RIFLESSIONI CONTINGENTI E NO di G. La Grassa

Spero che i lettori del blog si ricorderanno quanto poco tempo è passato da quando ho sostenuto che gli Usa avrebbero dovuto rivedere la loro politica mondiale – avendo troppo allungato le loro linee logistico-strategiche – riprendendo fra l’altro in attenta considerazione il Sud America. Mi sembra che ci siano adesso tutti i sintomi – pur se siamo a mio avviso ancora alle scaramucce – di questo cambiamento di tattica e strategia. Le tensioni intanto crescono, non a caso, tra Usa e Morales e Chavez. Sarà certo da dare tutta la nostra solidarietà ai due contro la prepotenza nordamericana, pur se poco si potrà fare data la situazione politica esistente; inoltre, la nostra popolazione sarà distratta perché assai preoccupata per se stessa, data la fase di crisi che si sta instaurando. A parte queste difficoltà probabilmente in rapida crescita, è bene rendersi pure conto che tale solidarietà ha senso se propugniamo nello stesso tempo un mondo multipolare, e siamo quindi favorevoli alla crescita di potenza di Russia e Cina.

Sono illusi quelli che vorrebbero appoggiare le “masse diseredate” del “sud” blaterando contro tutti gli imperialismi dei paesi capitalistici (quelli già sviluppati e quelli in crescita “ad est”), o quegli altri meschinelli che piagnucolano per il povero Dalai Lama “represso” – lui, un campione della “democrazia” con il suo regime autocratico in Tibet! – dai “cattivi” cinesi, di cui si sarebbero dovute boicottare le Olimpiadi; tutti questi sciocconi, per non pensare di peggio, devono essere costantemente criticati e anche duramente, poiché entriamo in una fase assai delicata, molto ma molto difficile. Senza una precisa tendenza a quello che chiamo policentrismo, ancora tutt’altro che vicino, le “masse” creeranno certo confusione in qualche parte del mondo, ma saranno poi “sistemate” dall’“imperialismo” statunitense; e purtroppo nell’indifferenza, ma ancor più con l’assenso, dei popoli dei nostri paesi del capitalismo “occidentale”, sempre più inviperiti per il loro vacillante tenore di vita. Basta con gli ingenui, non diamo loro requie; evidentemente nemmeno prendo in considerazione i reazionari, che staranno sempre, con la loro abituale coerenza, dall’altra parte. 

 

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E’ inutile parlare adesso a lungo della vicenda Alitalia, che difficilmente troverà una soluzione minimamente positiva, ma non è ancora chiusa. E’ bene chiarire che l’azienda è fallimentare da quel po’; e che la vendita ad Air France era un reale svendita, con un numero di esuberi molto al di là dei numeri ufficiali (per i sindacati e non solo per essi, si arrivava ad almeno 6-7.000). Quindi, inutile scandalizzarsi per la discrepanza sussistente anche adesso (3000 per la Cai, cioè la “cordata” di imprenditori, ecc. e oltre 6000 per i sindacati). E’ ovvio che quando un’azienda è fatta a “scatole cinesi”, con una miriade di altre aziendine scorporate e affiliate, dipendenti o addirittura interne all’azienda pur se formalmente contraddistinte da altre sigle, ecc., si riescono sempre a “dare i numeri” che si vogliono, a seconda delle contrapposte esigenze.

Il vero fatto è che la vittoria netta del centrodestra alle elezioni ha scombinato molti piani della nostra GFeID, creando al suo interno fratture che si sono riflesse pure nelle ben diverse posizioni assunte dalla nuova presidentessa confindustriale rispetto a “Capello Fluttuante” detto Montezemolo. La cordata dei privati si è quindi mossa per fare un piacere ai vincitori delle elezioni, ma è ovvio che non ha alcuna intenzione di rimetterci un fottio di “dindi”. Citiamo un solo piccolo esempio rivelatore del “casino” venutosi a creare. Il Governo ha chiesto aiuto alla Finmeccanica – una delle rare nostre imprese gioiello – affinché si assumesse il peso dell’Atitech, una delle “scatole cinesi” Alitalia che ha il compito della manutenzione relativa agli aerei della flotta MD80, che leggo essere composta da velivoli destinati ad essere dismessi da Alitalia (se continuasse l’attività) e venduti ad altre compagnie di “paesi del bacino del Mediterraneo”. Non credo ci sia bisogno di commenti; abbiamo capito di quali “specializzazioni avanzate” si tratta. In pratica, sarebbe una mera operazione di salvataggio “in perdita”, che si vorrebbe fosse effettuata da un’azienda sana, appesantendola di zavorra. Solo per salvare la faccia. Pare proprio che Finmeccanica abbia ormai respinto l’invito; e per fortuna!

Comunque, attendiamo a breve la “soluzione finale”, che dubito assai sarà un vero successo per qualcuno.

 

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Si precisa sempre più che, dietro tutta la battaglia (lanciata da Draghi e raccolta da Geronzi) per ritornare dalla governance duale a quella vecchio stile – in cui, di fatto, prevale nettamente la proprietà dei pacchetti di controllo (e dei “patti di sindacato” tra i maggiori azionisti), mentre diminuisce il potere del management, malgrado una serie di formali compromessi – vi è un rimescolamento di carte negli assetti finanziari, di cui però non si vedono bene i lineamenti; anche perché non credo siano attualmente definitivi. In ogni caso, dal mio punto di osservazione non sono in grado di avere le informazioni che contano e debbo procedere a tentoni, aspettando che le situazioni si decantino; e temo ci vorrà un buon lasso di tempo affinché ciò si realizzi.

Si capisce che, anche in questo caso, il non verificarsi del tanto atteso e agognato – dalla GFeID – pareggio elettorale ha provocato scombussolamenti vari, e nuovi posizionamenti tattici dei vari “parassiti” finanziari e industrial-assistiti legati al capitalismo Usa predominante, ben rappresentato dal ruolo assunto da un loro “amico” al centro del sistema bancario italiano. Al momento, sembra in calo l’influenza di Unicredit che – malgrado le smentite, cioè le ritirate più recenti – appoggiava il duale, cioè un maggior potere del management; in modo specifico dentro Mediobanca che adesso torna a svolgere una funzione rilevante nel sistema finanziario italiano (non centrale come all’epoca di Cuccia, ma comunque di grande rilievo). Sembra esserci pure una buona alleanza, penso più che altro tattica, tra questo cruciale nodo finanziario (e dunque Geronzi) e l’Intesa, banca considerata “amica” di Prodi, dove è però forse cresciuto il peso dell’amministratore delegato rispetto al presidente, che era il vero referente dell’ex Premier. Mi sbaglierò, ma non credo si tratti di situazione definitiva. Molti aspettano e sperano che l’attuale governo (e Berlusconi soprattutto) si logori presto e si possa ricominciare come prima. C’è poi, incombente e veramente minacciosa, una crisi mondiale, con ripercussioni particolarmente gravi in Italia, per cui tutto è allo stato fluido, “ballerino”.

Quindi, riprendendo il discorso, nessuna meraviglia se l’attuale intesa tra Intesa e Geronzi (Mediobanca) si rivelasse in seguito di pura “aspettativa”; nessuna meraviglia se, in attesa degli sviluppi futuri, un Bazoli manda magari avanti Passera verso accordi con il Governo (soprattutto in merito all’Alitalia), mentre lui si mantiene defilato per non “tradire” i “vecchi amici”, sperando che certi rapporti privilegiati tornino buoni fra un po’. Una cosa è certa, o almeno appare esserlo: l’operazione di smantellamento della governance duale non dovrebbe essere solo passeggera, ma vedere invece un ritorno in campo dei vecchi assetti del potere finanziario; è probabile che questi diano maggiori garanzie di stabilità e preminenza ai gruppi italiani legati alla finanza predominante statunitense (mi rifaccio sempre all’esempio della Repubblica di Weimar; analogia da accettare certo cum grano salis), tenuto conto che la crisi alle porte provocherà qualche brusco scossone e modificherà gli equilibri di potere in campo interno come internazionale.

Un ultimo avvertimento: attenti in particolare a Generali e Telecom. I sommovimenti e spostamenti intorno a Mediobanca – e il ritorno di questa, o almeno il saldo tentativo di ritorno, ad un ruolo più centrale – non sono affatto indipendenti dalle operazioni, in fase di avanzata gestazione, dirette al controllo di, o forte influenza su, due aziende che – pur appartenendo la seconda ai settori produttivi, e per di più ad uno di quelli potenzialmente strategici, di punta – sono in realtà utilizzate soprattutto per manovre in settori finanziari e per spostare gli equilibri tra “poteri forti” in detti settori.

 

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In tutto questo bailamme, restano defilate – rispetto al potere – proprio le nostre poche aziende strategiche e avanzate tipo Eni, Finmeccanica, Fincantieri, Enel, ecc. Esse operano in un contesto mondiale e conseguono buoni successi, che ovviamente si riflettono in qualche misura sul nostro cosiddetto sistema-paese; ma soprattutto dal punto di vista economico, meno da quello dell’influenza su partiti, gruppi di pressione, ecc. al fine di modificare l’orientamento politico generale, sia all’interno che in sede internazionale. Siamo ancora in mano a “destra” e “sinistra” non autonome rispetto a prevalenti interessi stranieri. Tali imprese avanzate sembrano allora muoversi in un “altro mondo” che, con l’Italia, ha soltanto alcuni punti di tangenza. Ed è precisamente nella sfera della politica che dovrebbero sorgere forze diverse, con strategie completamente differenti capaci di imprimere un andamento pressoché opposto all’attuale, promosso da gruppi imprenditoriali con prevalenti scopi finanziari. Dietro ai quali, sia chiaro, non ci sono solo i “profitti” da incamerare, ma squisiti problemi di potere; solo riguardati secondo un’ottica di netta dipendenza (dagli Usa) e di godimento della “compartecipazione agli utili” che i padroni riservano ai servi fedeli.

Se non si verificheranno mutamenti politici importanti, non si allargheranno a sufficienza i successi delle nostre aziende migliori e di punta; ed esse resteranno sostanzialmente avanguardie isolate, non riusciranno cioè a trainare certi settori della più recente fase innovativa, e non daranno impulso alla nascita di altre imprese avanzate in questi ultimi. Nemmeno saranno in grado di alimentare un più intenso impegno nella ricerca scientifico-tecnica d’eccellenza. I loro successi nel mondo si rifletteranno perciò sul sistema-paese in modo limitato e asfittico. Si avvicina sempre più il momento in cui o c’è una svolta politica oppure cominceremo a regredire sempre più rapidamente, e non solo economicamente; anzi soprattutto politicamente, in particolare come peso nel mondo. Non parliamo poi del regresso culturale; saremo veramente il paese della decrescita (anche mentale), delle angosce irrazionali del tipo di quella appena l’altro giorno diffusa, pure dalla “sinistra” ormai infestata da deficienti, in merito al ridicolo timore che gli esperimenti del Cern creino il “buco nero” che tutti ci inghiotte (se qualcuno può pensare questo, vuol dire che siamo ormai molto avanti nel processo di istupidimento che precede la demenza completa e irreversibile). Diventeremo un paese diviso tra l’agriturismo e le visite ai musei, da una parte, e gli esorcismi medievali contro il progresso, dall’altra.

E’ necessario opporsi a questa deriva, cui partecipano a pieno titolo, sia pure in posizione di poveri gregari addetti a “portare acqua” ai potenti, i sinistri “alternativi” (e i “destri” che li seguono nelle loro fobie antisviluppo e antiprogresso tecnico-scientifico). Bisogna attaccarli senza sosta; sono la gramigna che ci impedisce il salto definitivo in una “nuova dimensione” di avanzamento e di potenziamento delle nostre possibilità di autonomia. Non abbiamo molto tempo a disposizione. In questa fase, a causa della massiccia presenza di questi detriti di “destra” e di “sinistra”, appare difficile la nascita di una corrente politica capace di sintesi; di quella sintesi che non sia soltanto mediazione estenuante e priva di risultati, ma anche capacità di recidere con estrema energia il nodo gordiano in cui siamo incappati.