QUALCUNO AVRA’ INFINE IL CORAGGIO DI DIRE BASTA? (di Giellegi, 9 ag ‘10)

 

   Da quando Berlusconi ha fatto fallire, non completamente però, il quasi-colpo di Stato giudiziario del ’92-’93, non solo è stato perseguito con sempre rinnovato accanimento dalla (in)“Giustizia”, ma si sono susseguiti ribaltoni, abbandoni, tradimenti, ecc. ogni volta che ha conseguito la maggioranza mediante i triti riti della sedicente democrazia. Con orgoglio i suoi adoratori dichiarano che in quest’ultima ogni testa conta un voto. Tuttavia, si fa evidente riferimento alla sola scatola cranica, non di sicuro al cervello che non sempre vi è contenuto. Non dico che l’elettorato di quella che passa per “destra” sia particolarmente dotato di quest’organo (secondo Woody Allen “il nostro secondo organo preferito”); tuttavia almeno il 90% del ceto intellettuale e di quello medio “semicolto” di cosiddetta “sinistra” ne è totalmente privo (e credo non sia in possesso nemmeno del “primo organo preferito” nell’accezione alleniana).
   Alcuni ambienti (anche giornalistici) di “destra” hanno scritto e dichiarato in passato, non spesso però, che tale comportamento (di tradimento) di pezzi della maggioranza berlusconiana è dovuto alla scontentezza degli Usa relativamente a qualche mossa di politica estera dell’attuale premier. Più volte si è rilevato che particolarmente contrari alla sua politica (anche interna in tal caso) sono i “poteri forti”, talvolta qualificati esattamente come settori delle grandi imprese industriali e bancarie “private”. Si è trattato tuttavia di semplici punture di spillo, mai di una vera battaglia politica aperta e senza quartiere. Quando si tratta di arrivare ai ferri corti, si risponde (o meglio si tenta) con le stesse armi degli avversari: gli scandali, l’immoralità in vicende della vita privata che inficiano la personalità di questo o quel “traditore”. A questo misero armamentario si aggiunge sempre che costoro si comportano come innamorati delusi, come coniugi cui non si è accordata troppa soddisfazione, e altre amenità simili.
   Su questo piano non si può competere con gli antiberlusconiani, data l’ormai evidente (da quasi vent’anni) non terzietà della magistratura e della “più alta carica dello Stato”. E’ cambiato lo stile da “mani pulite” e Scalfaro ad oggi, ma la sostanza è di fatto la medesima. Il governo “tecnico” o di “responsabilità nazionale” (adesso abbiamo anche l’idiozia e il vergognoso vilipendio della Resistenza da parte del Pd con l’appello alla costituzione di un CLN contro il premier) richiamano subito alla mente il governo Dini del 1995. Stesse mene e stessi manovratori per aggirare le elezioni dette democratiche; possono cambiare di nome ma non di sostanza. Tuttavia, nessuno ha il coraggio di dire basta e di passare a “vie di fatto”. E’ del tutto evidente che Berlusconi (e quelli che lo circondano e appoggiano) hanno dato tutto il possibile. Più di così – restare a ballare sull’orlo del burrone senza mai il coraggio di uno “scatto di reni” per allontanarsene e gettarvi dentro gli avversari – non è in grado di fare.
   Certamente non è l’uomo (il gruppo politico che lo esprime) giusto; ma quando un “uomo” non è quello giusto, bisogna pensare a quali condizioni oggettive esistono e quali potrebbero essere le vie di uscita. Per emettere simili giudizi ci manca la conoscenza di molti, troppi, elementi decisivi. In ogni caso, è necessario procedere tramite congetture e indicare, almeno in generale, le soluzioni forse non ancora possibili, ma comunque non del tutto irrealistiche. Di sicuro, dopo vent’anni in cui, da ogni parte, si è fatto tutto il possibile per escludere dall’orizzonte visibile il campo della lotta apertamente politica e fondata su contrapposizioni e antagonismi reali, è inutile fare appello al ben noto ritornello: “ogni testa (senza cervello), un voto”. Siamo ancora al pro o contro Berlusconi. Certo che esiste la politica; ma è sotterranea, non consente ai votanti di capire alcunché della posta in gioco: le sorti di un intero paese, di una società che si cerca di condurre alla completa divisione in tanti gruppi sociali nemici (in senso verticale come orizzontale; perfino geograficamente parlando, siamo ancora al nord contro il sud!) per realizzare il dominio dei banditi dell’economia e dei criminali della politica e dell’intelletto (poco, quello consentito dalla paglia cerebrale dei componenti simili ceti-immondizia).
   Non esiste forse più una soluzione blanda e morbida. O si cade sotto il dominio dei gangster, il cui nome dovrebbe essere ormai noto a chi ci legge, oppure qualcuno dovrà dire basta: un basta brusco e robusto. Non si tratterà di un percorso breve, perché fortemente condizionato dal quadro internazionale: sia quello delle nuove potenze in crescita e (futura) lotta acuta, sia quello della squallida area europea in cui siamo improvvidamente entrati e dalla quale è possibile uscire soltanto attraverso un vigoroso lavorio di affermazione di nuovi paesi autonomi, che intendano partecipare – se non proprio da protagonisti primari, almeno non come comparse – al pieno rilancio di una nuova epoca policentrica.
   Come detto poco tempo fa, nel brevissimo periodo ci si potrebbe accontentare di nuove elezioni. Non saranno però concesse da chi non è affatto al di sopra delle parti malgrado le apparenze. La tracotanza di questi poteri, che puntano a nascondere la politica dietro il falso moralismo e giustizialismo, dovrebbe aiutare infine a far scaturire una nuova forza capace di dare l’avvio ad un ben diverso confronto-scontro effettivamente politico, che andrà svolgendosi sempre più in una situazione di emergenza e salvezza nazionali. Occhio agli eventi “traumatici”! In loro assenza, è poco probabile una soluzione positiva. Quello che abbiamo da cinque anni (e più) indicato come cancro del nostro paese non sembra più aggredibile con “medicine”; in casi simili, o si ricorre alla chirurgia o si crepa. Chi ne ha l’opportunità, ci pensi. Noi siamo solo in grado di registrare, il più spassionatamente possibile, l’evolversi delle condizioni di un crescente dissesto sociale e politico, cui consegue oggettivamente l’esigenza di decisioni radicali e urticanti, in mancanza delle quali diventeremo realmente una semplice “espressione geografica”.