QUEI BRAVI RAGAZZI di G.P.

 

Ogni epoca ha il suo “mascheramento” ideologico, il vestito con il quale le classi dominanti devono ammantare la loro cattiva coscienza e tenere formalmente viva la missione universalistico-emancipativa del loro passato rivoluzionario, quella definitivamente perduta nella gestione concreta del potere di classe. Per mandare in frantumi questa maschera “ideale” occorre dotarsi, come sosteneva Althusser, di una teoria scientifica della storia che oltrepassi “l’ideologia del tempo continuo-omogeno/contemporaneo a sé”. Questa presunta continuità definisce le coordinate di una costruzione “ideale” sulla quale si sorreggere la società dominante, la quale – per allontanare da sé “la temporalità inattesa che costituisce l’essenza del processo della sua costituzione e del suo sviluppo”(Althusser) – deve pensare sé stessa come il punto di “approdo” di tutte le forme storiche precedenti “quali tappe che portano al suo grado di sviluppo” (Marx). Il paradosso più grande è che al posto di questa temporalità “inattesa” che segna l’affermazione di una specifica formazione sociale, subentra una narrazione teleologica da fine della storia, atta a renderne le leggi di sviluppo storico eterne ed immutabili, quasi fossero “leggi di natura” alle quali risulta impossibile sottrarsi.

Chi fa il lavoro dello storico dovrebbe tenere ben presenti tali assunzioni ma questo non accade quasi  mai ed anzi: “ciò che le fa [alla Storia] da teoria [scientifica], ciò che, ai suoi occhi, ne tiene il posto, è la metodologia, cioè le regole che governano le sue pratiche effettive, pratiche centrate sulla critica dei documenti e l’accertamento dei fatti. […] La storia prende dunque la propria metodologia per la teoria che le manca e prende il “concreto” delle evidenze concrete [la cronistoria, potremmo dire] del tempo ideologico per l’oggetto teorico".

Questi dunque i problemi dello storico nel “concepire” la storia, immaginarsi allora cosa potrà venirne fuori quando la pretesa di "definire" la storia finisce in mano ad un esercito di giornalisti che ha come obiettivo esplicito non quello di accertare le strutture specifiche della storicità (dipendenti da modi di produzione specifici) ma quello di portare a sedimentazione l’ideologia dominante, al fine di neutralizzare eventi scomodi e potenzialmente sovversivi per l’ordine costituito.

I giornalisti sono esseri minotaurici, anche se rispetto alla classica figura della mitologia greca (metà uomo e metà toro) essi associano ad un corpo di pecora una testa di cane. La pecora plasma il loro istinto belante e timoroso mentre il cane forma loro “intelligenza” servile.

Non sarà un caso, pertanto, che, negli ultimi tempi, questo stuolo di lacchè si stia buttando sulla riscrittura della storia, soprattutto di quella russa, poiché in essa è presente un exeplum pericoloso mai dissipatosi sotto i loro attacchi ripetuti nel tempo. Quasi in contemporanea, con due articoli apparsi su La Repubblica e su La Stampa, alcuni giornalisti hanno voluto dire la loro sulla rivoluzione bolscevica approfittando dei nuovi documenti resi pubblici in Germania. Uno è intitolato La Rivoluzione “compratacosì il Kaiser finanziò Lenin e l’altro, di tenore speculare, La Rivoluzione d’Ottobre pagata con il denaro del Kaiser (questa volta senza virgolette ammiccanti a cingere il verbo).

E quale sarebbe la grande scoperta dei nostri giornalisti italiani e stranieri? In soldoni, ci sarebbe la “manina” del Kaiser dietro alla rivoluzione bolscevica: “Ci furono le casse tedesche e la strategia del cancelliere Hindenburg dietro il successo della Rivoluzione d’Ottobre: a finanziare Lenin fu il Kaiser Guglielmo II.” (La Stampa), “Non solo la Germania imperiale consentì a Lenin di raggiungere la Russia dalla Svizzera, passando dal suolo tedesco, per scatenarvi la rivoluzione. La Berlino del Kaiser finanziò i bolscevichi con milioni di marchi, allo scopo di rovesciare lo zar e liberarsi così da uno dei suoi nemici nella prima guerra mondiale”. (La Repubblica)

Questa vicenda è arcinota ma oggi ci sono i documenti pubblicati dallo Spiegel che confermano e rivelano particolari “inquietanti”(solo per loro). Lenin effettivamente sfruttò l’atavica rivalità tra i due imperi per rientrare in Russia poiché voleva approfittare delle condizioni sociali favorevoli (oserei dire uniche) per far scoppiare una rivoluzione socialista. Lenin aveva argutamente spalancato la finestra lasciata aperta dalla storia per sferrare l’attacco (negli anelli deboli della catena imperialistica) contro le classi dominanti russe indebolite dalla guerra e dalla crisi sociale. Insomma, fu Lenin ad usare il Kaiser e non viceversa, del resto oltre 70 anni di dominio sovietico ad est dovrebbero confermarlo. Ed invece no, perché secondo La Stampa “i fili della Rivoluzione vennero tirati a Berlino, con Lenin pronto a seguire le direttive rivoluzionarie impartite. Il 17 aprile 1917 il capo dello spionaggio tedesco telegrafava a Berlino da Stoccolma: «L’ingresso di Lenin in Russia è riuscito. Lavora completamente come desiderato». L’ambasciatore tedesco in Danimarca, Brockdorff-Rantzau, scriveva invece in un dispaccio con il timbro «Eilt-Streng geheim» (urgente, top secret): «la vittoria e la conquista del primato nel mondo sono nostre, se riusciamo a provocare una rivoluzione in Russia nel momento opportuno». Il segretario di Stato tedesco Kuehlmann riferiva invece al cancelliere Hindenburg e al Kaiser che il movimento bolscevico «senza il totale e costante sostegno (del ministero degli Esteri tedesco) non avrebbe mai raggiunto l’influenza che esercita adesso», mentre i soldi tedeschi «hanno permesso di far stampare la Pravda»".

Ma come si evince dalle stesse dichiarazioni dei vertici militari e politici tedeschi non v’era alcun accordo tra Lenin e il Reich se non una momentanea convergenza di interessi: “«Al momento giusto convinceremo elementi del movimento a collaborare con noi», scrisse l´ambasciatore a Copenhagen, conte Ulrich von Brockdorff- Rantzau. E il piano per lasciar passare Lenin dal territorio tedesco, nell´aprile 1917, non sollevò obiezioni, né da parte del Cancelliere del Reich Bethmann Hollweg, né dal comandante in campo delle forze armate Paul von Hindenburg. Max Hofmann, un alto ufficiale vicinissimo a Hindenburg, scrisse: «Così come faccio sparare granate o lanciare gas contro il nemico, ho il diritto di usare i mezzi della propaganda contro la sua occupazione»"(La Repubblica).

I tedeschi sottovalutarono i bolscevichi, perché non avevano ben presenti le contraddizioni sociali e politiche derivanti dalla guerra e dalla disputa imperialistica mondiale. A Lenin, in queste particolari condizioni storiche, riuscì una vera e propria “opera d’arte” strategica che dovrebbe far aumentare la nostra considerazione per il suo genio rivoluzionario senza eguali.

Subdolamente i due quotidiani calcano la mano e “sfumano” i fatti più decisivi per far passare l’idea che  i bolscevichi fossero dei venduti:“per quattro anni il Kaiser foraggiò il movimento rivoluzionario fornendo soldi, munizioni, armi ed esplosivi per compiere attentati. Solo il ministero degli Esteri versò 26 milioni di marchi dell’epoca, un valore attuale di 75 milioni di euro” […]il ministero degli Esteri tedesco pagò 50 mila marchi oro già nel settembre 1914, con la promessa di versare altri due milioni di marchi al momento dello scoppio dell’insurrezione". (La Stampa); “Due milioni di marchi l´11 marzo 1915, quindi poco dopo il piano di 23 pagine. Poi cinque milioni di marchi il 9 luglio 1915, e di nuovo cinque milioni il 3 aprile 1917, pochi giorni prima della partenza di Lenin dall´esilio elvetico alla volta di Pietrogrado. Su un vagone extraterritoriale, nota Der Spiegel, «ma non è vero che fosse un vagone tutto piombato come si è detto finora: aveva tre porte piombate, ma una libera»” (La Repubblica).

L’intenzione esplicita della stampa di regime è quella di descrivere i bolscevichi come traditori al soldo di un paese straniero, tanto più se a ciò va ad aggiungersi che “I bolscevichi «hanno fornito utili informazioni sulla situazione nella Russia zarista», scrisse allora Walter Nicolai, capo del servizio segreto del Kaiser”.

Purtroppo per loro questi argomenti esaltano solo la maestria dei rivoluzionari russi in quella precisa fase storica. Contro questa evidenza lo Spiegel arriva ad adombrare che la stessa pace di Brest-Litowsk (a condizioni vessatorie per la Russia) firmata da Lenin dopo la rivoluzione d’ottobre servì a ripagare il Kaiser dell’aiuto concesso: “Le potenze dell´Intesa sostenevano la «controrivoluzione» anticomunista. Ma l´Impero di Guglielmo II continuò ad aiutarli. «I bolscevichi sono bravi ragazzi, finora si sono comportati benissimo», scrisse Kurt Riezler, responsabile della politica verso la Russia allo Auswaertiges Amt, chiedendo nuovi soldi per loro” (La Repubblica). In verità, Lenin si convinse a stipulare quell’accordo, senza porre troppe condizioni, perchè voleva tenere fede alla sua promessa di tirare fuori operai, soldati e contadini dalla prima guerra mondiale concentrandosi così sulla difesa e sulla costruzione del socialismo in Russia.

Quei “bravi ragazzi” seppero cogliere una grande opportunità e malauguratamente per i nostri “gufi” della stampa continueranno a costituire un esempio per gli sfruttati di tutto il mondo.