QUANDO SI DICE L’IPOCRISIA DELLA CHIESA! di G. PACIELLO

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Docente di etica e filosofia all’Università di Rio de Janeiro, teologo di riconosciuto spessore e Premio Nobel alternativo per la pace del 2001, il brasiliano Leonardo Boff esponente significativo di un gruppo di teologi latino-americani che hanno dato vita negli anni ’70 alla teologia della liberazione fu costretto a sedersi, nel 1984, “sulla piccola sedia sulla quale si sono seduti anche Galileo Galilei e Giordano Bruno, nel Palazzo del Sant’Uffizio (ex Inquisizione)”. Infatti il suo libro “Chiesa, carisma e potere” (Igreja, carisma e poder), nel quale aveva definito la sua “Teologia della liberazione”, era incorso nelle ire delle alte gerarchie vaticane. E a sedere di fronte a Boff, nelle vesti di inquisitore c’era nientepopodimenoche il cardinale Joseph Ratzinger. La censura di Roma impose un anno di silenzio al teologo e portò Leonardo Boff a un progressivo isolamento dalle strutture della Chiesa, fino a che, nel 1992, non fu lui stesso a distaccarsene definitivamente. Senza per questo rinunciare, naturalmente, alle sue battaglie.

Un libro di Leonardo Boff, uscito dopo l’elezione di papa  Benedetto XVI (Un papa difficile da amare)  ci porta a conoscere il pensiero del teologo brasiliano, senz’altro uno dei più originali degli ultimi decenni. L’obiettivo primario della sua analisi critica è, comprensibilmente, Ratzinger, nel frattempo assurto al soglio pontificio.

E non a causa dell’antico risentimento, ma in quanto incarnazione dell’assolutismo centralizzante del Vaticano, del “romanismo”.

Il libro ripercorre la vicenda dell’inquisizione, da una valutazione del papato di Wojtyla, ed esprime la delusione dell’autore in seguito all’elezione di Ratzinger, che Boff definisce così: “è una persona estremamente raffinata, cortese, sommamente intelligente… ma nel suo pensiero non c’è disponibilità… il suo è un pensiero senza dubbi. Ed è pericoloso non avere dubbi”.

 

E’ mai possibile che nessuno abbia ricordato una cosa così grave mentre si scatenava la gazzarra per “aver impedito al papa di parlare”? E mentre politici e chierici (sì, gli intellettuali, quelli sempre pronti a tradire) si inchinavano ossequiosi al soglio di Pietro?

 

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Gz-mapGaza la situazione precipita di g.rèpaci

 

Gaza city è stata completamente isolata, in assenza di rifornimenti e sotto la minaccia degli attacchi aerei israeliani, ai quali i resistenti di Hamas hanno risposto lanciando razzi contro Sderot, Ashqelon e altri centri del Neghev.

 
Con il passare delle ore aumenta il bilancio delle vittime palestinesi, ieri era salito a 35, in cui spiccano anche donne e bambini.

 
Come previsto, ha provocato una escalation del conflitto la sanguinosa operazione militare lanciata da Israele all’ inizio della settimana a Zaitun e Shajayeh, alle porte di Gaza, nella quale erano rimasti uccisi 18 palestinesi, non solo militanti armati ma anche donne e bambini.

 
L’immediata conseguenza è stata la ripresa dei lanci di razzi Qassam anche da parte di Hamas che per mesi – lo hanno riferito gli stessi mezzi d’informazione dello Stato ebraico – si era astenuto dal compiere questi tipi di attacchi. «Il pubblico israeliano ha diritto di sapere ciò che il governo Olmert spera di raggiungere da questo confronto a Gaza – scriveva due giorni Uri Misgav sul sito del principale quotidiano israeliano Yediot Ahronot -…nessuno può uccidere 18 abitanti di Gaza e dopo lamentarsi perché Hamas ha mostrato la sua impressionante capacità di lancio dei razzi. Nessuno può mandare truppe all’assalto a Gaza e poi esprimere preoccupazione per Ghilad Shalit (il soldato catturato dai palestinesi nel 2006, ndr).

 
Un governo sovrano dovrebbe avere la capacità di individuare la connessione tra reazioni e cause, tra possibilità e obiettivi». Quello che Misgav non ha capito è che Olmert, usando il pugno di ferro con i palestinesi, cerca di tenere in piedi il suo governo che perde pezzi di fronte alla possibilità di una sia pure parziale restituzione ai palestinesi, della Cisgiordania occupata nel 1967.

 
Hamas in ogni caso non ha comunque smesso di lanciare razzi: ne ha sparati 130 in tre giorni. E il fatto che ieri altri due dei suoi uomini siano stati fatti a pezzi da un missile sganciato dall’aviazione a Jabaliya, ha soltanto accresciuto la determinazione della resistenza. Quando si vive come bestie in gabbia non si ha certo paura di morire.

 
I Qassam sono caduti perciò a decine sui centri abitati adiacenti a Gaza e come sempre a pagarne le conseguenze sono stati proprio quei civili israeliani che il governo Olmert sostiene di voler proteggere. E ora Hamas minaccia di riprendere gli attacchi in Israele. «Se lo spargimento di sangue a Gaza e in Cisgiordania non sarà fermato, ci sarà un simile spargimento di sangue anche a Tel Aviv», ha avvertito un portavoce di Hamas, Hamad Rukeb.

 
L’Anp di Abu Mazen intanto balbetta, non sa cosa fare mentre 1,5 milioni di palestinesi sono stretti nella morsa dell’assedio. Tramite i suoi assistenti e la stampa Abu Mazen fa trapelare che potrebbe dimettersi e bloccare il «negoziato di pace» ripreso ad Annapolis ma in realtà è paralizzato, incapace di proteggere la sua gente.

 
L’unico esponente dell’Anp che ieri sia riuscito a dire qualche parola sensata è stato Saeb Erekat facendo notare che «la violenza, le soluzioni militari e la punizione collettiva produrranno altro odio e violenza, non pace e sicurezza».


Il governo Olmert denuncia la minaccia che i razzi palestinesi rappresentano per i suoi civili a Sderot ma l’aviazione israeliana nel frattempo colpisce proprio nei centri abitati di Gaza, tra la popolazione. Ieri un missile sganciato da un F-16 ha polverizzato la sede del ministero dell’interno di Hamas. Un attacco devastante e del tutto inutile, visto che l’edificio era vuoto da oltre un anno.
A morire è stata una donna, circa 60 persone sono rimaste ferite, tra cui diversi bambini. Le immagini trasmesse dalle televisioni mostravano non militanti armati ma civili inermi che scappavano in preda al panico. Le sofferenze di Gaza sono destinate ad aggravarsi poiché proprio ieri il ministro della difesa Ehud Barak ha ordinato la chiusura di tutti i valichi con la Striscia bloccando anche gli aiuti umanitari delle Nazioni Unite.

 
«La situazione era già molto grave prima, adesso è destinata a peggiorare ulteriormente» ha annunciato il portavoce dell’Unrwa Christopher Gunness, esprimendo stupore che una misura così drastica venga attuata mentre i capi politici della regione parlano di rilancio del processo di pace.