PROFUMO D'INTESA (di G. Gabellini)

Due eventi freschi di cronaca hanno scosso il già turbolento panorama politico e finanziario italiano. Il primo è la messa in onda, nientemeno che su RAI2, della puntata de "l'ultima parola", programma condotto da Luigi Paragone, dello scorso 17 settembre, mentre la seconda riguarda l'"impeachment" di Alessandro Profumo da parte del Consiglio Di Amministrazione Unicredit.
Per quanto concerne il programma televisivo, occorre subito sottolineare che si è trattato di un ottimo servizio informativo, che è riuscito, seppur parzialmente, a far luce sul problema che attanaglia lo stato italiano da diversi decenni, ovvero le continue ingerenze interne della solita “manina d’oltreoceano” . Come è noto a quanti hanno seguito il programma, Andrea Paragone ha sollecitato i suoi ospiti a formulare delle analisi sulla possibilità che Berlusconi sia il cavallo sgradito a certi Poteri Forti americani e che, di conseguenza, stia subendo pesanti attacchi ben congegnati e condotti dai suddetti centri di potere. Se su quattro dei partecipanti al dibattito, che sono Vittorio Feltri, Vittorio Sgarbi, Peter Gomez e Filippo Rossi (finiano “docg”) è bene sorvolare, poiché la storia parla eloquentemente per loro, molto più produttivo risulta invece analizzare le posizioni tenute dagli altri tre ospiti, che sono Lucia Annunziata, Pietrangelo Buttafuoco ed Enrico Mentana. Lucia Annunziata è stata a dir poco sorprendente, in quanto ha ammesso la plausibilità del discorso e  riconosciuto apertamente la possibilità che all'origine del cosiddetto "strappo" di Fini e della sua combriccola vi siano le brame del Dipartimento di Stato e di alcuni membri assai influenti dell'amministrazione Obama come Joe Biden e Nancy Pelosi, ed indicando non tanto Berlusconi in sé quale "pomo della discordia", quanto i settori economici e finanziari che lo sostengono e di cui tutela gli interessi. L'intensificazione dei rapporti con Russia e Libia (si parla di 300 miliardi di euro in otto anni) avrebbe portato parecchia acqua al mulino di alcune aziende strategiche come ENI, ENEL e Finmeccanica, e la cosa non va affatto giù agli inquilini di Washington, che si sono infatti prodigati a chiedere chiarificazioni in merito agli investimenti italiani effettuati in paesi "non considerati amici" (notare il “pudore”). Buttafuoco è addirittura più estremista, poiché si è spinto a leggere l'odierno interessamento statunitense nei confronti dell'Italia in chiave geopolitica classica, inquadrando la faccenda come un chiaro segnale di decadimento di un impero, che si vedendosi indebolito, si trova inesorabilmente costretto a rastrellare ogni briciola ai suoi paesi storicamente subordinati. E’ un dato francamente inoppugnabile che laddove si presentino bagliori di autonomia nazionale che sottraggono denari e potere a certi poli finanziari, gli Stati Uniti intervengono sempre, chiamando a raccolta i propri sodali e riallineando la situazione sulla direttrice atlantica. Mentana si è dimostrato invece il più freddo a questo proposito, liquidando tutta la faccenda come una "spy story". A guardarla bene, la sua visione dei fatti rappresenta un classico nel giornalismo italiano, interessato a circoscrivere il campo degli interessi e a far ricadere l'intera responsabilità degli eventi sulle solite, insignificanti pedine. Così è stato in occasione della strage di Portella della Ginestra, in riferimento alla quale ancora oggi si continua a dar tutta la colpa a Giuliano e ai mafiosi, buttando nel cesso le moltissime testimonianze oculari che parlarono chiaramente di uomini in divisa americana sistemati sui roccioni del monte da cui erano partiti i colpi; così è stato per l'omicidio di Aldo Moro, attribuito solo a Moretti e a qualche burattino BR in spregio alle tante coincidenze e agli incredibili depistaggi "istituzionali", interessati ad accreditare quella specifica e innocua versione dei fatti; così è stato per le stragi di Milano, Brescia e Bologna, in cui si puntò il dito contro il neofascismo, rifiutandosi di prendere in considerazione ogni indizio, prova o dichiarazione (la pista indicata dal terrorista Carlos per la strage di Bologna, ad esempio, non è mai stata vagliata) che indicasse qualcosa di più e di diverso.
Ad ogni modo, la trasmissione ha fornito alcuni strumenti indispensabili a leggere con un briciolo di obiettività l'altra vicenda cruciale di questi giorni, ovvero la cacciata di Profumo dal suo vecchio ruolo (che ha ricoperto per più di dieci anni) di Amministratore Delegato di Unicredit. Va preliminarmente chiarito che Profumo è sempre stato un banchiere di riferimento del Partito Democratico, notoria testa di ponte in Italia dei grandi agenti del capitale d'oltreoceano, e che, di conseguenza, la sua estromissione andrebbe probabilmente letta alla luce di questo fatto, ovvero in chiave politica molto più che economica, come hanno fatto tanti altri "tecnici" (come Giavazzi sul "Corriere della sera"). Si badi che siamo probabilmente di fronte a un'abilissima manovra che non si addice assolutamente a un uomo di scarsissima caratura politica come è Berlusconi. Tuttavia, Berlusconi ha strumentalizzato il graduale afflusso di capitali libici in Unicredit mediato con Gheddafi in occasione della sua visita a Roma, scatenando le ire di alcuni patetici leghisti come Flavio Tosi, il quale ha prontamente stigmatizzato l'accaduto con l'esilarante affermazione secondo cui "I libici non fanno gli interessi di Verona e del Veneto". Il richiamo, di per sé ridicolo e consono solo ed esclusivamente alla cieca ottusità della Lega, funse però da campanello d'allarme, in quanto prospettò lo spettro scalata (di ricucciana memoria) e della conseguente "OPA" (Operazione Pubblica d'Acquisto) da parte dei libici, cosa che spinse immediatamente Profumo a rassicurare i timorosi vertici di Bankitalia sulle scarsissime possibilità di riuscita di questa fantomatica prospettiva. Dal canto suo, la stampa in mano all'inquilino di Arcore si è immediatamente allineata a quella tedesca, che auspicava da tempo, e palesemente, la rimozione dall'incarico di "Mister Arrogance", nomignolo affibbiato a Profumo, per portare a termine il progetto di ammodernamento e unificazione dell'istituto bancario, tradizionalmente frammentato e radicato in alcune zone che vanno dal Nord Italia alla Germania centro – meridionale. Profumo, bersagliato da ogni direzione, ha tentato di mantenersi a galla difendendo la sua scelta di favorire l'afflusso di capitale libico, puntualizzando che il suo mestiere è quello di banchiere e non di politico, ma non è riuscito a reggere l'attacco congiunto e si è trovato costretto a capitolare dietro congrua e lauta buonuscita (una quarantina di milioni di euro). A beneficiare della sua uscita di scena è stata sicuramente quella vecchia volpe di Cesare Geronzi, leader di Generali, tradizionalmente e altrettanto superficialmente considerato alleato di Berlusconi, laddove si tratta di un banchiere equilibrato, cioè non schierato con certi Poteri Forti. Geronzi si è, in questo modo, sbarazzato di un "concorrente" agguerrito e pericoloso, che aveva guidato saldamente uno dei più solidi istituti di credito internazionali, e che si sarebbe certamente opposto a far pendere l'ago della bilancia dalla sua parte (che è, spesso indirettamente, quella di alcuni settori che a suo tempo si erano opposti
alla privatizzazioni di inizio anni Novanta), affermandosi come il manager di maggior prestigio nel panorama finanziario italiano. Da questa posizione, costui brama senza dubbio di metter le mani su quello che è senza dubbio il più importante polo finanziario italiano, che è Mediobanca del defunto manovratore oscuro (nemmeno troppo) Enrico Cuccia. Così facendo, Berlusconi ha preso due piccioni con una fava, togliendosi d'impiccio un banchiere pericoloso come Profumo e ingraziandosi i favori di quello che per lui è sicuramente il manager più affidabile, che in prospettiva potrebbe anche giungere a esercitare un certo controllo su Mediobanca, principale punto di riferimento dei soliti Poteri Forti, nell'impotenza dell'altro Azzeccagarbugli che si trova alla presidenza di Bankitalia. A breve si terranno le elezioni, e Berlusconi si è certamente ipotecato il primo tempo dell'intera partita finanziaria, che in passato si è sempre rivelata fondamentale nel determinare gli sviluppi della politica italiana.