RIPENSAMENTI STRATEGICI, di GLG, 19 maggio ‘14

gianfranco

 

1. Ho più volte sottolineato il cambiamento strategico intervenuto nella politica estera statunitense, indicandolo come strategia del caos. Debbo dire che una simile politica (intesa appunto quale serie di mosse sulla scacchiera mondiale) non è semplice confusione, azione condotta a casaccio. Si segue pur sempre una razionalità, solo meno rigida e aperta a varie possibilità e percorsi (cioè serie di mosse in avvicendamento probabilistico). Chi segue tale strategia continua spesso ad essere convinto di poter riprodurre la realtà, sia pure solo per schema, fissando la tramatura della stessa. E’ convinto d’essere in grado d’attribuire ai punti nodali di tale trama una posizione abbastanza precisa; non segue certamente le elucubrazioni di quei filosofi “molto sapienti” che citano a sproposito l’indeterminazione della teoria quantistica, secondo cui l’osservatore influisce sull’oggetto osservato appunto osservandolo. Nella storia degli eventi sociali (politici, economici, ecc.) non siamo nel mondo delle microparticelle, non inviamo in direzione di queste ultime raggi d’osservazione dotati di energia tale da mutare la loro posizione e/o velocità.

Gli esseri umani hanno fin troppo presunto d’essere gli artefici delle vicende che li riguardano. Se ad un certo punto si verificano accadimenti inattesi, non previsti, fanno appello al caso, perfino alla sfortuna. Ci sono poi magari i credenti che pensano di aver commesso qualche grave peccato per cui subiscono la punizione che deve spingerli al pentimento. Essi sono invece artefici di un ben altro procedimento. La “realtà” – indubbiamente esistente e in cui siamo “immersi” – è da pensarsi (solo da pensarsi senza pretesa di attingerla nella sua “verità”) quale flusso informe, caotico, squilibrante. Non possiamo muoverci in essa credendo di poterci immergere consapevolmente in questo flusso poiché avremmo avuto in premio (e da chi?) una superiore dote di “intuizione”. Se siamo convinti di questo, mi sembrerebbe più corretto che ci si ritirasse su un monte o in un deserto, abbandonando gli altri esseri umani che disturbano questa nostra “intuizione”.

In realtà, assai più prosaicamente il nostro pensiero fissa dei campi di stabilità, certamente per punti sommari, in modo da poterci muovere lungo questi campi che assomigliano a delle mappe. Costruiamo la loro dinamica di mutamento attraverso una cinematica, cioè come si fa nei film. Una serie di fotogrammi sempre più ravvicinati fra loro; dai primi “film di Ridolini” si arriva ad una riproduzione che ci riempie di orgoglio (quello che, nella vita quotidiana, ci fa cambiare continuamente apparecchio televisivo sempre più dotato di “esatta riproduzione della realtà” per punti, per pixel!). Questa sarebbe la realtà: i rapporti tra i punti e le parti da essi configurate vengono riprodotti in formule, grafici, ecc. E noi siamo contenti, adesso nulla ci è ignoto, il futuro è la prosecuzione di quella sequenza ormai fissata.

Poi entriamo in ambasce perché accade qualcosa di imprevisto; ma non può essere! Appunto: o siamo puniti per nostri gravi peccati, oppure sorge il sospetto che qualcosa sia sfuggito alla riproduzione di quella “realtà”. Magari si pensa di migliorare ulteriormente la sua “fotografia”; e per quando riguarda la sua dinamica evolutiva, ci si sforza di rilevare i punti successivi (di quella che è in effetti una cinematica) eliminando il più possibile gli spazi (e i tempi) vuoti tra l’uno e l’altro. Alla fine pensiamo di poterci rilassare; tutto andrà bene. No, continuano a prodursi eventi “strani”, assolutamente capricciosi e bizzosi. Come mai?

Fin quando, nella successione degli eventi in una fase (o epoca) storica, agisce una forza decisamente prevalente (ad es. una potenza predominante in quel contesto spaziale), si ha l’impressione che l’evoluzione di una data formazione sociale sia abbastanza (mai completamente) determinata dall’agire di quel “soggetto”. Il quale fissa sempre i suoi campi di stabilità per agire, ma sembra in effetti che questi corrispondano alla “realtà” di quell’epoca storica. Ad un certo punto, si notano discrepanze, andamenti supposti erratici e casuali, eventi “fortuiti”; osservando meglio la situazione, si nota che stanno emergendo altre forze con altri campi di stabilità e altre azioni, altre sequenze di mosse per muoversi in quello stesso contesto. E malgrado, per un certo periodo di tempo, si cianci della necessità di collaborare tutti insieme (magari con i G8 o 20 di questi ultimi decenni), sempre più si verificano situazioni in cui ci si deve guardare in cagnesco: la sensazione di ogni “soggetto” è che qualcun altro stia barando, voglia raggirarci per poi meglio aggredirci! Ogni “soggetto” (ogni nuova forza in crescita) la pensa così.

In realtà, l’emergere di più forze ha soltanto posto in chiara evidenza, e lo andrà ormai ponendo sempre più in luce, che il campo (o i vari campi) di stabilità – fissato(i) mediante teorie via via più “raffinate” in strumentazione analitica impiegata e perfino supportate da accurate “ricerche (statistiche) sul campo” – ha presunto di immobilizzare il continuo flusso squilibrante, disordinato, che è in realtà irriproducibile tramite il pensiero detto logico (che sia deterministico o probabilistico non ha alcuna importanza). E’ questo flusso a mettere infine in crisi i campi di stabilità dei vari “soggetti”, la cui unica funzione, quando vanno moltiplicandosi, è quella di far risaltare che il flusso in questione non si acquieterà mai. E saremo sempre costretti, di periodo in periodo, di fase in fase, di epoca in epoca, ad attraversare quelle che avvertiamo sovente come tragedie.

Tuttavia, non vogliamo accettare questa “realtà”, vogliamo pensare che essa sia frutto delle nostre azioni. Alcuni credono che basterebbe cooperare o addirittura volersi bene, riscoprire l’“umanità” dei buoni sentimenti; realmente esistenti, sia chiaro, giacché non sono sempre ipocrisia e finzione di “soggetti” malintenzionati. Tuttavia, fanno quasi più danni gli “amorevoli” in buona fede degli altri, perché sono i più tetragoni e testardi nel non voler riconoscere che “qualcosa” deteriora oggettivamente i rapporti tra individui e gruppi sociali e spinge necessariamente a dover affrontare un conflitto (talvolta assai drammatico). Gli ipocriti e fintoni non capiscono da dove derivi il deteriorarsi dei presunti “equilibri”: non hanno consapevolezza del flusso squilibrante e informe, pensano ancora alla possibilità di stabilizzare dei campi attraverso il rafforzamento loro e l’indebolimento dell’avversario (trattato a volte da cooperante o alleato soltanto per raggirarlo e/o sottometterlo). Quelli in buona fede semplicemente non capiscono più nulla, continuano a credere all’esistenza del vecchio campo di stabilità con il suo equilibrio ormai tramontato da un pezzo; e provocano così ritardi con guasti inenarrabili e accentuano i peggiori aspetti della tragedia quando essa arriva.

Ci sono però anche altri “soggetti” che inseguono scopi diversi, che afferrano in parte l’inevitabilità del conflitto. Tuttavia, anch’essi non hanno consapevolezza del flusso squilibrante che sempre ci porrà alla fine – coadiuvato dalla formazione di più campi di stabilità formulati da forze contrastanti – in conflitto insanabile. Costoro sono invece convinti che il conflitto dipenda esclusivamente dal fatto che un gruppo sociale (minoritario) ha preso la predominanza nella società e schiaccia la maggioranza; quando questa si ribellerà, si potrà giungere infine ad una pacificazione. Che si gridi “liberté, égalité, fraternité” o si inneggi alla vittoria dei “produttori associati e cooperanti” contro coloro che si sono appropriati, o impossessati del controllo, dei mezzi di produzione, sempre si pensa di riuscire a dare infine vita alla società degli eguali privi di contrasti fondamentali fra loro. E invece, al termine della rivoluzione francese come di quella sovietica, ci si è trovati con nuovi gruppi dominanti. C’è chi grida allora al tradimento degli ideali rivoluzionari, chi inveisce contro una maligna natura umana, chi insiste nel credere che il nuovo gruppo dominante sia solo un’avanguardia in grado di portare tutti all’eguaglianza tramite adeguato sviluppo; e altre illusioni che nemmeno elenco tanto sono numerose e piene di sfaccettature doverse.

Il gruppo detto dominante è semplicemente quello che andrà formulando un nuovo campo di stabilità, temporaneamente adeguato dopo il tracollo del vecchio; e dunque fisserà una pausa, un “attimo di respiro non affannoso” ad esseri umani immersi nel flusso squilibrante, che prima o poi logorerà anche “quella novità”. Intanto, però, una pausa ci vuole, non si può agire senza un campo di stabilità. Ecco perché al “giacobinismo” – il momento più emozionante e teso del rivoluzionamento del vecchio campo di stabilità, in cui fioriscono comunque alti ideali e idee nuove, ecc. – segue il “termidoro”, che cerca di stabilizzare nuovamente il campo. Sembra si torni indietro, ma alla fine, pur nello spegnimento degli entusiasmi e nel venire a galla degli ipocriti e mentitori, si stabilizza nei fatti un nuovo (solo apparente) equilibrio.

Non è così, non è mai così, ma lo si crede e si ricomincia ad agire in un apparente campo di stabilità, che comunque presenta chiare novità rispetto al precedente. E nulla esclude che tali nuovi caratteri possano essere ragionevolmente considerati migliori di quelli vecchi. L’importante è capire che il flusso continua a scorrere e prepara altre fasi, altre epoche. E il pensiero umano sarà sempre in ritardo nel cercare nuovi campi di stabilità quando i vecchi sono logori. Questa, appunto, la meschinità dei tempi odierni. Non sappiamo come pensare il nuovo. E “le mort saisit le vif”. Anzi l’ha già trascinato a fondo, nel regno dei morti viventi.

 

2. Ho compiuto un détour che penso non sia stato inutile. Torniamo pure al mutamento strategico degli Stati Uniti (con l’Amministrazione Obama soprattutto). Inizialmente, ho appunto attribuito il cambiamento alla decisione di attuare la strategia del caos. Questa, però, è in fondo una versione corretta (e, in un certo senso, ampliata) di quella del divide et impera. Per produrre caos è indubbiamente necessario approfittare dei contrasti esistenti in campo avversario. Tuttavia, si procede con una notevole flessibilità, e rapidità di cambiamento, al relativo appoggio (o minore aggressività nei confronti) ora dell’uno ora dell’altro di tali “nemici” in reciproco conflitto. Ciò comporta labilità e incertezza nei percorsi seguiti nell’accordare detto appoggio. Dietro la mutevolezza e instabilità esistenti sul terreno di scontro, vi è pur sempre un campo di stabilità fissato teoricamente dagli analisti delle strategie; tale campo contiene però alcuni “gradi di libertà”, da seguire attentamente con atteggiamento fortemente aperto al carattere solo probabilistico delle mosse compiute dai contendenti di cui sfruttare il conflitto per i propri scopi.

Innanzitutto, dunque, questi ultimi devono essere stabiliti con assai minore grado di libertà; una certa precisione di finalità deve guidare le scelte del “soggetto agente” secondo la strategia del caos. Il terreno di scontro tra coloro di cui sfruttare la rivalità e inimicizia è però situato in una sfera non adeguatamente influenzata dall’agente della strategia in questione. Si appoggia l’uno o l’altro di un certo numero di gruppi in conflitto su quel terreno, si crea dunque una situazione di forte instabilità aperta a più prospettive di evoluzione (non però in numero troppo alto), che debbono essere passibili di valutazione realistica; per essere così in grado di svolgere sequenze di mosse, sia pure con le opportune correzioni di rotta, secondo le modalità di volta in volta più opportune al fine di risolvere lo scontro realizzando, almeno in parte, gli intenti dell’agente strategico.

E’ indubbio che il comportamento statunitense degli ultimi anni – Libia, Egitto, Siria, Ucraina; e, in subordine, Iran o Turchia – lascia fortemente perplessi se valutato secondo gli intenti del caos, inteso nel senso strategico qui sinteticamente tratteggiato. Si è creata quasi ovunque una situazione caotica nel senso comune di tale termine, non in quello inerente ad una strategia così denominata. Insomma, sembra si siano buttate in campo forze prive di orientamento minimamente analizzato e valutato sia pure con l’intento di seguire, probabilisticamente, varie (ma non “infinite”) possibilità di evoluzione e sbocco del processo posto in atto. Un simile atteggiamento potrebbe essere anche spiegato ove si trattasse di resistere all’avanzata di un altro “soggetto agente” (strategico), in definitiva di un’altra potenza che sta aggredendo; allora magari si cerca semplicemente di “inondare” (metaforicamente parlando) il territorio su cui questa sta avanzando per creare un “pantano”, una pura “melma fangosa”, che impedisca o almeno ritardi tutti i movimenti diretti contro chi si difende.

Non è questo l’atteggiamento degli Usa. Mantenendo per il momento un certo equilibrio con la Cina nel sud e sud-est asiatico, l’intenzione è nettamente aggressiva in Europa, Medio Oriente, ecc. con il fine di premere la Russia entro i suoi confini, metterla in sofferenza, sperando in contrasti interni che possano ripetere gli eventi gorbacioviani ed eltsiniani. Almeno questa sembra l’intenzione americana. Tuttavia, lo ripeto, le modalità dell’azione sollevano perplessità, che ho cercato di esplicitare, pur se ancora con cautela e rifacendomi a considerazioni più generali in fatto di strategie. Per quanto riguarda certe manovre in direzione del nostro paese si ha la sensazione – come già parzialmente rilevato in altro pezzo – di una sequenza di mosse meno casuali per rendere il nostro paese socialmente “destrutturato” e appiattito sulle posizioni più servili nei confronti dei predominanti mondiali; nel contempo, facendo passare l’idea che il nostro principale nemico sia la Germania, la quale peraltro si comporta in modo da favorire tale sensazione. Sarà necessario seguire attentamente gli eventi riguardanti l’Italia e l’area europea (nonché quella a sud e sud-est della stessa). Attendiamo anche le elezioni europee, perché dovrebbero avere un qualche rilievo in merito a possibili punti di svolta che renderanno forse meno oscure le intenzioni dei gruppi prevalenti negli Usa (appena un po’ meno oscure, sia chiaro, non attendiamoci illuminazioni improvvise e decisive!).