PERCHE’ IL “CONFLITTO STRATEGICO”

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Si potrebbe cercare di spiegare i motivi di un abbandono, seppur non definitivo, della prospettiva di una trasformazione radicale dei rapporti sociali capitalistici in senso socialista e comunista. Non bisogna mai però abbandonarsi all’ideologia, nel senso peggiore del termine, cioè all’irrazionalità, alle posizioni dogmatiche che sembrano talmente evidenti da non richiedere un ragionamento logico. Marx prese le mosse dalle caratteristiche peculiari e distintive della formazione sociale capitalistica del suo tempo per spiegarne anche la trasformazione; ora alla stessa maniera, in ossequio all’approccio “scientifico”, tentiamo di esporre le ragioni a sostegno della nostra posizione iniziale. Per Marx la società caratterizzata dal modo di produzione capitalista si distingue dalle altre storicamente esistite, e dalle quali la stessa è sorta e si è sviluppata, per via del totale rivoluzionamento della sfera economica. Sarebbe stata questa in ultima istanza, proprio in conseguenza delle radicali trasformazioni a cui storicamente sarebbe stata sottoposta, ad “illuminare di una luce particolare” tutto il resto della società e a provocarne la totale trasformazione. L’irrompere dell’ambito economico sulla scena dello sviluppo storico delle forme di società umane, avrebbe provocato un vero e proprio terremoto tale da scuotere fin dalle fondamenta tutta l’impalcatura della società e provocarne così una radicale ristrutturazione. Marx sviluppa fino alle estreme conseguenze queste sue posizioni, diciamo così iniziali, arrivando a concludere che nella stessa sfera economica dovranno formarsi le condizioni necessarie, seppur non sufficienti, per l’ulteriore balzo in avanti del progresso sociale umano (progresso inteso in termini di generale organizzazione sociale: produttiva, politica ecc.). Ora noi sappiamo che la storia ha dimostrato la falsità di buona parte del corpo teorico del nostro rivoluzionario, non tanto in relazione agli aspetti più prettamente analitici del modo di produzione capitalista, ma quanto piuttosto in relazione al nucleo logico essenziale inerente le sue previsioni; tenteremo quindi di mostrare che le peculiarità dell’attuale fase di sviluppo del capitalismo ci portano in ben altre direzioni. Di conseguenza dovremo prima individuare tali caratteristiche e poi passare all’enucleazione di un ragionamento conseguente.
Dicevamo di Marx e del suo approccio alla problematica della trasformazione sociale; per il rivoluzionario di Treviri non si può prescindere dalla sfera economica, essendo quest’ultima una delle tre sfere fondamentali di cui consta l’intera formazione sociale capitalistica; inoltre come già rilevato, essa possiede quella caratteristica detta di ultima istanza che la farebbe assumere una posizione dominante rispetto alle altre (politica ed ideologico-culturale che non a caso vengono definiti quali appartenere alla sovrastruttura, essendo la struttura a totale appannaggio dell’economica). Ma qui si tocca un punto molto delicato, quindi c’è necessità di porre una particolare attenzione alle varie questioni, per evitare principalmente di non cadere nel più vuoto e pericoloso economicismo. Marx definisce l’economico attraverso tre concetti: il livello di sviluppo delle forze produttive, i rapporti sociali di produzione e la loro interazione; la grandezza
e novità di Marx consistono proprio in questo, vale a dire nell’aver posto al centro della problematica e quindi della sua ricerca teorica un fattore eminentemente sociale (d’altronde l’ultima istanza del fattore economico a mio avviso concerne principalmente se non esclusivamente il processo ultimo di trasformazione/trapasso ad altra formazione sociale, detto in altri termini il concetto di ultima istanza è più legato a quel che lo stesso Marx definiva la tendenza storica del modo di produzione capitalista che le caratteristiche basilari del suo oggetto di analisi cioè la società borghese dell’Inghilterra dell’ 800).
Quindi cosa intende fondamentalmente Marx per sociale? Per Marx il sociale, quindi la società, è un intreccio di rapporti, non tra individui si badi bene, ma tra gruppi di individui accomunati da analoghe condizioni sociali di esistenza (il che rimanda al concetto di classi che a sua volta è legato al peso che le stesse sarebbero in grado di esprimere nell’intero ambito sociale in termini prettamente decisionali), quindi portatori di comuni interessi, e questo sarebbe vero in generale, vale a dire a prescindere dal particolare ambito di cui l’intera formazione sociale sarebbe teoricamente costituita. Tuttavia nell’Introduzione a “Per la critica dell’economia politica” il nostro afferma: «In tutte le forme di società vi è una determinata produzione che decide del rango e dell’influenza di tutte le altre e i cui rapporti decidono perciò del rango e dell’influenza di tutti gli altri. E’ una luce generale che si effonde su tutti gli altri colori modificandoli nelle loro particolarità. E’ una atmosfera particolare che determina il peso specifico di tutto quanto esso avvolge»; risulta abbastanza evidente che per Marx non c’è nessuna connessione deterministica di causa ed effetto tra la struttura (l’economico) e la sovrastruttura (politico ed ideologico-culturale). Lo stesso Engels in una lettera del 1890 chiarì la questione in maniera molto netta: «Secondo la concezione materialistica della storia, il momento che in ultima istanza è decisivo … è la produzione e riproduzione della vita materiale. Di più non fu mai ritenuto né da Marx né da me. Se ora alcuno ha ritorto il senso in modo che il momento economico è il solo decisivo, quel tale ha mutato quella proposizione in una frase astratta, assurda, che non dice nulla. La situazione economica è la base ma i diversi momenti dell’edificio – forme politiche della lotta di classe e suoi resultati, costituzioni fissate dalla classe vittoriosa dopo le battaglie vinte, forme di diritto e persino i riflessi di tutte queste vere lotte nel cervello dei partecipanti, teorie politiche, giuridiche, filosofiche, opinioni religiose, e loro ulteriore sviluppo in sistemi dogmatici – tutto ciò esercita anche la sua influenza sull’andamento delle lotte storiche e in certi casi ne determina la forma». Sostanzialmente lo stesso può dirsi a riguardo del ruolo che lo stesso Marx assegna alla produzione nell’ambito più generale delle attività economiche; rifacendoci alla su menzionata Introduzione, nel secondo paragrafo viene analizzato il rapporto generale della produzione con la distribuzione, lo scambio ed il consumo; tale paragrafo si conclude così: «Il risultato al quale perveniamo non è che produzione, distribuzione, scambio, consumo siano identici, ma che essi rappresentano tutti dei membri di una totalità, differenze nell’ambito di una unità. La produzione abbraccia e supera tanto se stessa, nella determinazione antitetica della produzione,
quanto gli altri momenti. Da essa il processo ricomincia sempre di nuovo [ …. ]. Una produzione determinata determina quindi un consumo, una distribuzione, uno scambio determinati, nonché i determinati rapporti tra questi diversi momenti. Indubbiamente, anche la produzione, nella sua forma unilaterale, è da parte sua determinata dagli altri momenti. Quando per es. il mercato, e cioè la sfera dello scambio, si estende, la produzione cresce in estensione e si divide più profondamente. Se muta la distribuzione, la produzione si modifica; per es., quando si verifica una concentrazione del capitale, una diversa distribuzione della popolazione tra città e campagna, ecc. Infine, i bisogni del consumo determinano la produzione. Tra i diversi momenti si esercita un’azione reciproca. E questo avviene in ogni insieme organico». Quindi la stabilizzazione e la piena maturazione della società caratterizzata dalle forme capitalistiche di produzione e riproduzione, il cui esempio concreto per Marx è costituito da quello inglese del suo tempo, avverrebbe tramite un’integrazione sempre più spinta tra le varie istanze sociali (si potrebbe dire che gli ambiti non economici si conformerebbero-adeguerebbero, come risultato di un ben determinato processo storico, a causa dell’azione preponderante dell’economico, alla nuova congiuntura). L’economico altresì ritornerebbe ad avere un peso relativamente preponderante nel corso dell’ulteriore sviluppo storico in virtù proprio del carattere anarchico della produzione capitalistica che vede in rapporto di competizione i vari capitali; a me sembra abbastanza evidente che la causa principale, per Marx, della formazione delle condizioni della trasformazione dei rapporti capitalistici risieda nel fatto che i vari capitalisti si trovino comunque costretti a lottare-competere fra di loro in virtù proprio del carattere nuovo che la storia delle società umane avrebbe fatto emergere, vale a dire dell’irrompere, nella scena della storia stessa, dei fatti economici.
E’ proprio a causa della competizione che il capitalista è costretto sempre più ad allargare la scala della produzione, il che porta come conseguenza (non unica comunque) ad aumentare sempre più il saggio del plusvalore cioè il tasso di sfruttamento. Quindi il capitalista non è interessato principalmente ed esclusivamente allo sfruttamento della forza lavoro, non è questo il suo obiettivo primario, il suo obiettivo primario è quello di sopravvivere alla competizione. Da ciò scaturisce, fra le altre cose, che egli svolge un ruolo quanto mai attivo all’interno della vita socioeconomica. Comunque ciò condusse Marx alla convinzione che la lotta competitiva sempre più spinta avrebbe portato da una parte alla formazione dei monopoli (alla continua concentrazione e centralizzazione dei capitali), dall’altra alla formazione del lavoratore collettivo cooperativo come conseguenza del continuo aumento del tasso di sfruttamento cui sarebbero sottoposti tutti i lavoratori alle dipendenze del capitalista: dal manovale fino all’ingegnere. Ma il primo aspetto (come ci insegna il nostro Gianfranco) non può scaturire semplicemente da atti circoscritti all’ambito economico-produttivo: le strategie finalizzate alle alleanze per meglio competere attengono a tutti gli ambiti sociali, per essere cioè vincenti economicamente, non ci si può esimere dal continuamente trovare sinergie con attori sociali la cui funzione primaria è di carattere
non economico.
A mio modesto parere Marx nell’elaborare le previsioni di sviluppo dell’insieme delle relazioni sociali, rimase prigioniero di una certa ideologia, forse mutuata dall’idealismo hegeliano; una prova di ciò può essere considerato sempre un pezzo della prefazione di Per la critica dell’economia politica: «I rapporti di produzione borghese sono l’ultima forma antagonistica del processo di produzione sociale; antagonistica non nel senso di un antagonismo individuale, ma di un antagonismo che sorga dalle condizioni di vita sociali degli individui. Ma le forze produttive che si sviluppano nel seno della società borghese creano in pari tempo le condizioni materiali per la soluzione di questo antagonismo. Con questa formazione sociale si chiude dunque la preistoria della società umana». A mio avviso quantunque Marx si peritò di criticare Hegel non riuscì a liberarsi completamente di uno degli aspetti maggiormente caratterizzanti la sua filosofia, vale a dire il presunto carattere teleologico afferente la realtà nella sua totalità. La conseguenza di tutto ciò fu che quando passò ad occuparsi dei possibili sviluppi futuri del sistema delle relazioni sociali caratterizzante la società capitalistica, prevalse l’ideologia (una certa ideologia) sulla scienza da lui stesso fondata (teniamo presente che il processo della conoscenza umana è sempre una commistione di scienza ed ideologia; un certo apparato scientifico – almeno nell’ambito delle scienze sociali – è tale solo se si contrappone ad una ben determinata ideologia svelandone gli aspetti maggiormente mistificatori, ma ciò non significa che esso sia scevro da ogni ideologia). Per analogia con ciò che Engels diceva a proposito delle teorie sul flogisto e della immensa rivoluzione scientifica avvenuta nel campo della chimica ad opera di Lavoisier che a partire da dette teorie scoprì l’ossigeno, potremmo dire che Marx produsse “il conflitto strategico” ma non lo scoprì così come appunto alcuni chimici contemporanei di Lavoisier avevano soltanto prodotto l’ossigeno “senza avere la minima idea di ciò che avevano prodotto”. Se poniamo dunque al centro dell’analisi il conflitto strategico è facile rendersi conto che la dinamica sociale fondamentale non è l’aggregazione tra le diverse entità in reciproca lotta, ma la continua dis-aggregazione (in altri termini si può dire che ci si allea con l’obiettivo di acquisire quelle maggiori forze e capacità necessarie alla miglior conduzione del conflitto al fine di prevalere), senza dimenticare fra l’altro che di settori produttivi ne nascono continuamente di nuovi (ridando così ulteriore linfa al conflitto) in virtù proprio di quel particolare ruolo sociale dell’imprenditore volto alla continua innovazione (non solo di processo ma anche di prodotto) in quanto continuamente sottoposto al pungolo della competizione. Fra l’altro, Marx, c’è da dire trascurò completamente l’innovazione di prodotto e si concentrò esclusivamente su quello di processo, proprio perché non portò fino alle estreme conseguenze il discorso sulla conflittualità tra capitalisti, non lo pose completamente al centro della sua analisi, lo rilegò ai margini, si concentrò fondamentalmente non tanto sulle tecniche di estrazione del plusvalore assoluto ma quanto di quello relativo (e la conseguente teoria dello sfruttamento della forza lavoro con tutto quel che ne consegue in termini della formazione della classe rivoluzionaria cioè il lavoratore collettivo di tipo
cooperativo) ma sempre comunque, ribadisco, come conseguenza della competizione. Questo breve scritto in definitiva vuole contribuire a produrre alcuni altri elementi tesi a “giustificare” la bontà del nuovo approccio scientifico di La Grassa; tale approccio dà rilevanza principale, all’interno di una possibile e necessaria nuova teoria della società capitalistica a cui lo stesso studioso sta lavorando, al concetto di “conflitto strategico” da cui discendono previsioni (in forma comunque ipotetiche) completamente diverse da quelle di Marx in relazione soprattutto al soggetto della rivoluzione e quindi alla possibilità stessa della rivoluzione. Non aggiungo altro in relazione a questi ultimi aspetti, perché è bene, per chi è veramente interessato, si legga i numerosi scritti che La Grassa ha prodotto in proposito negli ultimi tempi.