PROSEGUIAMO (di Giellegi, 21 dic. 2010)

    1. “Come diceva Benedetto Croce, i politici e gli amministratori non andrebbero giudicati dalla loro moralità privata, ma in base alla loro efficienza pubblica. E’ degno di governare chi sa risolvere i problemi del Paese. Quando siamo malati al chirurgo chiediamo di salvarci la vita, il fatto che paghi le tasse fino all’ultima lira o che sia marito fedele poco ci importa. E’ il moralismo più bigotto, per giunta applicato a senso unico, che sta rovinando il Paese”. Poi aggiunge, anche se meno importante per quanto interessa noi (ma non certo inessenziale): “Non so se Vendola, nuovo astro della sinistra, abbia amanti o scheletri nell’armadio, certo è che la sua Puglia è tra le regioni peggio amministrate, con buchi di bilancio da brividi. Dicono che non abbia ombre anche Rosa Russo Jervolino, ma da quando lei è sindaco Napoli è precipitata ancora di più nell’abisso dell’abbandono oltre che dell’immondizia [aggiungo io che per quasi vent’anni la Campania è stata governata dalla “sinistra”; ndr]. Ora tocca alla Toscana” (dall’editoriale di Sallusti del 19 dicembre).

   Siamo stati governati dalla Dc (poi si aggiunse il Psi, ma non riuscì mai a scalzarla dalla posizione di maggioranza relativa) per poco meno di mezzo secolo. Si trattava di un partito detto cattolico, fortemente legato alla Chiesa, ma il moralismo, certo ipocrita e pesante, non fu mai così prevalente da stravolgere o paralizzare le scelte politiche e le loro motivazioni cogenti. Niente “tette e culi” in TV (del resto fino agli anni ’70, poi si aprirono molte brecce), ma gli sceneggiati e spettacoli teatrali trasmessi a quei tempi oggi ce li sogniamo. L’autentico moralismo reazionario, distruttore del tessuto politico e amministrativo degli ultimi vent’anni, ebbe i suoi natali proprio subito dopo la “grande rivoluzione” dei costumi operata dal ’68. Nel 1972 divenne segretario del Pci Enrico Berlinguer, e con lui iniziò l’inoculazione di quel veleno moralistico nella politica e nella amministrazione pubblica che ci ha condotti alla marcia situazione odierna. Si è trattato di un moralismo veramente miserabile, unito all’occupazione di quel corpo che amministra la sedicente giustizia. La miscela di questo falso moralismo e del giustizialismo, entrambi a senso unico, è stata effettivamente orrida e disgustosa.

   Fin quando è esistito il mondo bipolare – e il Pci era ancora diviso in più anime, di cui alcune rinviavano comunque ad una stagione passata, pur sempre migliore anche se intrisa di quello che noi “marxisti-leninisti” criticavamo come revisionismo (“kautskiano”) – quel moralismo devastatore e fonte di infezione sociale rimase minoritario in politica. Però, com’è ben noto, alcuni comportamenti di Dc-Psi non erano ben visti dagli Usa, che non ammettevano margini di autonomia nel loro campo. Non torno sulla spiegazione da noi fornita innumerevoli volte del colpo di Stato, mascherato da operazione giudiziaria, che ha distrutto il vecchio regime, non abbastanza servile nei confronti degli Usa una volta che questi si illusero per qualche anno di instaurare un monocentrismo globale. Furono scelti i rinnegati e furfanti del Pci, come nucleo centrale di una presunta sinistra, circondati da altri rinnegati della Dc e del Psi, salvati appositamente dalla manovra di “mani pulite”. Questa ammucchiata di meschini e vili politicanti, supportata da un ceto intellettuale obbrobrioso, si autonominò sinistra, e progressista, per continuare ad ingannare i trinariciuti, vecchi militanti di ben altro Pci. La nostalgia del comunismo era tanta, ma l’abitudine all’obbedienza ai capi lo era pure, cosicché i lavoratori (esecutivi, gli “operai”) della vecchia guardia, che oggi costituiscono come pensionati il grosso degli iscritti ai sindacati (in particolare alla CGIL), rimasero a seguire una politica di cui Agnelli disse: “i miei interessi di destra sono meglio difesi dalla sinistra”.

   Non era appunto una sinistra, questo l’inganno. Non erano gli antifascisti della Resistenza – di cui Cossiga disse che fu all’80% comunista – bensì quelli fascisti fino all’ultima ora, fino all’opportunistico tradimento dell’8 settembre (diciamo che qualcuno si era staccato un po’ prima, ma non aveva gran che rischiato, aspettando il proprio turno di recitare la parte dell’eroe, ottenendo che venissero oscurate nel dopoguerra per decenni le proprie dichiarazioni, i propri articoli sui giornali, inneggianti al fascismo). Erano quegli antifascisti, di cui una gustosa vignetta di quegli anni recitava: “tengono il pugno chiuso perché se lo aprono cade giù il fascio”. Puri infami riciclatisi poi in “europeisti”; di quelli non alla De Gaulle, ma della UE legata e succube della Nato a direzione americana. Una banda di maneggioni e politicanti al servizio altrui, che ci ha portato in una Europa Unita del tutto disastrosa, accettando un cambio lira-euro semplicemente demenziale; mossa questa che sarebbe dovuta bastare per processarli e condannarli. Invece nulla; al massimo, abbiamo avuto un Berlusconi che ha fatto fallire il piano della completa svendita e subordinazione, ma che non aveva la stoffa se non per resistere; certo a lungo, senza tuttavia mai risolvere nulla, senza mantenere le promesse che avrebbero potuto condurre alla formazione di un blocco sociale da paese effettivamente autonomo, annientando finalmente, ed estirpando totalmente dal tessuto sociale, il cancro della falsa sinistra.

   Da questa sinistra si staccarono piccoli gruppi di semplici nostalgici, in fregola di rifondare il comunismo, ormai morto e sepolto da decenni; un processo storico finito e ri-finito, di cui sussisteva una morta ideologia adatta a cervelli cristallizzati, che non produssero nulla se non ancora moralismo e pietismo da “frati scalzi”. Alla fine, i loro vertici si sono dimostrati soltanto capaci di ingannare gruppi, via via più esigui, di gente anche per bene, ma dalla mente ormai indebolita, solo in grado di fornire perfino troppo a lungo un piccolo gruzzolo di voti per mantenere farabutti e chiacchieroni, inetti a qualsiasi lavoro utile, in Parlamento e in altri vari posti delle istituzioni, del giornalismo, dell’editoria, del variegato mondo dei ciarlatani che non si sa bene quale compito effettivo svolgano. Pian piano tutti si sono omologati alla falsa sinistra e oggi rappresentano i manipoli, alcuni violenti e devastatori della società, di un’ondata che vorrebbe travolgere, alla guisa di ben note “rivoluzioni colorate”, ogni minima indipendenza nazionale.

    2. Interessante è notare come il famoso ’68 – la cui onda, in altri paesi, si appianò dopo alcuni anni – abbia comportato, nel contempo, una “rivoluzione” nei costumi (soprattutto sessuali, però, non grandi altri apporti) accompagnata da un moralismo tartufesco e viscido proprio nel paese che vanta uno dei più grandi scienziati della politica. Questa contaminazione fu dovuta alla presenza del più laido finto “comunismo” d’occidente, il cosiddetto “eurocomunismo”; in realtà, niente comunismo e solo “occidentalismo” filoatlantico. Non si poteva però dichiararlo apertamente, perché certe tradizioni non si possono cancellare in un battibaleno e soprattutto senza la ben
ché minima riflessione autocritica, solo con atteggiamento da voltagabbana, che fu quello tipico del Pci berlingueriano. I critici anticapitalistici, di vario orientamento influenzato dal maoismo, si lasciarono impigliare nella polemica “antirevisionista” come se si stesse tornando alla lotta tra neokautskismo e neoleninismo. La lotta era soprattutto contro il togliattismo (e ne rivendico una certa giustezza, se si fosse però compreso il complesso del tradimento che si stava perpetrando), e dunque contro la corrente (non ufficiale, ma pur sempre corrente) detta amendoliana, mentre si fu troppo teneri con quella detta ingraiana, con le fatue e meschine variazioni dei radical-chic del “Manifesto”, di un ceto intellettuale ormai marcio e corrotto.

   Queste correnti di apparente sinistra – antisovietiche ma non certo per ripensare veramente il processo storico iniziato nel 1917, e che del marxismo fecero strame per poi abbandonarlo ai vermi corrompitori di tutte le peggiori tendenze occidentali postcomuniste e filoatlantiche – si allearono infine con il “centro” (solita etichetta) berlingueriano, appoggiando il cedimento e autentico tradimento gorbacioviano e perfino eltsiniano (non tradimento del comunismo, ormai inesistente, solo dell’Urss come contraltare al predominio statunitense). Infine, approfittando del “crollo socialistico” (1989-91), si accordarono con ambienti statunitensi, in Italia con la Confindustria, ecc. per fornire il ceto politico e intellettuale della totale servitù della popolazione produttiva italiana alle sanguisughe che da allora la sfruttano. Bisognerà rivedere la storia di quel periodo, non l’abbiamo capita; nemmeno abbiamo compreso il significato di fatti come il rapimento e uccisione di Moro, e tante, troppe, altre questioni, la cui ignoranza pesa oggi come un macigno.

   La corrente amendoliana, certo revisionista se pensata nei termini del marxismo-leninismo, era quanto meno seriamente capitalistica, legata al mondo produttivo; soprattutto ai cosiddetti “ceti medi produttivi”, con cui, in modo del tutto ideologico, si predicava l’alleanza della presunta classe egemone, quella operaia. In realtà, quest’ultima non classe doveva essere tenuta agganciata dall’ideologia comunista al carro di una prospettiva di sviluppo produttivo (per cui serviva il plusvalore ad essa estratto, usando la terminologia marxista), diretto però da nuovi gruppi capitalistici emergenti in base alla trasformazione di ceti contadini ricchi (come quelli emiliani) in capitalisti di nuovo conio e di grinta e spirito innovativo non indifferenti; in Veneto e Lombardia, un processo analogo ebbe il colore “bianco” della Dc, che condusse poi al fenomeno leghista.

   La corrente ingraiana e manifestaiola, alleatasi infine non a caso con quella moralistico-filoatlantica berlingueriana, ricca dei putrefatti e “cloacali” intellettuali che ancor oggi impestano la cultura italiana, fu invece fenomeno “meridionalista”; da non intendersi come semplice fenomeno di collocazione nel Mezzogiorno. Si intende parlare dell’abnorme espansione di un ceto “piccolo-borghese” (come si diceva allora) dei servizi per lo più pubblici, fenomeno di stampo clientelare, legato ad una democrazia elettoralistica che ancor oggi, malgrado le chiacchiere, non trova sintesi nei famosi due schieramenti (destra e sinistra) delle sedicenti democrazie “evolute” dell’occidente (Usa in testa). Una serie di ceti disparati, uniti solo dall’essere puri parassiti, dediti a lavori non inutili in sé (tipo l’insegnamento, emblematico al riguardo), ma espansi oltre il dovuto e l’essenziale, puro rifugio di personaggi squallidi, inetti, impreparati, che hanno squalificato il servizio pubblico, l’hanno reso una voragine per i conti dello Stato senza riscontro in un minimo di apporto alla crescita – nemmeno a quella culturale – del paese. Una pura inutilità, un immane sperpero di risorse sottratte, con una tassazione indecente, ai reali “produttori” (di cui quelli emiliani, detti “rossi”, sono stati a lungo eccellenti rappresentanti, ma di tutt’altra corrente del Pci, infine sconfitta ed emarginata).

   Questi ceti parassitari del pubblico (ripeto: parassitari per l’enorme espansione solo clientelare ed elettoralistica a favore di gruppi di potere interni a svariati partiti e partitini, sindacati e sindacatini) si sono per un periodo affiancati – mai veramente alleati come vuole la retorica del ’68 – ai contadini divenuti operai con l’emigrazione da sud a nord (ovest). La lotta di questi ultimi – presa per dura lotta di classe, preludio ad una rivoluzione, mentre era la classica lotta dello sradicato dalla campagna e sbattuto in città a fare ben altro lavoro da quello dei suoi padri in diversissimo ambiente culturale (grandissima la rappresentazione che del processo diede Rocco e i suoi fratelli, da vedere e rivedere sempre e con le lacrime agli occhi se ancora esiste una sensibilità realmente morale, malgrado un po’ appiccicato e programmatico ottimismo finale, comprensibile e giusto nel 1960), che si batteva per un meno diseguale inserimento sociale redistributivo, non per il rivoluzionamento dei “rapporti sociali di produzione” – fu in sostanza favorevole allo sviluppo industriale italiano, alla grande svolta del 1958-63. Alla fine, dopo la ben nota “marcia dei quarantamila” (quadri Fiat) nel 1980, il processo sfociò nel rafforzamento e cristallizzazione dell’industria, sempre più assistita, della precedente ondata innovativa, ormai “matura” (quella che paragono, per analogia, ai “proprietari di piantagioni di cotone” del sud degli Usa; gruppi industriali che ormai non possono più essere sconfitti con metodi indolori, come non lo furono quelli impiegati dall’Unione di Abramo Lincoln).

Oggi, quegli operai sono divenuti i pensionati componenti oltre la metà dei sindacati ufficiali, mentre i più giovani hanno abbandonato in buona parte, in specie proprio al nord, i partiti della falsa sinistra, dove affluisce la gran parte dei lavoratori del pubblico, di cui già si è detto che cosa sono. Siamo quindi in presenza di un magma sociale informe, nato dall’involuzione del Pci a partito dei rinnegati filoamericani, in combutta con “poteri forti” della grande industria parassitaria di vecchio stampo, assistita da un apparato bancario legato alla finanza detta “internazionale”, ancor oggi succube di quella statunitense (basta vedere che cos’è la BCE, che cos’è la Banca d’Italia in mano ad un ex dirigente della Goldman Sachs, che adesso si vorrebbe spedire al vertice del sistema bancario europeo).

    3. Chi si è opposto – certamente per suoi interessi coincidenti nel 1993 con quelli del management “pubblico” (in realtà un gruppo di agenti capitalistici dei settori industriali della nuova ondata innovativa e strategici) – al precipitare di tale malsana situazione nel momento del crollo del “socialismo reale”, è stato un personaggio che si è barcamenato sempre tra mille frangenti, con promesse non mantenute, con critiche ai maneggi tra cosche della sfera politica ai quali poi partecipa attivamente. La finzione, il nascondimento dei reali interessi in gioco, ha raggiunto l’acme. Si è ridotto uno scontro per la sopravvivenza dell’Italia in quanto paese indipendente a diatribe personali. Ci sono ancora infami “di sinistra”, che si fingono critici anticapitalistici mentre appoggiano di fatto addirittura chi andò in guerra con gli Usa;
e proprio mentre oggi – grazie alle diatribe interne tra fazioni statunitensi con tattiche diverse, di cui si fanno strumenti organismi come CIA e FBI – viene in luce ufficialmente (per risposta della seconda alla prima che sembra artefice della diffusione dei documenti Wikileaks), che razza di criminali, commercianti in organi di nemici trucidati apposta per questo motivo, siano i sedicenti partigiani dell’UCK appoggiati dagli Usa contro Milosevic (accusato, come mille altri non proni agli americani, di essere un novello Hitler), operazione di brigantaggio internazionale cui si accodò uno dei capi dei rinnegati del Pci e per sostenere il quale si ruppe il partito dei Rifondatori, grazie ad un altro “bel personaggio” (molto “morale”) che fa il trombone a festeggiare a Mosca la Rivoluzione d’ottobre e a chiedere la consegna all’Italia della salma di Lenin (e con cui si sono adesso riuniti in “federazione” i fetidi rimasugli dei “grandi rifondatori” del comunismo).  Basta dunque! Non è più tollerabile che, con la scusa dell’essere in buona fede, di essere in fondo “brave persone”, ci sia chi ancora traccheggia ed esita a schierarsi senza più mezzi termini contro questi falsi moralisti e giustizialisti di una inesistente sinistra di puri corrotti e furfanti, in  tutte le sue componenti. Non sono avversari politici; sono soltanto lerciume, una cloaca che ancora nessuno si decide a svuotare con i metodi che furono di tutti coloro che hanno apportato un po’ di pulizia nel mondo, in determinate congiunture storiche. Il minimo che si pretende da chi si appella alla moralità è di schierarsi contro simile immondizia umana (si fa per dire umana!). Per quanto mi concerne, sia chiaro che si tratta fondamentalmente di una questione politica. Ma qualcuno vuol renderla etica? E allora si devono esigere misure eccezionali contro simili ignobili trafficoni. Bisogna essere consapevoli che non c’è più alcun compromesso possibile, nessuna misura di invito alla ragionevolezza. Abbiamo di fronte dei nemici di una sporcizia mai vista nella storia. Non saranno mai ragionevoli. Sono pus e cancrena sociale. E hanno alle spalle i “poteri forti” (oggi in attrito per fortuna) della grande industria e finanza legati, per appartenenza ad una vecchia fase industriale ormai superata (matura), a gruppi dominanti statunitensi; anch’essi, per fortuna, segnati dall’entrata nel multipolarismo e quindi divisi sul “che fare”.

   Torneremo su questi problemi, e in continuazione ormai, precisando sempre più le nostre posizioni. Però, non accettiamo più esitazioni. Il momento è grave; non ci sono avversari nel vero senso della parola. Chiunque abbia occhi per vedere, si accorge che hanno il coltellaccio di “Mackie Messere” dietro la schiena, ormai pronto a scattare per uccidere. Di “brave persone”, che hanno consentito ai criminali di varie epoche storiche di perpetrare i loro delitti, è pieno il mondo (e anche i cimiteri). Esiste un diritto a difenderci per salvare le nostre vite.

   P.S. Il ragazzo, che ha confessato il suo sconsiderato gesto (aver colpito un suo “commilitone” con un casco), è sicuramente encomiabile; e non vi è dubbio che merita grande clemenza, se non emergono altre risultanze. Vi possono anche essere molti casi individuali, di diversa consistenza ed effetto, di tipo simile. Ciò non cambia affatto il giudizio da dare sulla funzione storica di certe azioni “collettive”, su chi che le manovra o se ne serve per scopi reazionari. E va dunque condannato e combattuto qualsiasi gruppo che si renda strumento delle nefandezze compiute dai rinnegati e traditori. Di fronte al grave pericolo rappresentato da questi ultimi, non ha senso alcuno domandarsi se tali gruppi sono o meno consapevoli dei delitti che stanno coadiuvando. In genere, comunque, lo sono.