PER GLI AMICI (di GLG 1 20 marzo 11)

   Carissimi, il 7-8 maggio per l’incontro appare a questo punto lontano, ma d’altronde i nostri mezzi non ci consentono “guerre lampo”. Tuttavia, alcune cose vanno subito dette. Intanto è necessario avere una sorta di pensatoio. Troppe sono le questioni da approfondire: politiche, teoriche e, importanti, storiche.

   Ormai il blog ha una forte identità, con scarse differenziazioni del tutto secondarie; e sempre più secondarie con i tempi che avanzano. Tuttavia, per problemi personali che conosco e rispetto, molti sono abbastanza silenti. E’ indispensabile che si senta l’importanza cruciale del momento. Guardate che non sto parlando tanto della questione libica, ma assai più in generale, perché la Libia ci ha solo messo a fuoco che siamo entrati in una nuova fase storica.Quanto lunga non so – io continuo a credere a non meno di vent’anni, guardando anche all’esperienza di fine ottocento – e tuttavia indirizzata, non con assoluta certezza ma direi con almeno l’80-90% di probabilità, verso la III guerra mondiale. A questo proposito, chiedo a tutti di smetterla con le trovate delle guerre mondiali a iosa. Ce ne sono state due, hanno avuto la precisa modalità del conflitto per una nuova supremazia. Il mondo diviso in due è stato un periodo di precario, ma resistente, equilibrio. Dopo, pur scontando la presenza di un’unica superpotenza, si è comunque messo in moto lo squilibrio caratteristico delle epoche (non brevi) che preludono al vero regolamento di conti.  

   Quindi è la terza che ci aspetta. La Libia – per quanto oggi siamo sconvolti da così alto tasso di criminalità in paesi di una meschinità politica assoluta, che nulla hanno a che vedere con gli altrettanto cattivi, feroci, paesi della borghesia, comunque in possesso di una più ampia visione dei problemi mondiali – apparirà tra anni un bruscolino, solo l’inizio di una strada che si arricchirà di altri tormenti e sconquassi; e sempre a noi più vicini, anche quando geograficamente più lontani.

   Dobbiamo compiere un salto di qualità e coordinare meglio i nostri sforzi; possibilmente trovando qualche altro collaboratore per supplire a difficoltà che ognuno di noi ha per motivi esclusivamente personali. Inoltre, dobbiamo aver il coraggio di dire delle verità spiacevoli per alcuni di noi, che hanno costruito la loro vita su “identità” di un certo tipo, ormai sbriciolatesi. Personalmente, resto teoricamente sulle posizioni ben note della fuoruscita da una precisa concezione, oggi invecchiata; ritengo però ancora utile uscire proprio da quella porta e non da altre. Uscire significa rinunciare a visioni di tendenze storiche ormai dimostratesi catastrofiche e che hanno portato i residui delle stesse alla più totale decadenza. Sono arrivati a una tale degenerazione da far dubitare che siano rimasti umani; né per intelligenza né per moralità, lasciano supporre che in essi vi sia la “scintilla” che dovrebbe distinguere l’umano da altri esseri. Non è questione di cattiveria e ferocia, che fanno parte dell’umano; questi sono andati “oltre”, come minimo verso il “sottouomo”.

   Oggi, bisogna senz’altro, a mio avviso, rinverdire il detto che la “Patria è l’ultimo rifugio delle canaglie”. Non si può però ripetere la frase in generale e senza specificazioni. Perché tutti coloro che hanno festeggiato l’Unità d’Italia sono quelli che si sono venduti da tempo agli Usa; adesso non sono nemmeno soltanto servi, ma servi dei servi (di Francia e Inghilterra). Allora questi sono in effetti le canaglie di cui la Patria è l’ultimo rifugio. Ci sono però altri che almeno hanno il concetto di indipendenza o autonomia nazionale. Se usano la parola Patria, avvertiamoli del dubbio significato del termine, ormai sputtanato dai servi dei servi; tuttavia, cogliamo ciò che intendono comunicarci. E se alcuni non lo fanno per idealità, ma per interesse, siano egualmente i benvenuti. Talvolta, se gli interessi sono forti e fortemente in contrasto con quelli dei servi dei servi, ci si può fidare dei loro portatori perfino più di chi fa grandi affermazioni solo ideali.

   Abramo Lincoln probabilmente credeva veramente alla liberazione degli schiavi del sud statunitense. Perché dubitare della sua buona fede. Non è stata però questa a vincere il sud e a creare la grande nazione che sappiamo. Sono stati gli industriali del nord – avendo però a disposizione capaci centri strategici politico-militari – a imporre i loro interessi contrastanti con quelli dei predominanti inglesi, accettando le teorie listiane del protezionismo dell’“industria nascente” contro l’ideologia ricardiana del “libero commercio internazionale”. Uno dei torti di Marx, visti con sufficiente prospettiva storica, è stato quello di troppo incensare Ricardo. Non ci si deve lasciare incantare solo dai “fini” ragionamenti teoretici; occorre che ci sia “corpo e sangue”, che si affermi cioè esplicitamente quali interessi si stanno difendendo, certo anche ammantati da idealità che a volte non sono puro velo ipocrita, bensì profonde convinzioni.

   Lincoln, almeno credo, odiava sinceramente la schiavitù. Il suo odio non sarebbe però servito a nulla, se non calato in un momento storico in cui l’industria americana non intendeva più accettare di essere conculcata dai manufatti inglesi, ma nemmeno poteva permettersi di perdere il vasto mercato del sud. Ci si è scordati che oggi si parla di “guerra civile americana”, ma io l’ho appresa ai miei tempi come “guerra di secessione”; perché gli Stati della Confederazione volevano recedere dall’Unione e costituirsi a parte. Chi non ha permesso ciò, e di fatto ha provocato la guerra, è stato il Nord. Esso ha agito come Gheddafi che non voleva permettere alla Cirenaica (con i tre quarti delle risorse petrolifere) di staccarsi per diventare succube di francesi e inglesi. Ha agito come dovrebbe agire un normale, e non “badogliano”, Governo italiano se l’Alto Adige o la Valle d’Aosta volessero staccarsi da noi. Come agì del resto contro gli autonomisti siciliani nel dopoguerra.

   Anche il nostro odio contro i banditi aggressori (e non certo della Libia soltanto) è sincero, non ha secondi fini. Tanto è vero che nemmeno ci sono piaciuti certi episodi di repressione dei ceceni o degli uighuri, ecc. Tuttavia, il nostro odio resterà ineffettuale – anzi potrebbe perfino divenire come quello di certi comunisti e antimperialisti finiti a non capire più nulla di quello che sta accadendo – se non si collegherà a certi interessi. Per questo, sono contrario a cianciare semplicemente di conflitto capitale/lavoro, a sragionare su finte rivolte di popolo, che sono rivolte di sezioni di una popolazione, anche consistenti come numero di componenti, che sempre si trovano a difendere interessi di gruppi dominanti in collegamento con altr
i predominanti stranieri; esattamente come i “cotonieri” della Confederazione degli Usa erano legati ai settori industriali inglesi. E la popolazione della Confederazione fu complessivamente unita dietro al Governo dei “cotonieri”, tanto da farsi massacrare per 4 anni in una fra le guerre più sanguinose che si conoscano.

   In definitiva, noi oggi dichiariamo, senza alcuna predisposizione retorica per la Patria, che, nel difenderci dalla barbarie dei massacratori statunitensi e dei loro servi (e dei servi dei servi), dobbiamo allearci qui da noi con chi intende perseguire interessi nazionali. Sosteniamo anche Pomigliano, Termini Imerese, ecc., ma perché non sono in contrasto (anzi!) con interessi nazionali. Non siamo per la retorica della Nazione; ne teniamo conto solo in quanto i servi dei servi stanno difendendo gli interessi di coloro che si sono sdraiati sulle posizioni dei peggiori criminali mondiali. E gli sporcaccioni che cianciavano di internazionalismo proletario, poi di generiche rivolte di popolo – magari riprese con cellulari, con finte esecuzioni di rivoltosi, talvolta addirittura con foto e film di anni prima e quant’altro per montare la menzogna – sono divenuti servi dei servi dei servi. E noi li combattiamo, sappiamo che sono comuni delinquenti, lerci rifiuti ormai ultrafermentati. Tuttavia, il nostro disprezzo non deve farci deviare dalla ricerca di interessi che servano a dare appena un po’ più di forza (diciamo: un po’ meno di debolezza) alle nostre idee.

   Quindi, non posso che ripetermi: occorre un salto di qualità nella coerenza e amalgama dei nostri discorsi, occorre creare legami, se possibile, con chi difende gli interessi nazionali. Dobbiamo cercare collegamenti in ogni dove con altre forze che si battono, nei loro paesi, per l’autonomia nazionale. Gli scopi sono spesso diversi, i valori pure, ma importante è adesso questo fine di autonomia, che deve interessare qualcuno, cioè fare i suoi interessi non solo ideali. In particolare, dobbiamo essere contro l’infame UE e attestarci, in accordo pur parziale con altre forze, sul concetto di Europa delle nazioni, dei paesi. In ogni caso, dobbiamo coordinare gli sforzi, gli interventi, la ricerca di collegamenti. Bisogna discutere come rendere più stretti i contatti tra noi (anche con “riunioni d’area” fra gli incontri generali). E si trovino nuovi collaboratori (con noi relativamente omogenei).