SCIENZA E ANTISCIENZA a cura di G. La Grassa

 

L’ultimo capoverso di questo articolo di Bellone (Le Scienze, agosto 2008) segnala una situazione ancora esistente in Italia a cent’anni di distanza da quando l’Italia, dominata dal pensiero di Croce e Gentile, perse l’autobus preso invece – ma già dall’ottocento e ancor prima – da Germania, Inghilterra e Francia. L’arretratezza di questo paese da operetta è nel predominio sempre avuto da filosofi, grandi e piccoli, ma tutti antimodernisti, convinti che la scienza sia pura tecnica, semplicemente perché non capiscono nemmeno di quali problemi si stia trattando; e quelli che hanno gli strumenti per capirlo, hanno evidentemente altre “tare” politiche e d’altri tempi (“antiqui”).

In Francia, un autore come Bergson, considerato da molti uno “spiritualista”, afferrava almeno la differenza tra le conoscenze conseguite dalla scienza e quelle che voleva offrire la filosofia in quanto metafisica; da non disprezzare, quest’ultima, così come invece i filosofi “umanisti” italiani – paese in cui agli ultimi esami di maturità la media in matematica è stata del sei – disprezzano la scienza. Bergson scriveva (Introduzione alla metafisica): “Noi ci installiamo abitualmente nell’immobilità, in cui troviamo un punto d’appoggio per la pratica (corsivo mio), e pretendiamo di ricomporre la mobilità con essa. Otteniamo così solo una maldestra imitazione, una contraffazione, del movimento reale, e tuttavia questa imitazione ci serve nella vita assai più che non l’intuizione della cosa stessa (corsivo mio). Ora, il nostro spirito ha una irresistibile tendenza a considerare più chiara l’idea che gli serve più spesso (corsivo mio). Quindi, l’immobilità gli appare più chiara della mobilità, l’arresto anteriore al movimento”.

Potrei citare molti altri pezzi che dimostrano l’importanza attribuita da questo filosofo alla scienza nella nostra pratica di “tutti i giorni”, cioè in tutto ciò che essa ha rappresentato e rappresenta per l’avanzamento indiscutibile delle società che hanno saputo utilizzarla. Sia chiaro che non sono d’accordo con Bergson, anche perché non credo alla possibilità di installarsi tramite la sua intuizione nel “cuore della cosa stessa”. Se avrò tempo chiarirò un giorno il mio pensiero in merito (non lo considero mio compito precipuo non essendo un filosofo). Volevo solo ricordare che i filosofi italiani sono sempre stati cent’anni luce in ritardo perfino rispetto ad un Bergson; e oggi questi filosofi sono molto, ma molto, al di sotto di Croce e Gentile. In ogni caso, sono negativi. L’Italia non potrà mai raggiungere livelli di modernità; e quindi nemmeno di indipendenza nei confronti sia del paese per il momento predominante sia di quelli che si apprestano all’entrata in un mondo multipolare.

So di ripetermi, ma siamo un ben “pauvre pays”. A questo proposito, la “sinistra” – soprattutto l’estrema, quella ambientalista, quella della decrescita, dell’“orto dietro casa”, quella dell’Uomo (sostituto di Dio in cui essa si vergogna di credere; e invece sarebbe meno dannosa se credesse nel Divino, e desse così “a Cesare quel che è di Cesare”) – dovrebbe essere messa in condizioni di non più nuocere con mezzi drastici; perché ha ormai procurato a questo paese ritardi di qualche decennio. Non sono tuttavia così sciocco da credere che sia nettamente diversa l’attuale “destra”. Per carità, adesso non mi diffondo troppo sull’argomento.

Lo ripeto: al momento non se ne esce, siamo sempre nella situazione descritta nell’ultimo capoverso di Bellone. Le speranze sono poche, troppo gretti e oscurantisti questi filosofi italiani odierni, antimodernisti e antiscientifici; diffondono una cultura da “brivido” che a tutto pensa salvo che a un paese moderno e in minima avanzata. Seguiti dall’esercito di insegnanti semicolti che hanno ridotto la nostra scuola ad un colabrodo. Tutto questo “terriccio da riporto” si crede portatore di una “grande cultura”; deve invece essere asportato e messo in discarica. Ci sono però anche personaggi di valore? Benissimo, allora collochiamoli fin d’ora nei Musei e facciamo pagare l’entrata per ascoltarli. In fondo, questo interessa loro: parlarsi addosso e vedere un certo numero di individui sudaticci con facce inebetite che li ascolta come oracoli. In un Museo, gli oracoli procurano forse meno danni.

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