RESUME’ PRELIMINARE

 

1. Si è straparlato a vanvera delle rivolte dei “popoli arabi”, ma soprattutto da parte di una sedicente sinistra ormai giunta al suo livello di completa degenerazione; e che, tuttavia, ci riserverà altre sorprese. Cerchiamo intanto di tratteggiare che cosa abbiamo visto di questi presunti popoli arabi in rivolta. Intanto una reazione a catena, orchestrata lungo linee non determinate a priori (perché non determinabili) secondo una strategia in parte “casuale” e “caotica”, ma relativa ad una precisa area, e con alcuni “punti” ben protetti (ad es. Arabia saudita finora, Qatar, ecc. non certo caratterizzati da regimi “democratici”). Si è avuta una totale disinformazione con balle mai sparate così grosse: dalle due agenzie arabe degli Emirati, cui ha fatto da spalla l’inglese Reuters, un tempo paludata e credibile, oggi grande fucina di menzogne (tutti gli “Dei” sono d’altronde ormai crollati, da Times a Le Monde, e già da molti anni, il che dovrebbe farci intuire a quale degrado siamo ormai giunti).

Si è partiti da rivolte in due paesi “amici” (“alleati”) dell’occidente capitalistico (in realtà degli Usa), ma per “riverniciarli”, anche perché non vi è dubbio che la lunga permanenza di una certa struttura politica (e degli stessi vertici, perfino in termini personali), unita alla forma diversa, e più grave, dell’attuale crisi economica (non più una recessione come nel mondo “occidentale” dell’epoca bipolare, per motivi che ho spiegato più volte), non era ormai adeguata ad una nuova strategia di lotta finalizzata a mantenere la preminenza mondiale. In Tunisia, la rivolta ha preso le mosse dal disagio legato all’aumento del prezzo del pane. Che meraviglia! Quale sollevazione più popolare di questa; quasi come quella contro la tassa sul macinato nell’Italia di ben oltre un secolo fa. Si è resistito ben poco a questa spinta. Non voglio dire che tutto fosse programmato. Non corrisponderebbe alla strategia del caos e del reticolo di canali lungo i quali scorre il “fluido” del rivolgimento, che deve essere seguito passo dopo passo, scontando anche intoppi, resistenze, deviazioni dello scorrere di detto fluido da un canale all’altro.

In ogni caso, buona parte dell’esercito (meno, com’è ovvio, la polizia) pareva già sull’avviso, ben preparata dagli “alleati” (in specie uno). Come accaduto poi anche in Egitto, ad esporsi in un primo tempo nel tentativo di contrastare la rivolta è stata appunto la polizia, mentre l’esercito si è tenuto di riserva. Non ho informazioni sufficienti (vorrei sapere chi le ha!) sull’andamento concreto del processo. Ci sono solo indizi (posteriori alla conclusione dello stesso). Ad esempio l’esodo non proprio episodico e saltuario di un numero consistente di tunisini verso l’Europa e soprattutto verso l’Italia. Poiché, in apparenza, dopo una breve resistenza del “dittatore” Ben Alì, il “popolo” ha vinto – nel senso che l’esercito si è infine schierato con il movimento, piuttosto ben orchestrato, e ha imposto al “tiranno” di andarsene – non si capisce come mai un numero così consistente di cittadini ha deciso di andarsene da questa “democrazia” conquistata.

La coerenza della “sinistra” si è ben constatata in simile occasione. Osanna al popolo in rivolta e alla sua conquista della “democrazia”, senza il minimo accenno alla funzione decisiva dei militari, non precisamente sinonimo di tale “nuovo regime” di governo. Dopo di che pieno appoggio all’accoglienza indiscriminata di coloro che fuggono la democrazia, affluendo in Italia. Simile atteggiamento lascia subito spazio alla tesi della “non sinistra” secondo cui quelli che scappano, non potendo certo essere rifugiati politici (altrimenti saremmo all’assurdo: paesi “democratici” quali i nostri “occidentali” accolgono come rifugiati politici coloro che scappano dalla democrazia riconquistata), sono considerati delinquenti comuni, fuggiti dal carcere in seguito ai disordini assieme a terroristi infiltratisi. Non credo ovviamente a simile sciocchezza: sia perché è inammissibile un numero così alto di delinquenti comuni incarcerati e di terroristi, che non s’infiltrano mai in massa pena l’essere facilmente individuati; sia perché in effetti coloro che sono arrivati sono persone piuttosto ben in arnese, dotati anche di un discreto mucchietto di soldi per pagarsi il “viaggio” (non certo una crociera, ma costoso comunque).

Con ogni probabilità coloro che se ne vanno non sono tunisini dei ceti più bassi e in miseria, non sono in ogni caso quelli che protestavano contro l’aumento del prezzo del pane. Si tratta di gente che approfitta della situazione di disordine creata dai moti – di cui precise forze, coadiuvate dall’esercito tunisino, hanno approfittato allo scopo di “rinfrescare” un regime ormai vetusto – per cercare di trasferirsi in aree dove si spera di trovare condizioni di vita migliori. In ogni caso, l’evento dimostra che in Tunisia non vi è stata alcuna rivoluzione e tanto meno di “popolo” (dell’uso di simile demagogia ho già detto nel mio precedente articolo). Semplicemente si è approfittato di condizioni di senz’altro reale miseria, e di scarsa sopportabilità della crisi mondiale in corso, per mettere in moto opportuni cambiamenti, già da qualche tempo preventivati nell’ambito della nuova strategia (o forse tattica, detto più precisamente), che aveva trovato un momento di “emersione in superficie” nello scontro tra McChrystal e Obama con sostituzione del primo da parte del gen. Petraeus in Afghanistan; uno scontro che sembra sordamente continuare tra l’amministrazione presidenziale e il Pentagono, pur se poco se ne sa. 

2. In Egitto la pantomima si è ripetuta con caratteri ancora più evidenti, ma sempre nascosti dalle forze che appoggiano gli Usa; in pratica l’intero schieramento delle forze politiche ed economiche europee e dunque italiane. Anche in tal caso, non si può disconoscere un primato di ipocrisia e di filo-americanismo (nel senso dell’appoggio alla nuova tattica statunitense) alla “sinistra” e, nel nostro paese, ai rinnegati del “comunismo” (manifestatisi per quei degenerati che sono ad ondate successive). Intanto, si è nascosto un fatto piuttosto evidente. Le manifestazioni – che hanno interessato certo una parte non irrilevante della popolazione – sono avvenute in alcune città, dove più numeroso è il ceto medio con livelli di vita non miserabili e sensibile a orientamenti occidentalizzanti. Nelle campagne non vi è stata adesione, anzi si è notato spesso un sordo atteggiamento pro vecchio regime, impossibilitato ad esprimersi per mancanza dei sostegni adeguati che le “rivoluzioni” di tal tipo (come già quelle “colorate”) trovano in organizzazioni finanziate soprattutto dagli Usa.

L’esercito ha finto neutralità, non ha appoggiato la polizia,
ha dimostrato anzi una sospetta tolleranza verso disordini di una certa portata, pur se montati tramite una disinformazione sempre proveniente dalle stesse fonti e sempre della stessa entità; basti pensare alla bufala dell’assalto al Museo del Cairo, difeso da parte degli stessi manifestanti, disposti a fiancheggiare l’esercito (la polizia non veniva ovviamente citata). Tutto ciò è stato smentito, ma è servito a dare un ulteriore tocco di positività al movimento teso a rovesciare un regime corrotto, difeso solo da una invisa polizia mentre l’esercito agiva di conserva con il “popolo in rivolta” per la “democrazia”. Il Dipartimento di Stato non si è schierato immediatamente con i rivoltosi, ma ha comunque chiesto subito al “potere” tolleranza e comprensione per il popolo le cui intenzioni, pur se manifestate con una certa “rudezza”, andavano comprese con benevolenza. I più ingenui si sono fatti ingannare così dalle prime dichiarazioni di Hillary Clinton, cui si univa nella sostanza Obama.

Ad un certo punto, l’esercito è apparso sempre più fraternizzare con la popolazione in concomitanza con l’indurimento crescente dell’Amministrazione americana che ormai chiedeva apertamente il cambio di regime, in effetti semplicemente la fuoriuscita di Mubarak dalla scena. In un dato giorno, che non vado a controllare quale sia stato, Obama ha annunciato che nel giro di poche ore Mubarak avrebbe pronunciato un discorso da cui sarebbe iniziata la vera “rinascita” dell’Egitto. Vedendolo in TV e ascoltando le sue parole, mi sono sovvenuto del discorso ben noto di Mussolini il 10 giugno 1940, giorno dell’entrata nella seconda guerra mondiale. Atteggiamento comunque incredibile poiché il “padrone” si sostituiva apertamente al servo per annunciare la “radiosa” svolta ad un paese situato a migliaia di Km. di distanza da dove lui governa la prima potenza del mondo. Dopo qualche ora Mubarak parla al “popolo” e annuncia il trapasso di ogni potere al suo vice, ma afferma di voler restare (solo sulla carta) ancora in carica fino alle elezioni “democratiche” previste per settembre. Apriti cielo! Incazzatura terribile di Obama che, nel giro di si e no un’ora riprende la parola e afferma recisamente che se ne deve andare senza tante discussioni e basta.

Non è sempre facile, io credo, poter constatare una simile prepotenza e arroganza da parte di un padrone nei confronti del servo. Nel giro di poche ore l’esercito licenzia Mubarak. Si susseguono varie notizie di andata all’estero, poi no, poi che forse aveva avuto un malore (come, nel medesimo tempo, si disse anche di Ben Alì). Infine si dichiarò che si era “spostato” a Sharm el Sheik dove in questi giorni, dopo ulteriori false notizie secondo cui era “scappato” in Germania, si è saputo che è trattenuto agli arresti domiciliari; non fa bene alla salute opporsi ad Obama. Intendiamoci bene: anche in tal caso, vi sono stati sommovimenti di una parte della popolazione (soprattutto cittadina), ma essi sono stati ampliati, se ne è fatto una buona cassa di risonanza, e non semplicemente tramite la solita internet, enfatizzata oltre ogni limite per nascondere altre trame e organizzazioni nascoste, ben finanziate e dotate di vari mezzi di pressione (non solo via “rete”). La sovversione, in ogni caso, si serve di spezzoni di popolazione precedentemente organizzata e non tutta riunita e concorde in un’unica direzione. Conta però alla fine chi sa imprimere la direzione “giusta”, ma solo se ha l’appoggio di certi apparati di Stato, i militari soprattutto (e legati ad una potenza straniera).

E’ fin troppo evidente che la differenza tra Tunisia, e ancor più Egitto, e la Libia non consiste nella maggiore o minore capacità di usare Twitter o facebook, bensì nel totalmente diverso controllo dell’esercito, il quale in Egitto ha eseguito gli ordini impartiti. Non si doveva organizzare né un colpo di Stato né fingere un rovesciamento dal “basso” del regime in carica da 40 anni, bensì seguire passo passo manifestazioni, segno di malcontento (di una quota soltanto, però, del “popolo”, quella comunque dotata di migliori reti organizzative, con “sensori” anche all’estero, in paesi “occidentali”), per poi “fraternizzare” momentaneamente con questa porzione di popolazione e creare l’impressione di aver quasi obbedito ai suoi ordini o comunque voleri. In realtà, una volta cacciato il Presidente, l’esercito ha detto esplicitamente (cito quasi le stesse parole di un loro comunicato”): “adesso sono state esaudite le vostre richieste, tornate quindi a casa; altri disordini acquisterebbero un segno diverso, di delinquenza”. Erano pure iniziati alcuni scioperi; immediatamente si sono proibiti adducendo che il paese aveva già perso molti giorni di lavoro e la sua economia non poteva sopportare altri stress, con rischio di effettive carenze produttive, dannose per il “popolo”.

Nel bailamme che si crea in situazioni del genere, non agisce certamente un’unica organizzazione, un’unica forza che spinge in una sola direzione. Molti si agitano tra le “masse”, e molti continueranno a tramare anche adesso che le manifestazioni non sono più ben viste [e nemmeno a farlo apposta, sembra che oggi, 9 aprile, l’esercito abbia aperto il fuoco di fronte a nuovi tumulti]. Questo è ovvio, ma non cambia il senso profondo degli avvenimenti, implicanti appunto la nuova tattica Usa. Questi ultimi hanno avuto un qualche occhio di riguardo perfino per i “Fratelli musulmani”, tenuto conto della loro influenza e soprattutto del loro moderatismo. Non sfugge ad alcuno che l’Iran ha tenuto un atteggiamento ambiguo nel corso dei sommovimenti nella parte nordafricana occidentale; ha manifestato appoggio solo alla Siria, da lunga pezza sua alleata, in altra area geografico-sociale. Per il resto, ha manifestato il suo favore verso manifestazioni di “popolo”, cercando solo di denunciare nel contempo l’intervento occidentale; un atteggiamento double face di cui non è facile valutare l’efficacia. Nella sostanza, forse non essendo questa l’intenzione (forse), si sono in parte favoriti i disegni americani, tuttavia essi stessi non stabiliti con “assoluta” precisione ed univocità.  

3. In Libia – così come del resto negli altri paesi in cui è tuttora in corso un “endemico” prodursi di proteste, che riprendono pure in Egitto – il modello seguito è stato più o meno lo stesso, con un surplus dei vari ingredienti. Innanzitutto menzogne di ogni tipo diffuse dalle solite agenzie arabe, su cui nemmeno mi soffermo perché sarei trascinato in una casistica certo atta a sollevare indignazione ma del tutto dispersiva. La più colossale menzogna è stata, del resto, quella della sollevazione del “popolo libico”, che non esiste affatto, essendo quella popolazione divisa in clan o tribù. Probabilmente, guardando all’andamento complessivo della “guerra”, nemmeno si è veramente sollevato il “popolo” in Cirenaica, centro della “ribellione”. Si sono silenziate fonti (tipo il Vicario Apostolico di Tripoli) che potevano fin dall’inizio dare un’idea delle mistificazioni in corso. Del resto, per motivi particolari (gli interessi italiani in Libia, attaccati da Francia e Inghilterra), alcuni giornali – rigorosamente non “di sinistra”, non di quel
l’establishment (“poteri forti”) che da ormai 17 anni tenta di utilizzare questa forza (im)politica per sedizione tesa a distruggere le minime basi di una nostra autonomia – hanno rivelato come ormai da mesi vari Servizi, in particolare appunto quelli inglesi e francesi, fossero all’opera per creare sollevazioni contro Gheddafi, indicato quale “crudele ditttatore”.

Non credo che gli Usa si siano illusi di ottenere da quest’ultimo l’uscita di scena alla Ben Alì o Mubarak; e lo sapevano perché, malgrado il tentativo poco convinto di accreditare defezioni nell’esercito, erano informati che quest’ultimo sarebbe in realtà rimasto compatto a lungo su posizioni “lealiste”. Se ne sono andati alcuni Ambasciatori, anche alcuni personaggi del “regime” del tipo dei capi dei Servizi che, come la storia ha sempre insegnato, sono particolarmente sensibili al cambiamento di campo ben remunerato. Comunque la recita è stata più o meno la stessa. Inviti perentori ad andarsene (da parte dei soliti Obama e Hillary Clinton) perché “delegittimato” (da loro), inviso al “popolo” che chiede “democrazia”. Minaccia di deferimento al Tribunale dell’Aja (per i soliti crimini contro l’Umanità); poi maggiore “benevolenza” lasciando al “dittatore crudele” la scelta del paese in cui andare in esilio, sempre se ben accolto. Infine, bombardamenti nella speranza di spianare la strada a bande di autentici mercenari (mentre ovviamente si accusava il “dittatore” di essere lui a reclutarli con il favoloso tesoro accumulato depredando il “popolo”).

L’inettitudine dei “ribelli” ha superato ogni limite e malgrado qualche bombardamento “per errore”, che dovrebbe servire a spronarli, non fanno altro che scappare non appena si ripresentano alcune centinaia di soldati “lealisti” prima ritiratisi a causa dei bombardamenti “non errati”. Alla fine si sta cercando di sgretolare la compagine governativa, ma non sembra con strepitoso successo fino ad ora. Si sta pensando allora all’intervento di truppe di terra (che già ci sono come rivelato sempre da quei giornali italiani non dell’establishment), progetto alternato a notizie di trattative, ecc. Adesso si parla anche dell’arrivo di membri dell’Unione Africana (che non ha votato la Risoluzione dell’Onu, atto formale per l’aggressione). Nello stesso tempo si assiste a strani balletti delle subpotenze che dovrebbero essere le più avvertite circa il pericolo delle nuove manovre statunitensi, così caotiche e non sempre dotate di senso preciso ed univoco. L’Iran in particolare, come già detto, ha agito in modo da favorire le mene statunitensi, almeno in Libia. La Turchia non ha comunque brillato nell’invischiare la Nato, pur se qualche mossa non “ortodossa” si è forse potuta notare. Le stesse maggiori potenze in pectore, Russia e Cina, non hanno avuto un comportamento di opposizione alle mene di coloro dalle cui mosse dovrebbero guardarsi. Il solo Putin, in un discorso poco ufficiale visitando una fabbrica, ha usato espressioni nette e consone agli avvenimenti, subito “sgridato” dal Presidente del suo paese.

  E’ del tutto evidente che l’andamento del processo in corso nei paesi arabi è seguito dalla potenza predominante, che tuttavia non sembra in realtà predisporre le varie mosse seguendo una successione lineare e comprensibile. Ci si sarebbe forse aspettati un completamento delle operazioni nel Nord Africa francofono tentando qualche “svolta” in Algeria (forse in Marocco); entrambi gli Stati, in effetti, sono stati sfiorati da manifestazioni, subito dopo la Tunisia, ma non vi è stata insistenza (al momento). La Libia era stata comunque “preavvertita”, ma poi era sembrato che si soprassedesse; invece alla fine ci si è concentrati proprio in questa direzione. Tuttavia, creando l’impressione (falsa in radice, ne sono convinto) che gli Usa siano stati tirati per i capelli dai loro “servitori” nella UE: l’Inghilterra (notoria ormai la sua totale subordinazione) ma ancor più la Francia. Tale paese non ha più, ormai da molto tempo, alcun residuo gollista; ha comunque superato se stesso, manifestando un’aggressività tutta particolare che si è fatta così passare come smania di protagonismo; mentre si è trattato al massimo di approfittare della situazione per scalare qualche posizione in più nella gerarchia dei “bravacci” al servizio del “Don Rodrigo” statunitense.

Si è subito data da fare anche l’Italia, preoccupata di essere scalzata nelle sue posizioni. La versione, facile facile, che più sembra convincere è quella di salvaguardare, per quanto possibile, i nostri interessi petroliferi. La più facile delle spiegazioni è infatti: la BP e la Total stanno scalzando l’Eni. La situazione è assai compromessa, soprattutto per certa (presunta) amicizia di Gheddafi con Berlusconi. Il nostro “provvidenziale” Ministro degli Esteri si è dato da fare per salvare qualche nostra posizione. Ed infatti si è parlato, qualche giorno fa, di un accordo – poi sparito però dalle varie notizie, per cui credo si sia trattato della solita voce per creare confusione – tra Eni e sedicente Governo provvisorio libico: quello dei mercenari incapaci d’altro se non di scappare non appena si approssimano le truppe “lealiste”, che nemmeno insistono nel regolare i conti come potrebbero; forse per l’intensificarsi, a quel punto, dei bombardamenti aerei, forse per lasciare tempo ad altre manovre e trattative (che ci sono, non le vediamo ma ci sono).

4. Non mi convincono similie spiegazioni lineari e appariscenti. Da un bel po’ di tempo non si svolge più una politica estera confacente ai nostri interessi di minima autonomia. L’ha abbandonata di fatto persino Berlusconi, messo sotto pressione da magistratura e altro; egli si è salvato il ben noto 14 dicembre dello scorso anno dal voto di sfiducia perché ha accettato un ripiegamento di fronte agli Usa. Gli stessi ambienti di centrodestra contrabbandano la menzogna dei “comunisti” all’attacco, delle “toghe rosse”, ecc., ma sanno benissimo che da “mani pulite” in poi questo corpo dello Stato, e i rinnegati del “comunismo” salvati appositamente dal crollo del campo socialistico e dell’Urss, agiscono per conto degli Usa e dei “poteri forti” già sopra considerati, oggi in fase di riassestamento dopo un periodo di dissesto, ma su altre basi e con altri protagonisti (anche in campo politico dove i suddetti rinnegati hanno mostrato la loro incapacità).

Non credo che il massimo interesse di coloro che oggi dirigono la politica estera totalmente asservita agli Usa, con un evidente “disinteresse” di Berlusconi ormai in semplice galleggiamento, sia di salvare le nostre industrie strategiche; nemmeno sorrette dai loro amministratori delegati (soprattutto Scaroni ha mostrato le sue vere predilezioni “occidentali”, cioè statunitensi) e dalle recenti nomine. Si salverà forse qualcosa – magari dopo aver indebolito l’Eni seguendo le direttive UE in merito, ad es., alla vendita della rete di distribuzione della Snam – ma non è questo l’assillo della politica estera italiana. Se lo fosse stato, si sarebbe notata una maggiore prudenza (almeno seguendo i “dubbi” di Berlusconi) e non si sarebbe arrivati a
riconoscere, come unico rappresentante del popolo libico, il Consiglio di Bengasi; una scelta nemmeno fatta dagli Usa, di un servilismo che lascia esterrefatti. Sembra più lecito pensare proprio al fatto di voler mettere termine all’anomalia berlusconiana in politica estera (per certi versi rifacentesi a quella di Craxi-Andreotti, seppur con minore coraggio).

Questa servile scelta avviene, in parte, per motivi (credo secondari) del presentarsi di Frattini quale possibile premier di un Governo di “unità nazionale” (in realtà antinazionale, se facciamo riferimento appunto ai settori chiave della nostra, credo ormai perduta, autonomia). E’ indubbio che, guardando alle “cose economiche” – la crisi, le misure prese dal Governo e tutto sommato ben viste dalla UE e, da qualche giorno, dalle società di rating, del tutto manovrate dagli Usa; e anche le recenti nomine ai vertici degli Enti “pubblici”, l’andamento della lotta in Generali, ecc. – si è notato come sia salito Tremonti, tra “sospiri” per l’Iri, appello all’etica (cristiana) negli affari, appoggio concreto ai “poteri forti” del tutto privati. E’ a lui cui si rivolge oggi Bersani per segnalare che si è disposti, vista ormai la débacle della “sinistra” (dei rinnegati), ad accettarlo come nuovo premier di una “unione delle varie cosche” (quelle di cui parlava Guido Rossi quando si lasciò scappare: siamo come nella Chicago anni ’20). La “guerra libica” è per Frattini la chance di conquistare almeno una pole position, persino in contrasto con Tremonti.

Tuttavia, fallito il (lungo) tentativo – iniziato con “mani pulite”; e, condotto dietro le quinte, dalla Confindustria agnelliana con alle spalle la “manina d’oltreoceano” (da quanto tempo l’autentico diccì Geronimo, passato all’Udc, si è scordato di questa sua “intuizione”?) – di far dirigere l’Italia da sicari ben ricattabili perché salvati dal “crollo del muro”, si spera adesso di ottenere migliori risultati con un pateracchio tra diverse forze di “tradimento” (nel senso di totale subordinazione allo straniero), invitate appunto, anche dal presdelarep, ad abbandonare sterili polemiche per formare un governo di emergenza in cui, per meglio ingannare il “poppolo” (italiano) si dirà che “destra” e “sinistra” accettano di stare insieme per il bene di quest’ultimo. In realtà, non esistono destra e sinistra se non come “botoli ringhiosi” in cerca di compiacere meglio il padrone; ma con appunto l’anomalia berlusconiana, espressa da settori del management “pubblico”, che salvarono qualche posizione strategica, senza però riuscire a mettere in cantiere un loro vero rafforzamento dando l’impronta alla “costruzione” di apparati statali adeguati all’esercizio del potere; e cambiando anche, alla fine, un personaggio di scarse qualità politiche.

D’altra parte, era comprensibile che la “sinistra” (dei rinnegati), una volta tramortita dall’inaspettato trovarsi tra i piedi Berlusconi e impedita nell’essere la referente unica e privilegiata di un governo italiano asservito al “padrone” Usa, si scagliasse soltanto ed esclusivamente contro di lui in un’orgia di rimbambimento e degenerazione della politica italiana. Era comprensibile proprio perché i rinnegati non avevano alcun’altra politica da proporre se non quella di seguire i “poteri forti” e, con pochi distinguo (da “politicamente corretto”), gli Usa; addirittura andando in guerra con loro nel 1999. Meno comprensibile, forse, l’atteggiamento della “destra” che li ha seguiti nella demenzialità contrapposta e priva pur essa di senso politico: Berlusconi era attaccato dai “rossi” (roba da pazzi o cretini!). Per 17 anni la si è “sfangata”, da una parte e dall’altra, con questa sceneggiata indegna, per il successo della quale occorreva però la totale putrefazione di un ceto intellettuale (che ha tenuto bordone ai “politici”) e il rimbambimento completo di una popolazione che ha dato il peggio di sé. Adesso siamo al capolinea, ma con una popolazione allo sbando e con un ceto politico e intellettuale di cui non credo si riesca a trovare l’eguale nella storia quanto ad autentico abominio.

E’ in questa situazione che occorre fare ipotesi sia in campo internazionale sia in quello nazionale, il quale è ovviamente il più vicino alla nostra attenzione. Ipotesi formulate nel mentre tutto lascia pensare allo svolgersi di azioni, nella scacchiera mondiale, della tipologia “caotica” e “liquida”, pur se gli Usa sono in grado di sferrare qua e là alcuni “cazzotti”; ma senza al momento affondare l’attacco, proprio per indebolire gli avversari (ormai più d’uno dopo la fine del mondo bipolare) attraverso il rammollimento (e instabilità) di sistemi vari di alleanza o comunque di interrelazioni politiche ed economiche. E’ in questo informe complesso di “fluidità” che va ricercato anche il bandolo della matassa per quanto concerne i nostri fatti interni. Questa tattica (o strategia) del “fluido” va meglio studiata tramite supposizioni che saranno pur esse “liquide”, mai “corpi solidi” posti quali pietre miliari di una strada liscia e scorrevole verso la “conoscenza del mondo”.

Chiunque chieda simile conoscenza a questo blog – quando l’abbandonano perfino i centri strategici del più potente paese del mondo – o è scemo o vuole provocarci. D’ora in poi dobbiamo cimentarci con questo mondo caotico e “amebico”, in cui però si inseriscono le azioni dei potenti (e anche quelle dei “soggetti” meno potenti, ma mai privi di uno o più progetti e di organizzazioni per attuarli) sia pure probabilisticamente calcolate. Non perdiamo tempo a rispondere ad obiezioni che vorrebbero capire ciò che è largamente affidato ad andamenti reticolari (e in una rete mobile, di forme rapidamente cangianti), in cui il “liquido” delle scelte scorrerà con improvvisi cambiamenti del canalicolo entro cui prima sembrava fluire con certezza e decisione.

E adesso al lavoro. Viviamo un’epoca “balzachiana”, di grandissima decadenza, di marciume e priva di qualsiasi idealità, non dimentichiamolo mai. Solo che al tempo della Comédie humaine si trattava della decadenza di una classe alta, la borghesia; grandi forme espressive l’hanno potuta descrivere. Oggi abbiamo a che fare con il degrado di un miserabile “ceto medio” (e mediocre) ad alto reddito, privo da sempre di un qualsiasi barlume di dignità intellettuale e morale; è impossibile che nel rappresentare il suo sprofondamento possano essere raggiunti gli stessi vertici artistici. La nausea ci prenderà spesso, quindi talvolta vomiteremo addosso ai maledetti che ce la procurano. Però, nello stesso tempo, cerchiamo di capire a quale tipo di “naufragio” ci stanno conducendo. Studiamoli quindi; tuttavia con l’atteggiamento degli entomologi, poiché di insetti in realtà si tratta. Guardateli nelle loro cerimonie, parate, inaugurazioni di anni accademici o giudiziari, nei palchi di teatro alle Prime, nei Consigli dei Ministri (raramente capita di vederli in quelli di amministrazione), e via dicendo. Quale sentimento provate a questa vista? Quale istinto si risv
eglia in voi? In me quello di quando vedo un millepiedi o uno scorpione circolare a portata del mio piede. Studiamoli, accettando la disgrazia di vivere in questa società e in questa fase storica.