POLITICA IN DECOMPOSIZIONE di G. La Grassa

La decomposizione della politica italiana – che non significa l’affermazione della sedicente antipolitica – è in atto da almeno quindici anni, ma oggi sta raggiungendo vertici da “opera d’arte”. Dire che abbiamo toccato il fondo non ha senso, giacché non esiste un fondo, non almeno fino a quando si sfascia tutto e si verifica un evento traumatico che talvolta ripone “la barra al centro” (sia chiaro che non mi riferisco al centro in quanto fasulla categoria della politica).

La sinistra sta scrivendo una delle peggiori pagine fra quelle pessime di cui è ricchissima la sua storia, sia a livello nazionale che sul piano mondiale. La sinistra italiana è poi, caso solitario nell’Europa occidentale e pressoché tale anche nella UE, ancora in mano ai piciisti – non comunisti come sostiene, nella sua ignoranza, Berlusconi seguito dall’intera destra – i quali hanno continuato a cambiare nome restando sempre gli stessi trinariciuti comandati da perfetti bugiardi e amorali. Con alcuni cambiamenti in peggio. I dirigenti sono di una meschinità assoluta, rappresentano l’effettiva “banalità del male”, mentre questo non si poteva dire di quelli della vecchia generazione, di notevole peso e spessore. Le truppe cammellate di ottusi “fedeli” sono costituite, per fortuna, da un numero sempre minore di operai e (autentici) lavoratori in genere, sostituiti da consistenti nugoli di cavallette che divorano quote decisive di una crescente spesa pubblica (gravante sulle spalle di chi lavora e produce realmente). Non parliamo degli intellettuali “di sinistra”; un tempo (lontano) il meglio che tale ceto sapesse esprimere, oggi decisamente il peggio, il più squallido, conformista (del “politicamente corretto”), cinico, mediocre. 

Lo schieramento di “sinistra” in Italia comprende un incredibile miscuglio di partiti e partitini, che vanno dai residui o dai mutanti (di nome e non di fatto) piciisti fino a quelli di impostazione ultraliberale e conservatrice (diciamo pure: reazionaria). L’unico loro elemento comune è l’assalto al “potere” (quello di servi del grande capitale più parassitario che esista nel globo), l’occupazione di ogni posto nell’amministrazione pubblica, nei media, nell’editoria, in ogni (grande o piccola) greppia che consenta di mangiare alle spalle dei produttori. D’altra parte, non esiste un’opposizione degna di questo nome. C’è chi crede nell’implosione autonoma del Governo – grazie all’azione di politicanti privi di qualsiasi idea(le) e solo dediti all’arraffare (per cui non si schioderanno mai dalla maggioranza, ponendo solo ricatti e ricattini per ottenere qualcosa in più) – con ciò stesso ammettendo di non avere alcuna linea programmatica alternativa da proporre. C’è chi fa la voce grossa (o invece melliflua) – parlo di Fini e Casini – ponendo attenzione a non far cadere il Governo, con il rischio di elezioni anticipate, fino a quando non “invecchi” e si logori Berlusconi che questi “giovani” vogliono sostituire al più presto.

Una situazione del tutto incartata alle spalle del paese in accentuato declino e in mano a bande finanziarie voraci e imbroglione, con una grande industria in panne (che spesso trucca i suoi bilanci per farsi credere sana) ed una piccola che tira la carretta, ma non è in grado di indicare una strategia di possibile ripresa del paese. Ci sono alcuni punti forti; e che si tratti di imprese ancora in larga parte “pubbliche” non significa nulla, poiché sono dirette da propri apparati manageriali, tipici di ogni grande impresa. Esse non sono però coadiuvate per quanto meriterebbero; anzi il fattore “pubblico” (cioè la possibilità del Governo di “rompere le scatole”) costituisce un inciampo, dal quale tali imprese si difendono con una certa efficacia, ma forse perdendo tempo utile (anche perché lo stesso apparato manageriale ha “quinte colonne” sensibili agli interessi della “sinistra”, solo divoratrice di risorse per le proprie cosche e per quelle della finanza e industria parassitarie, ma loro amiche e sostenitrici).

 

Incredibili le votazioni organizzate dai sindacati (Welfare) e quelle svoltesi per incoronare il reuccio dell’unione perversa di due fondamentalismi: il piciista e il sedicente cattolico, una parodia e degrado verticale del vecchio “cattocomunismo”, che già aveva accumulato non indifferenti dosi di negatività ai fini dello sviluppo civile e morale di questo “pauvre pays”, rimasto ad un insopportabile livello di ipocrisia, perbenismo, finto buonismo e ancor più finta apertura dei costumi, che hanno significato solo il festival del permissivismo e la fine di ogni regola di convivenza minimamente ordinata e organizzata.

Soprattutto per quanto riguarda “gli oltre tre milioni” che hanno votato l’incoronazione di cui detto – una bufala che fa il paio con quella dei “famosi” quattro milioni per Prodi – sono state certificate (da giornali, da Striscia la notizia, ecc.) pluri-votazioni (fino a cinque) per un singolo elettore, senza il benché minimo controllo. Hanno perfino votato, spiritosamente, dei Napoleone, dei Custer, ecc. (dimostrando l’alto grado di cultura delle truppe cammellate dei diesse). Tuttavia, nulla si è mosso, nemmeno l’opposizione ha troppo contestato; si può ben dire che c’è stata connivenza generalizzata. Non mi sembra di aver notato nemmeno vibrate proteste del “grillisti”. Qualche ironia, anche da parte di comici e umoristi di sinistra, ma nulla più.

Fra l’altro, di solito, nei “buoni tempi andati” i segretari (o presidenti, ecc.) venivano eletti in un congresso di partito, almeno in quello di fondazione dello stesso. Oggi il “capo” è “nominato” già in anticipo da una indistinta massa di cittadini, molti dei quali non avranno mai nulla a che fare con il partito in questione. Infine, pur lasciando da parte i brogli (nient’affatto occasionali e limitati, vista l’assoluta carenza di sorveglianza), ha votato per l’investitura un terzo, e forse meno, degli elettori di centro-sinistra. Non sono un patito della democrazia (di questa democrazia elettoralistica), ma coloro che si sciacquano la bocca con tale parolina ogni minuto dovrebbero avere qualcosa da obiettare; invece nulla, solo un’orgia di trionfalismo, non a caso mediaticamente orientata dalla TV statale – totalmente in mano alla sinistra (anche secondo l’Osservatorio di Pavia, ossessivamente tirato in causa dai sinistri durante il Governo di centrodestra) – e dai giornali della “casta” finanziario-industriale parassitaria (in testa il disgustoso e faziosissimo Corriere di Mieli).

 

Dopo tutti i balletti sul Welfare, alla fine si è trovato un accordo al ribasso, con l’astensione dei due ministri “comunisti” che pensano così di salvare l’anima assieme ai loro posti e posizioni nell’ambito di un “potere” servo dei “padroni”. I puntelli dell’accordo sono Confindustria (i  suoi “alti dirigenti” che rappresentano se stessi, cioè le mignatte della GFeID) e la “cupola” degli apparati sindacali (della “Triplice”, un’associazione di organismi burocratici che assorbono la ricchezza prodotta dai loro sedicenti assistiti, in realtà raggirati e peggio).

La situazione è più o meno quella dell’URSS di Breznev, con molta ipocrisia in più; almeno in quel paese non vi era la finzione della separazione tra politica ed economia, in quanto i vertici del partito (unico) erano i governanti e, nel contempo, i veri dirigenti delle grandi imprese (i kombinat) di cui pianificavano centralmente (“statalmente”) l’attività. In Italia, i gruppi dominanti – grandi proprietari “privati” finanziario-industriali e i capi della suddetta “Triplice” sindacale – erigono a finto mediatore il Governo di centrosinistra, la loro “creatura” (così era chiamato anche il “mostro di Frankestein”), che essi ogni tanto strigliano e tirano per le maniche onde mettere in piedi la sceneggiata necessaria a far digerire al popolo le terribili fregature, fatte passare per mediazioni e compromessi “tra parti sociali” (anche detti “concertazione”, parolina che crea solo sconcerto in chiunque abbia nella scatola cranica almeno 4-5 grammi di materia cerebrale). A questa ignobile farsa, l’ala “radicale” della sinistra (con i suoi Ministri, parlamentari, segretari, consulenti; un esercito di piccoli predoni) contribuisce con tutte le sue forze, anche se ultimamente è un po’ in affanno perché le si chiede di troppo mentire e imbrogliare i suoi sostenitori.

Intendiamoci: può anche accadere che qualcosa di buono esca perfino da questi cervelli bacati. Non sono in grado di giudicare – non sono un “esperto” – la riforma sanitaria che sembra verrà presto proposta. Si tratterà di vedere con quali “mediazioni” sarà infine approvata; soprattutto come e da chi e con quali eventuali vantaggi (della popolazione o solo di dati personaggi in precisi ruoli?) verrà applicata; quale sarà la spesa in rapporto all’effettivo servizio svolto (non soltanto dalle parole con cui vengono presentati i programmi e progetti di legge). La stessa cosa dicasi per il lavorio che sta svolgendo Bersani, intromettendosi nella riorganizzazione della struttura imprenditoriale e di mercato nel settore dell’energia (in particolare quella elettrica). Sui giornali (di “disinformazione”, soprattutto quelli della “casta” denominata GFeID) non si leggono notizie molto precise in merito; per il momento sembra trattarsi di operazioni non ben chiare, il giudizio sulle quali non può comunque essere emesso con eccessiva sicumera e superficialità di conoscenza.

 

E’ però ormai possibile dare un giudizio di massima su chi comanda in questo paese, su chi sono i migliori servitori di un capitalismo come il nostro, rapace e incapace nel suo complesso. L’apparato finanziario è di sostanziale rapina (troppi e troppo precisi  i servizi e le notizie in proposito); per di più è difficile negare che dipenda in buona parte dalla finanza del paese predominante centrale. I settori industriali e del terziario sono ancora eccessivamente sminuzzati nelle PMI (piccole e medie imprese) in nome di un, da poco superato (e non del tutto), gradimento per “il piccolo è bello”, del resto oggi sostituito, con altrettanta miopia, da un “medio è bello”. La grande industria resta decotta (salvo le poche imprese cui si è sopra accennato) e nel complesso non serve gran che in tema di strategie per il sistema-paese, avviato alla stagnazione, ad un regresso delle quote nel commercio internazionale (tutti parlano solo dei valori assoluti, non delle percentuali). Quello che però preoccupa di più, se non vogliamo restringerci entro i soliti e banali confini economicistici, è la perdita di peso complessivo, strategico appunto, dell’Italia.

Mi dispiace ripetermi, ma il gioco degli specchi (tra destra e sinistra) non ci risolverà alcun problema; continueremo ad essere rapinati, a restare in stagnazione economica e declino strategico, a vedere disfarsi e marcire il tessuto sociale, in mano a ceti che non contribuiscono alla crescita (sociale e culturale oltre che economica) del paese, bensì al suo netto impoverimento (ancora una volta, non semplicemente economico). Dobbiamo liberarci di questo quadro politico, mandare a casa quello sindacale, mettere in condizioni di non più nuocere, rapinando, quello finanziario e promuovere quei settori industriali (della nuova fase di “distruzione creatrice”) che darebbero una nuova spinta verso l’alto. Compiti per i quali occorre una “grande trasformazione”, un brusco e non indolore risveglio di vasti settori della popolazione; che avranno comunque da sconfiggere consistenti quote della stessa, quelle costituite da sanguisughe, in genere patrocinate dalla sinistra, che opporranno resistenza a vedersi sottrarre la possibilità di vivere alle spalle dello Stato, cioè in realtà di un apparato fintamente “amministrativo”, dedito invece a derubare la maggioranza per alimentare una non infima minoranza di insetti parassiti. Soprattutto occorre una radicale svolta politica, la nascita di una forza tale da infrangere, senza tanti complimenti, la suddetta resistenza delle sanguisughe, che vanno trattate per quello che sono, con la “simpatia” che suscitano tali “animaletti".