa (perché credo vi si opponga ancora, pur mostrando una debolezza pericolosa). Desidero ricordare che, al contrario di ciò che pensa chi non riesce a capire quasi nulla di quanto legge, abbiamo avuto almeno due “intuizioni” esatte (intuizioni solo nel senso che si basano sul “sapere indiziario”).

2. Intanto, esiste tuttora il multipolarismo nel senso da noi indicato. Forse il termine è ambiguo, poco congruo, ma lo si è comunque sempre distinto dal policentrismo, che era appunto la fase dell’imperialismo esistente negli ultimi decenni del secolo XIX; e durata, in definitiva, fino al 1945. Il multipolarismo intende semplicemente sottolineare come gli Usa abbiano abbandonato la convinzione e speranza, coltivata fino all’ultimo biennio della presidenza Bush, di poter mantenere la supposta preminenza globale conquistata dopo la fine dell’Urss (e del mondo bipolare). E’ stato ampiamente notato che nel novembre 2006 Rumsfeld (rappresentante particolarmente ruvido e tosto di tale convinzione) venne sostituito quale Segretario di Stato da Robert Gates, confermato poi da Obama; a dimostrazione che questo è l’effettivo segnale del mutamento di tattica (o forse si può parlare di strategia) della potenza predominante. Multipolarismo non ha mai significato nascita di più poli effettivamente “imperialistici” in conflitto appunto policentrico.

Quando sono cresciuti nel mondo – di cui si enfatizzava invece (da perfetti liberisti, sempre superficiali e unilaterali come al loro solito) la “globalizzazione mercantile” – alcuni “muri” contrapposti agli Usa (o, se si preferisce, “muretti”, tuttavia sempre più alti e spessi) che sono le varie potenze in pectore, si è inizialmente cercato di abbatterli tirando contro di loro pesanti “palle” di materiale solido. Queste, però, o abbattono il muro o vengono stoppate. Se invece si inclina il terreno – ma appena un po’, basta poco – verso il muro, e vi si versa sopra una quantità crescente di “liquido”, questo si infiltra in esso mediante vari canalicoli, lo rende umido e meno compatto, fino a sgretolarlo. Questa la nuova tattica (o strategia) che prende avvio con Gates più che con Obama.

Ad essa bisogna rispondere cercando di inclinare il terreno in senso opposto, in modo che il “fluido” rifluisca all’indietro; poi, si dovrà puntare ad immettervi, a propria volta, una quantità di liquido che scorra verso gli “aggressori” (“serpenteschi”) attuali. Non mi si obietti che gli Usa non hanno tirato direttamente “palle” o indirizzato “liquidi” verso le suddette potenze in formazione. E’ ovvio che si agisce tutt’intorno, che ci si muove in date “aree d’influenza” divenute terreno di conflitti al momento indiretti. Tuttavia, si sono usate le tattiche diverse appena sopra accennate. Talvolta, si riprendono oggi aspetti di quella passata (come in Libia), ma mai con gli intendimenti immediatamente “imperiali” di prima. In una situazione come questa, siamo precisamente nel multipolarismo, con “mutamento di passo” degli Usa, che hanno riconosciuto di non essere la potenza globale che speravano di essere diventati. Certamente, se non si sa rispondere alla nuova tattica, non si arriverà al policentrismo. E senza dubbio, non sembra che al momento Russia e Cina (per motivi anche interni, in specie la prima) si siano ben adeguate alla nuova fase.

Vi è stato un ulteriore segnale del mutamento di tattica. Nel 1956 – dopo che gli Usa avevano di fatto sostituito il predominio inglese in India (in forme morbide, economiche) e quello francese in Indocina – le due ormai subpotenze cercarono un nuovo guizzo con l’attacco a Nasser per il Canale di Suez. Malgrado la grave crisi ungherese, iniziata un mese prima, con l’immane can can sulla criminalità sovietica, ecc., Usa e Urss in pieno accordo all’Onu stopparono le velleità anglo-francesi. Oggi, invece, la superpotenza lascia spazio alle aspirazioni neocoloniali di questi loro “coadiutori”; lo si vede in Libia, lo si vede in Costa d’Avorio, ecc. Viene lasciato ai subdominanti di impadronirsi eventualmente del petrolio e gas e di imporre altri ottimi affari (anche di costruzione di infrastrutture civili e militari, ecc.), a detrimento soprattutto di Cina, ma ancor più della Russia (e pure questo è significativo di chi gli Usa sentono come effettivo loro antagonista potenziale, di cui affievolire la forza). Agli Stati Uniti interessa la strategia globale – attuata appunto con la “tecnica” del caos e della liquidità – mirante a zone d’influenza, non a interessi particolari. Speriamo che sia una buona volta chiaro il problema!

La seconda nostra “intuizione” corretta è che l’Italia non riesce a godere di reale autonomia dal 1945; anzi dal “tradimento” dell’otto settembre 1943. Lasciamo perdere la fola della Resistenza che ha liberato il paese. L’hanno “liberato” – cioè sottoposto ad altro predominio – gli “Alleati”, in definitiva gli Stati Uniti che, da allora, hanno sempre avuto nel nostro paese una nascosta “forza oscura di manovra” nella mafia (estesa infatti ben oltre la Sicilia); la quale non sarà mai sconfitta, poiché è essa a decidere, da “ameba” qual è, di “mutare forma” e di mollare allo “Stato” la vecchia dirigenza e struttura (tanto flessibile!) per assumerne di nuove, sempre sotterraneamente legate agli Usa. La Resistenza ha avuto significati diversi (ma politici), che solo ulteriori “tradimenti” (con vari punti di svolta, cruciale però quello del 1976, di cui parlerò nel mio “Panorama storico”, in fase di compilazione) hanno compattato. All’inizio essa fu: da parte comunista (e non solo, per la verità; anche socialisti, reali “azionisti”, ecc.) il tentativo di impostare almeno una profonda “riforma sociale”; da parte degli “antifascisti del tradimento” (dell’otto settembre appunto) l’affermazione di una sorta di continuità capitalistica in posizione però di subordinazione al paese liberatore (che ci ha appunto “liberati” della nostra autonomia).

Oggi l’antifascismo, reso un fenomeno unico (quale non fu mai!), ha mutato segno; è divenuto la reale forma di eversione per imporre un regime più autoritario totalmente subordinato agli Stati Uniti, sempre per il tramite di quegli ambienti costantemente antinazionali, i gruppi subdominanti industrial-finanziari italiani (“privati”; e, lo ricordo nuovamente, per ragioni storiche, non strutturali). Questa eversione sempre incombe, ma non è detto debba precipitare nel fatto reale; può accontentarsi di spegnere definitivamente quella “resistenza&rd
quo; di certi ambienti dell’industria “pubblica” (pur indeboliti, assottigliati dalle operazioni iniziate nel 1992-93) che trovò un punto di tangenza con Berlusconi e pochi altri gruppi economico-finanziari privati.

Una resistenza che accettò però la pantomima degli aperti felloni antinazionali (“privati”), con la loro rappresentanza politica nell’antifascismo del tradimento, impostata sulla scomposta agitazione antiberlusconiana. E’ stata una iattura, un sintomo di debolezza – soprattutto dell’incapacità di conquistare serie posizioni negli apparati statali del potere reale – che oggi si sconta apertamente. Il “re travicello”, per salvarsi, ondeggia, galleggia, ma poi cede una posizione dopo l’altra. In ciò si sconta però pure, è necessario dirlo per approfondire in futuro il problema decisivo dell’attuale involuzione, la debolezza dell’asse internazionale che si andava costruendo in modo del tutto gelatinoso e con incertezze varie, dovute anche al non avere gli uomini giusti al posto giusto (tanto per fare un banale e minore esempio, uno Scaroni non dovrebbe trovarsi al vertice dell’Eni).

Di quell’asse, di cui l’Italia era cerniera (e di cui il Southstream era forse un troppo rigido e unilaterale puntello), la Libia è sotto nettissimo attacco di colonialisti, che non a caso non ammettono nessuna mediazione (tipo quella dell’Unione Africana, accettata in toto dalla Libia e respinta in toto dai “ribelli”, cioè dai banditi internazionali loro ispiratori), malgrado la menzogna che si vogliono salvare le popolazioni civili. Assieme alla Libia c’è però anche l’Algeria (con la sua Sonatrach), che dovrà stare molto attenta se gli aggressori otterranno successo. In Russia, l’altro estremo dell’asse, Putin – causa l’accettata ipocrisia della “democrazia”, su cui bisognerà tornare con estrema virulenza critica – dovrà assumere molti rischi e, in ogni caso, perdere come minimo un anno, periodo lunghissimo data la situazione, per regolare certi conti interni e tentare di riprendere la vigorosa strada che era stata intrapresa con la sconfitta inflitta agli “oligarchi” e agli eltsiniani (e anche ai gorbacioviani). Turchia e Iran sarebbero dovuti essere tasselli importanti dell’asse; ma ci sono molti dubbi circa il ruolo che sono in grado di svolgere. Particolari sospetti desta l’Iran, che forse abbiamo troppo acriticamente pensato come contrapposto al “Satana” (gli Usa). La virulenza del linguaggio maschera talvolta cedimenti compromissori.

Comunque tutti problemi da seguire e approfondire. E’ necessario a questo punto promuovere un’azione al di fuori degli schieramenti ufficiali presenti, ormai tutti fortemente inquinati in senso pesantemente antinazionale. Compito gravoso, non alla portata delle nostre semplici forze, ma ultra-urgente.