POCHE PAROLE CHIARE

Riporto in appendice l’art. di Foa, anche se in un certo senso non dice nulla che già non si sapesse. Tuttavia, al di là di critiche che qualche volta il blog può avergli rivolto (ma del resto piuttosto benevolmente), non credo che nessuno di noi lo ritenga una scimmia urlante, anzi tutto il contrario. Lo riporto perché mi sembra consapevole che un ciclo si è chiuso; e tuttavia, il sottoscritto che lo considera sicuramente tale, ne trae conclusioni del tutto diverse. Immagino che nemmeno Foa abbia potuto dire tutto ciò che pensava; non credo affatto per opportunismo, ma per cautela. Una cautela che a volte è, almeno a mio avviso, negativa. Riporto quest’articolo perché mi serve per spiegarmi, in un certo senso per differenziazione.

Dal dicembre scorso, come spero i lettori ricorderanno, ho cominciato a parlare di “sorprese che sorprenderanno”. Non ero sicuro al 100%, ma al 90 sì, che il 14 dicembre Berlusconi non sarebbe stato sfiduciato. Il perché era semplice: una serie di “indizi” segnalavano il suo inchinarsi totale di fronte ai “nuovi” Usa; sia per cedimento proprio (forse già iniziato con prudenza nell’ottobre del 2009 dopo la visita strettamente personale a Putin e videoconferenza con Erdogan) sia per indebolimento della Russia e di altri paesi (Turchia, ecc.) che avevano creato qualche speranza, ma che forse, proprio in quel viaggio, avevano mostrato al premier la loro incipiente debolezza. I fatti della prima metà di quest'anno sono tassativi pur se non ancora ultimativi. Continuare con la solfa dell’alternativa democratica e liberale non è accettabile, almeno da parte mia; simile alternativa è in realtà impossibile. Lo era del resto chiaro fin dal putsch di “mani pulite” (con i mandanti che già conosciamo). O governavano i fiduciari degli Usa (detti “sinistra” quando non lo sono per nulla!) oppure si creava un continuo clima di scontro, con distacco di parti del centro-destra (dopo il 1994 la Lega, dopo il 2001 Casini, dopo il 2008 Fini) e la conseguente impossibilità di governare da parte di questo schieramento, del resto raccogliticcio e improvvisato.

Occorreva qualcuno che avesse “le palle” e controllasse gli organi del potere reale (in mano invece ai filo-atlantici) e sapesse nel contempo creare una propria milizia. Del resto, chi voleva governare l’Italia, nella situazione creatasi dopo il ’92, avrebbe dovuto dedicare alle puttanelle non più del 10% del proprio tempo; e nel massimo segreto. Adesso, i cosiddetti “moderati”, definiti (sempre impropriamente) di “destra”, ricominciano con la storiella dell’alternativa democratica per cui il “centro-destra” si dovrebbe attrezzare ristrutturandosi. Mi sembra che l’art. di Foa vada in questa direzione. E’ una visione fallimentare; entrerà in moto un ben diverso processo di completo adeguamento del nostro paese alla UE, organizzazione totalmente subalterna agli Usa. Sarà solo da vedere se gli americani (usando anche del loro fiduciario in Italia; sapete chi è, no?) preferiranno che il processo di transizione sia guidato (solo nella forma) dal premier attuale o se gli intimeranno di andarsene; non proprio come a Mubarak, ma la sostanza sarebbe quella. Anche con il presidente egiziano non era tutto deciso fin all’inizio, poi si scelse la strada per lui più secca e dura. Sbaglierò, ma anche in Italia si sceglierà alla fine questa seconda via. Lo ripeto, non con le stesse modalità formali; intanto un disfacimento della “maggioranza” e poi o nuove elezioni o un governo di transizione detto di unità nazionale o altra invenzione di un qualche tipo “trasversale”.

Ci sono alcuni, non molti ma nemmeno pochissimi, che sostengono di avere a cuore l’autonomia italiana; necessaria almeno in una certa misura al fine di sviluppare una serie di settori importanti per il nostro sistema economico e quindi per una configurazione dei rapporti tra vari raggruppamenti e ceti, che ridia integrità al nostro tessuto sociale ormai strappato in più punti dalle “scimmie urlanti”. Occorre sanare il vulnus creato negli anni ’70 dal compromesso storico con gli effetti che ho già messo in luce nei miei precedenti pezzi. Non si può riuscirvi con poteri industriali e finanziari succubi degli Usa, con un ceto medio semicolto di puri parassiti che vogliono continuare a vivere a sbafo dei lavoratori produttivi, con un presunto centro-destra diviso tra altre scimmie e liberali disarmati. Coloro che hanno a cuore veramente l’autonomia del paese dovrebbero cominciare a dialogare fra loro e a porsi il problema se si può resistere ad una potenza come gli Usa, con le sue quinte colonne ben impiantate nel paese, con semplici chiacchiere.

Certamente, riconosco che in questo momento non soccorrono i rapporti di forza esistenti sul piano internazionale, dove gli Usa, con la loro nuova strategia del caos, lo stanno appunto creando dappertutto. Poi cercano di approfittarne per insediarvi le loro “punte avanzate”; e ove non vi riescano, non importa, perché come minimo resta una terra di nessuno dove non ci si raccapezza facilmente. Si può quindi passare ad altra area, collocata in modo da punzecchiare e infastidire gli avversari, ripetendo lo stesso gioco con gli stessi intenti (o controllo o terra di nessuno in gran fermento). Per l’Italia dunque, va da sé, il compito è difficile. Tuttavia, si deve iniziare a svolgerlo. A questo fine, Berlusconi non serve; la si smetta di trincerarsi dietro di esso, dovrebbe bastare l’esperienza di quasi vent’anni. E’ necessario chiamare i settori di punta (sostituendo i loro vertici gestionali, pronti a vendersi) a produrre una politica diversa e competitiva verso gli altri: sia i partner europei che gli ambienti statunitensi aggressivi. E’ necessario irradiare la propria attività dalla sfera più propriamente economica a quella politica, chiamando però a raccolta forze di carattere decisamente e sinceramente nazionale.

Nulla a che vedere con il nazionalismo aggressivo di altri tempi, semplicemente nessuna concessione al cosmopolitismo – che una sinistra di tradimento ha sostituito al vecchio fallimentare internazionalismo dei comunisti d’antan – per rivendicare non un “posto al Sole”, ma la propria indi
pendenza dai gruppi dirigenti statunitensi ormai in perpetua azione criminale. La sinistra di tradimento e di piena subalternità agli Usa mobilita il ceto medio semicolto, questo prodotto – diretto e indiretto come spiegato nell’ultimo scritto – di un ignobile compromesso, risultato fatale ad uno dei contraenti (la Dc). E’ ovvio che tale ceto – dopo aver invaso, al servizio dei poteri forti subalterni agli Usa, tutti i mass media – non voglia più “mollare l’osso” e continui a creare disordine e clima da guerra civile per difendere la possibilità di sbafare a spese di chi produce ricchezza (lasciamo per favore stare il plusvalore, che serve solo a confondere le idee in tale frangente, oltre a dividere i possibili alleati contro il “magna-magna” di questi parassiti).

I “roditori” servono però anche ad un altro scopo. I filo-americani tengono comunque pronta un’altra opzione; chiamiamola obamiana con la sua propaggine napoletaniana in Italia. E’ la prospettiva adombrata nel bisbiglio tra Berlusconi e il presidente americano. Una transizione più ordinata – perfino ancora guidata per qualche tempo dal premier e poi con cambio di cavallo “trasversale” – isolando, senza troppo deluderle, le “scimmie urlanti” per arrivare “democraticamente” agli stessi fini che, se questa via non bastasse, verrebbero perseguiti ridando fiato alle scimmie suddette. O ci sono forze nazionali dotate di poteri reali – che, in ultima istanza, sono sempre “armati” e capaci di violenza (non cieca, solo adeguata al fine) – oppure è perfettamente inutile perpetrare illusioni mediante favole “democratiche e liberali”. Ovviamente, occorre però che ci siano forze politiche decise, formate pur esse in modo “trasversale” ma cementate dal fine della difesa nazionale. E queste forze, che devono intrecciarsi strategicamente con i settori decisivi per la nostra autonomia, devono riuscire a sollevare, anche attraverso una campagna di informazione e di battaglia ideologica senza più remore del passato, lo sdegno dei ceti produttivi contro quelli parassitari della “spesa pubblica”.

Togliere l’acqua (tale spesa appunto) ai parassiti, renderli disperati e farli uscire allo scoperto in una battaglia campale, mobilitando le proprie riserve nei settori e ceti sociali utili al paese (cioè a se stessi, in definitiva). Non potrà però mai essere una battaglia “elettorale”, di nessun tipo di elezioni. Queste presuppongono un tessuto sociale non lacerato ed equilibrato nei termini delle rispettive proporzioni tra ceti e gruppi. Nessuno dei quali, salvo eccezioni, è inutile; solo che il famoso “compromesso storico” ha alterato in modo grossolano e demenziale ogni proporzione equilibrata, creando una massa di totali improduttivi, solo “tarli roditori”, che formano le schiere dei disadattati e socialmente superflui, vero cancro nazionale, da cui i “padroni” (specie esteri) traggono le loro squadracce del caos e dello sbriciolamento sociale. Insistiamo quindi a richiamare al senso di responsabilità, senza nessun riferimento a passati ideologici ormai “muti”, tutti quelli che non vogliono restare sotto questi “padroni”. Se non cambia la situazione internazionale, sarà una battaglia dura. Se non si ha l’intenzione o la forza di affrontarla, almeno non si finga di essere dei “buoni democratici”; chi agnello si fa, il lupo se lo mangia. Se qualcuno crede di salvarsi con il buonismo compromissorio è meglio sappia che o si vende al 100% o resterà sconfitto.

 

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