SI APRONO LE OSTILITA’, MA L’ITALIA HA GIA’ PERSO di Andrea Fais


Comincia l’attacco alla Libia. A guidarlo e a coordinarlo due delle più importanti potenze mondiali della Nato. Gli Stati Uniti? Non da subito. Ad attaccare sono state anzitutto la Francia di Sarkozy e la Gran Bretagna di David Cameron.

Il voto al Consiglio di Sicurezza dell’ONU di giovedì 17 marzo ha stabilito con chiarezza due elementi principali. L’impegno e la volontà di Washington a completare le operazioni di destabilizzazione avviate in Nord Africa, liberandosi di Gheddafi, così come già accaduto, per vie “soft-power”, con Ben Alì e con Mubarak, ma anche la decisione di non prendere in mano in via esclusiva od egemonica le principali operazioni, limitandosi ad un "ruolo di appoggio", e, come ribadito da Obama e consigliato caldamente da Robert Gates, a "coinvolgimento limitato". Che succede? Gli Stati Uniti non sono in grado di concludere, da soli, un rapido intervento, e non hanno le stesse capacità militari di Francia e Gran Bretagna? No. Washington, malgrado la pesante crisi finanziaria, e il declino di diversi settori produttivi interni, ha ancora nelle proprie mani un potenziale smisurato. Non si facciano illusioni coloro che sperano in una rapida realizzazione delle tesi decliniste, senz’altro ben argomentate ma fin troppo affrettate e abusate nell’odierno scenario. Le motivazioni che hanno indotto Russia e Cina a non utilizzare la pesante arma diplomatica rappresentata dal diritto di veto in sede Onu, per concretizzare quanto i rispettivi rappresentanti internazionali (Putin, Rogozin, Wen Jiabao e Li Baodong) avevano fino a quel momento lasciato intendere, restano a noi ancora ignote. Azzardando alcune ipotesi, ed escludendo l’improponibile tesi di un’improvvisa follia collettiva, l’astensione di Russia e Cina, potrebbe essere il frutto di una strategia comune, concordata dalle due potenze d’Oriente, per limitare i danni e circoscrivere la questione nei ranghi delle Nazioni Unite, evitando, dunque, di provocare un inutile stallo in sede internazionale, che avrebbe lasciato, senz’altro, campo libero alla sempre più forte ed egemonica Nato, come già avvenuto negli ultimi due decenni. La Nato, oggi può contare su un’alleanza di ben 28 Paesi membri effettivi, di cui almeno cinque tra i dieci eserciti più avanzati al mondo (Stati Uniti, Francia, Germania, Turchia e Italia). L’espansione militare dell’organismo nord-atlantico negli ultimi venti anni, è stata impressionante, e sin dalla metà degli Anni Novanta non ha avuto praticamente sosta, sfruttando in maniera quasi totale i tre sconvolgimenti geopolitici avvenuti in seguito al dissolvimento del Patto di Varsavia, alla dissoluzione dell’Urss e alla frammentazione dei Balcani. Dinnanzi ad uno scenario geopolitico del genere, basta aggiungere la pesantissima influenza delle ONG americane all’interno di molti dei Paesi in via di sviluppo, e la stretta influenza di movimenti non-governativi e di comitati occidentali sui diversi gruppi integralisti o separatisti all’interno di Russia e Cina (Cecenia, Daghestan, Inguscezia, Tibet e Xinjiang) o nei loro “esteri vicini” (Myanmar, Kirghizistan, Georgia, Azerbaigian, Ucraina ecc …), per comprendere quanto attualmente siano ancora piuttosto lontani i margini per garantire l’autentica ricostruzione di un campo dei rapporti di forza internazionali equilibrato ed organico. Lo strapotere occidentale è ancora troppo schiacciante, tanto da poter organizzare, in vari modi e secondo diverse strategie, un piano di sconvolgimento imperialistico dell’intero arco mediterraneo e mediorientale, suddividendo i compiti tra le principali forze euro-atlantiche. Le menzogne – palesemente sconfessate dalle riprese di TeleSur e Russia Today – con cui è stata tentata una hollywoodiana demonizzazione di Gheddafi (un personaggio con cui, fino a due mesi fa, quasi tutti i leader mondiali hanno stretto accordi e firmato ricchi contratti), non è bastata. Stavolta, non c’era povertà sociale da sfruttare come volano demagogico di destabilizzazione, al contrario di quanto accaduto in Egitto, dove la situazione economica era effettivamente disastrosa. In Libia, il Pil Pro-capite raggiunge i circa 13.800 dollari all’anno, assestandosi al primo posto nell’intera area nord-africana, la popolazione conta appena 6 milioni e mezzo di abitanti e gli introiti del mercato petrolifero garantiscono una vita dignitosa e soddisfacente alla popolazione, con tutti i vantaggi in termini fiscali che ne conseguono. Si è dovuto perciò ricorrere ad uno scenario drammatico, fatto di fosse comuni (inesistenti), e di massacri quotidiani, di bombardamenti sulla folla (con presunti caccia F16, poi diventati elicotteri Apache, entrambi in dotazione, in realtà, ai soli eserciti occidentali e a quello israeliano). Uno scenario assolutamente grottesco, in cui colui che fino a poco tempo fa veniva accolto come un leader carismatico e rispettabile quasi ovunque, anche qui in Italia, è ora tratteggiato come un demone e un dittatore, pronto a furoreggiare come una belva dinnanzi ai presunti ribelli (in realtà avventurieri supportati da mercenari militari olandesi, egiziani e inglesi) scesi in piazza con le bandiere della vecchia monarchia di Re Idris (quando cioè la Libia era una colonia anglo-americana) e con slogan eloquenti quali “Oil for West”.Questo è il quadro di una situazione raccapricciante, dalla quale almeno la Germania (che in Libia ha diversi interessi economici da tutelare) ha deciso di restare fuori, evitando la pessima figura all’italiana, riservataci dalla nostra classe dirigente, nuovamente pronta, come il più ignobile degli sguatteri, a fornire basi militari ad eserciti stranieri per bombardare un alleato strategico, che fino ad oggi aveva fornito al nostro (nostro?) Paese il 20% dell’intero fabbisogno energetico nazionale, oltre ad aver aperto un tavolo di cooperazione generale pieno di contratti miliardari per Eni e Finmeccanica. Stracciato e unilateralmente violato, come se nulla fosse, il Trattato di Bengasi dell’estate 2008, la tradizione para-diplomatica occidentale conferma ancora una volta la sua totale inutilità, il suo carattere puramente artificioso, riconfermandosi quale blando ed esclusivo schermo estetico di una coscienza internazionale in realtà esclusivamente fondata sulla sopraffazione, sulla viltà, sull’aggressione e sull’ingerenza. Non c’è che dire. Se la rideranno indubbiamente all’Eliseo, dove la Francia e la Gran Bretagna potranno tornare a spartirsi un po’ di risorse nord-africane, come ai tempi della Belle Epoque, laddove erano ormai da tempo stati ridimensionati dalle varie iniziative di cooperazione avviate da Italia, Germania, Cina e Turchia, mentre gli Stati Uniti, veri “deus ex machina” di questi sconvolgimenti mediterranei, potranno garantirsi l’eliminazione di un leader scomodo, senza distrarsi dal vero obiettivo della loro azione: l’Arabia Saudita e il Golfo Persico, dove una nuova partita sta per cominciare a suon di ingerenze “umanitarie”, pronte a scoppiare non appena il fumo dei raid occidentali in Libia si sarà diradato.