QUANTE VOLTE LO SI E’ RIPETUTO

1. Le persone intellettualmente oneste – quindi non i membri del ceto medio semicolto definito di “sinistra”, che è un ceto sociale inutile, di “nani e ballerine”, di insegnanti che non insegnano, di lavoratori delle amministrazioni centrali e municipali mantenuti da chi produce, ecc. – lettrici di questo blog, hanno senz’altro preso atto di quanto scriviamo, ed io stesso ho scritto più volte, in merito all’atteggiamento di coloro che, in evidente e logico affanno, si sono dovuti difendere dal vile attacco di “mani pulite”, il cui strumento fu un’orrida magistratura, mentre i reali mandanti si trovavano nelle imprese famigliari, eredi dei già ben noti “traditori dell’8 settembre”, e nella “manina d’oltreoceano”.

Si cercò chi potesse di fatto catturare l’elettorato Dc e Psi, che mai avrebbe votato per i rinnegati del piciismo, cui si voleva demandare il governo del paese (essendo, in quanto miserabili venduti, particolarmente addomesticati e ricattabili) al posto dei distrutti diccì e piesseì. Si tentò con la Lega e il movimento Segni, ma l’accordo fu fatto saltare. Si fece avanti Berlusconi, un craxiano (di fatto, non appartenente ufficialmente al Psi); in un primo tempo pure lui fu piuttosto “Giuda” nei confronti del coadiutore, ma poi obbligato dal virulento attacco dei piciisti (guidato, secondo me, dalla Confindustria agnelliana) a scendere direttamente in campo. Non si tratta di fare riferimento, secondo un’inveterata abitudine ventennale, alle mere caratteristiche personali di quest’uomo, fatto diventare “qualcuno” (da entrambe le parti, che si misero a giocare alla “destra” e alla “sinistra”) mentre non è di grande levatura politica.

Il problema vero è che Craxi non riuscì mai a mettere le mani sull’industria “pubblica”, così come non poté farlo il Pci dopo il “compromesso storico” e il graduale passaggio di campo verso l’atlantismo (di cui uno degli strumenti, non certo l’artefice, fu l’attuale presdelarep con il suo viaggio del 1978 negli Usa). La Dc, finché non fu annientata, restò padrona delle imprese pubbliche, che al massimo godevano, come l’Eni ad es., di una certa autonomia (diminuita dopo la morte di Mattei), ma comunque mai caddero sotto l’influenza di altri partiti. Non è un caso che, dopo la svolta del 1992-93, si pensò di smantellare tale industria, di passarla in mani private (operazione il cui paradigma è la svendita della Telecom da parte del Governo D’Alema, con la complicità di Draghi, importante agente degli Usa in Italia e oggi, purtroppo, in Europa).

E’ chiaro che per meglio difendere quello che rimaneva dell’industria pubblica – dopo i programmi di liquidazione, attuati soprattutto da personaggi ben noti, tutti attivi nel campo della finta “sinistra”; del tutto confindustriale, legata a quello che ho definito l’“antifascismo del tradimento”, non certo a quello della Resistenza, chiamata in causa dagli ignobili rinnegati del piciismo, che l’hanno insozzata servendosene per mascherare il loro passaggio di campo verso gli Usa – sarebbe stata necessaria la presenza di gruppi della Dc adusi alle trattative, e anche intrallazzi, con il management di tale industria. In ogni caso, era gente che aveva esperienza del settore dopo tanti decenni di collegamento e anche direzione, ereditata in parte dal fascismo. Invece, venne un uomo la cui ascesa economica era stata patrocinata da Craxi; un po’ traditore di quest’ultimo e poi costretto a schierarsi, per difendere se stesso, contro coloro che avevano annientato il suo coadiutore (scusate, ma dire benefattore mi sembra francamente troppo; diamo a Berlusconi anche una sua autonomia). Così si stabilì un’alleanza “costretta” (non certo convinta) tra l’attuale premier e parte del management pubblico, piuttosto “scorbacchiato” dal putsch di “mani pulite”.

L’ascesa della Russia di Putin, soprattutto dopo il 2003 (l’estate di cui ho spesso parlato come punto di svolta), e indirettamente un certo rafforzamento dell’islamismo più radicale – favorito e non certo indebolito dall’aperta aggressione statunitense successiva al 2001 (Torri Gemelle, ecc.) con la pantomima di Al Qaeda e della “lotta al terrorismo” (alimentato nello stesso tempo in cui lo si combatteva), di cui l’ultimo atto è stato la sceneggiata dell’assassinio di Bin Laden – hanno di fatto messo Berlusconi in condizioni di giocare un ruolo che non era propriamente il suo e che non aveva una gran voglia di giocare, essendo legato, come i suoi nemici, ad ambienti liberisti e apertamente filo-statunitensi. Per questi motivi, nel mio pezzo in Teatro dell’assurdo (1994-95) avevo previsto che costui sarebbe stato personaggio di transizione per alcuni anni. Non calcolavo però appunto la rinascita russa e il resto, che hanno oggettivamente rafforzato la posizione di quest’uomo; comunque sempre recalcitrante a giocare quel ruolo e sempre pronto ad agire, pure lui, mascherando la sua azione dietro una perpetua menzogna.

Egli si è finto difensore del paese contro inesistenti comunisti, che avevano invece ormai rinnegato il passato e si erano schierati con gli Usa. E’ venuta l’aggressione statunitense alla Jugoslavia (mossa non irrilevante ai fini di soggiogare viepiù la UE), e la “sinistra” dei rinnegati andò in guerra con tale paese predominante, in funzione dunque anti-europea e anti-italiana. Tutti i sedicenti “poteri forti” (la GFeID, grande finanza e industria decotta) hanno continuamente appoggiato tali rinnegati contro Berlusconi. E costui, seguito da elettori e fan evidentemente ottusi, ha continuato con la solfa del pericolo comunista. Il gioco è durato fin troppo, a dimostrazione di che cos’è divenuta la popolazione italiana, giunta al livello più basso di intelligenza e cultura. Alla fine siamo arrivati alla presa in giro di un “comunista estremo”, anzi amico di terroristi, che vince a Milano con l’appoggio totale della “borghesia” (semplicemente i gruppi capitalistici più protervi e parassitari, possessori di quasi tutta la grande stampa) e che forma una Giunta comunale in piena combutta con dett
i gruppi.

Il gioco berlusconiano non tiene più. Tuttavia, il premier non cadrà per tali motivi, ma per ben altri legati alla politica internazionale, dov’è difficile dire quanto ha contato la nuova strategia statunitense (del caos e della liquidità) e quanto il prodursi di fenomeni divisori all’interno della Russia e dell’islamismo; è cioè difficile dire con precisione qual è la causa e quale l’effetto, anche se ormai siamo alla cumulazione interattiva, al circolo vizioso. Berlusconi si è trovato “nudo” di fronte agli americani. Era già un filo-americano; venuti meno gli interessi contrari, si è appiattito sulla loro strategia e ha anzi giocato quel poco di credito che si era conquistato per favorirne gli intenti. Il tradimento della Libia – realizzato con finti contorcimenti, ritardi nel seguire la Nato, “rimorsi umanitari”, un falso residuo di simpatia per Gheddafi in quanto uomo, ecc. – è stato esemplare; e gli ha meritato la sceneggiata pubblica (con richiesta al cameraman di riprendere la vicenda) del bisbiglio all’orecchio di Obama (quello rivolto a Medvedev serviva solo a sottolineare che pure quest’ultimo non è poi tanto meno bravo di lui nel “volteggiare”) con successiva rivelazione della risposta del “bell’abbronzato” (non smentita dalla Casa Bianca). Il tutto per farsi firmare in pubblico una fuoriuscita indolore; con perfino qualche possibilità di condurre lui la transizione al post-berlusconismo.

 

2. Inutile soffermarsi non tanto sulla vergogna quanto sulla noia di simili sceneggiate. E soprattutto sul pericolo, ormai difficilissimo da scongiurare, di una dissoluzione totale della minima autonomia italiana in politica estera, dissoluzione messa ben in evidenza dall’atteggiamento ormai rinunciatario dell’Eni, che dal fifty-fifty con la Gazprom per quanto concerne il gasdotto Southstream sta passando al 20% (mentre la Germania, già pienamente parte del Northstream, entrerà con il 15% pure nel ramo sud), con dichiarazioni di Scaroni in favore del Nabucco (ci manca solo che gli Usa ci “associno” a questo progetto antirusso). E anche in Libia, si seguirà lo stesso iter di dimesso comportamento nei confronti degli Stati Uniti e dei loro maggiori fiduciari. Se spostiamo l’attenzione sulla Finmeccanica, constatiamo che negli ultimi anni aveva diversificato i suoi “mercati” verso est (accordi con la Sukhoi per aerei, con le Ferrovie russe, ecc.); sembra però che ora stia tornando a concentrarsi in direzione degli Stati Uniti.

Il problema non è tanto economico, ma proprio di visuale strategica in politica internazionale. L’Italia è in questo momento allo sbando come Governo, con masse di scimmie urlanti “a sinistra” (ormai pienamente succubi e sicari della nuova politica statunitense) mentre il finto “arbitro tra le istituzioni” – che appare spesso apertamente con Obama in incontri, cene di gala, ecc. – sta conducendo “le danze” nel tentativo di dare ordine alla transizione, secondo quell’accordo apparentemente “firmato” con il sopraddetto bisbiglio; un accordo non sicuro e “tranquillo”, anche perché stilato con chi attua la strategia del serpente, animale assai infido, pronto a iniettarti il suo veleno alla prima occasione utile.

Bisogna rompere più decisamente – dopo averlo costantemente denunciato – con il “gioco degli specchi” (è il titolo di un mio libro pubblicato a Potenza con l’EditricErmes) tra “destra” e “sinistra”, falsi richiami per orecchi sordi, per occhi ciechi; in definitiva, per cervelli pieni di segatura. Dobbiamo essere consci che il tradimento operato dai rinnegati del piciismo, iniziato con Berlinguer e poi realizzato rapidamente dopo il crollo dell’Urss, ha provocato un vulnus insanabile con metodi “normali”. Il compromesso storico, che ne fu uno dei primi atti, ha prodotto il “ceto medio semicolto” che ha operato una distruzione culturale ormai irreparabile. E’ evidente che gli avvenimenti degli ultimi anni ci hanno progressivamente consegnato – solo con un lungo détour per l’obbligata discesa in campo dell’ambiguo Berlusconi, anch’esso fonte di mascheramenti e travisamenti della realtà – nelle mani della UE e, per suo tramite, degli Usa. La resistenza internazionale a questo malefico paese si è negli ultimi mesi indebolita.

E’ assai improbabile che, in un paese come il nostro, si possano effettuare giochi in autonomia se non giostrando tra le contraddizioni internazionali. Bisogna mettersi in testa che, quando parliamo di multipolarismo, si sta facendo riferimento ad una situazione assai instabile che conosce cicli sinusoidali come la congiuntura economica. E’ però legata ad un assai variabile e multilaterale assetto delle posizioni, e rispettive politiche, dei vari “attori” in campo. La vecchia “epoca dell’imperialismo” non fu caratterizzata da una lineare e continua discesa della centralità inglese e dall’immediato esplodere di un acuto conflitto policentrico. Ci furono giochi assai labili e improvvisi mutamenti delle alleanze, rotture delle stesse con cambi di partner, ecc. malgrado i gruppi dominanti fossero disturbati nelle loro mene dall’ascesa di un movimento operaio che sembrava organizzare le classi subalterne, pur se invece portò ai vertici della sfera politica (e talvolta quali pieni rappresentanti delle borghesie capitalistiche di allora) alcuni gruppi dirigenti di tale movimento.

In ogni caso, siamo oggi in una posizione molto delicata, all’interno di una Europa (dis)Unita, al momento sempre più appiattita su posizioni statunitensi. La situazione, per chi si batte in favore di una maggiore autonomia italiana, è assai difficile. I traditori e rinnegati del fu piciismo sono sempre più scatenati in stretta dipendenza dalla GFeID, che a sua volta è in sempre più stringente subalternità rispetto agli ambienti statunitensi (sia quando sono “bushiani” sia quando “obamiani”). Non esiste nel nostro paese un vero blocco sociale; esiste anzi una notevole disgregazione dei rapporti intergruppi, in specie tra i “non decisori”, piuttosto divisi per corporazioni (e anche all’interno delle stesse per forti
differenziazioni di reddito). La forza momentanea dei sottoposti agli Usa consiste nella presenza di un mostruosamente gonfiato “ceto medio” (il semicolto), legato alla spesa pubblica ereditata dal “compromesso storico”. I legami sono diretti per quanto concerne vari settori del sedicente Stato sociale (apparati della sanità e delle pensioni, strapieni di personale assunto per clientelismo e assistenzialismo) e indiretti, perché crescono di pari passo consulenti, mediatori, “sistema-persone” (in quanto “paraculi” di ignobili politicanti), gentaglia addetta allo “spettacolo” (che è spettacolo di particolare indegnità e infamia “pubbliche”), e via dicendo.

Questi ceti del tutto improduttivi (non in senso marxiano, ma in quello dell’economia tradizionale, in quanto più della metà di questo personale è a “produttività marginale” eguale a zero, cioè se ne potrebbe fare a meno liberando risorse per scopi ben più utili) sono ormai un peso economico insopportabile. Per di più costituiscono un problema sociale, essendo la base di massa dei venduti alla potenza straniera dominante. Nei loro settori più disgregati e “marginali”, si tratta di elementi di possibile raggruppamento in bande di devastatori e picchiatori, vere squadracce dell’“antifascismo del tradimento”. E’ chiaro che si pone, pur nella difficoltà del momento internazionale, la necessità di aggregare i sedicenti ceti medi produttivi. Sedicenti in quanto ceti medi (dizione del tutto generica e da qualificare), non in quanto produttivi, poiché – assieme ai lavoratori dipendenti dell’industria e dei servizi essenziali e utili – possono dare una mano a risalire la china così vergognosamente discesa negli ultimi vent’anni. A questi settori sociali dobbiamo cominciare a rivolgerci per difenderci dai parassiti cancerogeni e (s)venditori dell’Italia.