SI PARLI CHIARAMENTE di Giellegi (2 ott. ’10)

   1. Negli anni ’70 si parlò di sedicenti brigate rosse, in realtà pensate come creazione di servizi segreti (si era sicuri fossero quelli americani) o almeno da questi infiltrate. Nessuna certezza assoluta (ma tanta probabilità) può sussistere circa l’infiltrazione (anche da parte di servizi dell’Europa orientale, in specie della Cecoslovacchia o della DDR), ma era abbastanza chiaro che si aveva a che fare con (nostalgici) comunisti, ancora illusi che la lotta tra imperialismo (Usa) e socialimperialismo (Urss), accompagnata dal presunto radicalismo rivoluzionario di settori importanti della “Classe” (operaia) in Italia, avrebbe provocato alla fine un colpo di Stato (filo-imperialista), per cui ci si doveva attrezzare alla lotta clandestina, sfruttando tutte le contraddizioni tra le fila degli avversari – legate all’errata previsione di un aperto scontro frontale Usa-Urss – così come Lenin aveva sfruttato contraddizioni simili durante la prima guerra mondiale.
   Assurdo era entrare in clandestinità prima ancora che si verificasse ciò che si era previsto. In genere, ci si prepara all’eventualità, ma non si anticipa in quel modo un presunto colpo di Stato. Poiché le previsioni erano del tutto sballate, si è scivolati progressivamente verso la criminalità. La scelta di compiere attentati contro singoli individui, ritenuti particolarmente rappresentativi dei vari settori avversari (politici, economici, giornalistici, ecc.) e l’idea cervellotica che così si colpiva al cuore il nemico, non potevano che comportare atti violenti sempre più staccati dal contesto politico-ideologico dichiarato.
   Dico tutto questo pensando certo all’attentato a Belpietro, ma intendendo andare ben oltre tale evento. Si tenta di farci credere, per reale somiglianza del tutto esteriore, che ci si sta riavviando agli “anni di piombo”. Sarebbe come se si volesse vedere nell’ottobre ’17 una pura ripetizione della Rivoluzione francese nella sua variante giacobina (il periodo del Terrore del 1793-94); oppure considerare i Soviet una semplice riedizione della Comune parigina. Chi sbaglia contesto storico-sociale affidandosi, ripeto, alla semplice somiglianza esteriore, o è un superficiale o è un incallito mentitore che approfitta della dabbenaggine della “ggente” per suoi scopi di diversione dai fatti reali, che lo metterebbero in imbarazzo. Sbaglia (o mente) chi fa ricorso all’immagine del terrorismo (molto simile, per l’uso fattone e gli scopi cui serve, a quello “islamico”, quello di Al Qaeda, ecc.); sbaglia chi semplicemente pensa che l’attentato a Belpietro sia stato compiuto da apparati al servizio di Berlusconi (che avrebbe organizzato anche il lancio sul suo viso del modellino del Duomo milanese). Si tratta di due facce della stessa medaglia; che va appuntata sul petto o di incapaci di pensare o di individui che sanno fin troppo bene quello che dicono e fanno.
   Non esiste più il mondo bipolare (con la complicazione del “terzo”: la Cina che diffondeva l’idea di un socialimperialismo più pericoloso dell’imperialismo Usa e quindi divenuto il nemico principale); non esiste più il “socialismo reale” qualunque fosse la sua “natura”. Esiste un sistema mondiale del capitalismo, con una sua articolazione storica specifica, con due tipologie diverse di formazione sociale che si affrontano. Questo confronto/scontro non è più però bipolare (imperfetto), ma si avvia verso il multipolarismo. Anche quest’ultimo è imperfetto, ma non comporta affatto, come l’altra configurazione, alcuna tendenziale cristallizzazione dei due campi, con loro conflitto ai “margini” degli stessi combattuto in alcune zone del Terzo mondo. Nella nuova situazione, non vi è dubbio che sembra ripetersi, principalmente, la lotta in quest’ultimo; non più però tra due potenze, ma tra un certo numero d’esse: una in tendenziale declino e altre in tendenziale crescita, pur se quella in declino mantiene ancora qualche lunghezza di vantaggio.
   In ogni caso, il movimento diventa via via più impetuoso. Per il momento siamo ad una sostanziale “guerra di posizione”, con scorribande verso le “trincee nemiche”. Sempre più si arriverà ad una “guerra di movimento”, con profonde infiltrazioni nei reciproci territori; per di più in presenza di più poli, che giostreranno nel conflitto secondo periodici mutamenti di nemici e alleati. Conflitti e alleanze provocheranno, all’interno stesso delle diverse potenze in lotta, una serie di scontri tra gruppi politici ed economici con tattiche e strategie differenti (che condurranno talvolta ai “tradimenti”). Quando saremo in piena “guerra di movimento”, il vecchio Terzo Mondo (ormai diversificato ampiamente al suo interno) o avrà espresso fino in fondo le sue potenze e subpotenze (come avviene già ora, ma in modo ancor più accentuato) o sarà il campo di battaglie di complemento (non irrilevanti sia chiaro) o “riserva territoriale” di una delle potenze in contrasto. In ogni caso, il conflitto principale si sposterà verso il centro del sistema capitalistico mondiale; segnato dalle differenziazioni di formazione sociale già accennate, che avranno importanza per trovare adepti e seguaci in altre potenze avversarie.
   2. Nel mondo bipolare, un paese come l’Italia, importante per il campo occidentale (e la Nato, ecc.) a causa della sua posizione “di confine” e lanciata verso sud-est, sfruttava minimi margini di autonomia con manovre poco chiare e sempre mantenendo un sostanziale servilismo verso il centro del proprio polo. Oggi valutiamo con più precisione la politica abbastanza furba dei Craxi, Andreotti, Moro, ecc. (e dunque di certi settori economici soprattutto della “mano pubblica”, che non si limitavano evidentemente al solo Mattei, del resto “fatto fuori” abbastanza presto). Cerchiamo però di non ingigantire la personalità di costoro. Non furono dei grandi politici, appaiono “più alti” di quanto fossero solo perché oggi vi sono dei nanerottoli.
   Si pensi, come solo esempio, all’anticomunismo (e antimarxismo) di Craxi, che tentò di lanciare l’operazione culturale “Proudhon” (affidata per di più ad un Pellicani). Questo nel mentre il Pci, già in via di abiura del suo passato e del suo schieramento con l’Urss, si rifaceva al sedicente cattocomunismo; oggi miserevolmente rappresentato, ma che allora annoverava personaggi come Rodano e Napoleoni, i cui ascendenti erano pensatori cattolici quali un Del Noce, ecc. Era prevedibile chi sarebbe alla fine uscito vincitore sul piano culturale. Craxi non è stato un grand’uomo, invece abbastanza modesto proprio culturalmente. Certamente furbo, dotato di carattere e decisione, ma privo di ampie visioni.
   Caduto il “socialismo reale” e soprattutto il centro di quel polo, il Pci era già maturo per svendersi al peggiore capitalismo italiano, quello del metalmeccanico che manteneva una sua preminenza, mentre i settori avanzati venivano smembrati dalle manovre di dismissione del “pubblico” svolte dai vari Prodi, Ciampi, ecc., cioè da quei settori laic
i (azionisti) e cattolici cui si permise di impadronirsi del “passato resistenziale” (dei comunisti, quelli reali, quelli morti o imprigionati) mediante una meschina ma riuscita operazione politico-culturale (finanziata e diretta dal capitale “privato”, ma quel che conta non è la forma giuridica, bensì il suo carattere arretrato e parassitario malgrado lo sfavillio della “qualità totale”, del just in time e altre sciocchezze varie, propagandate specialmente dai settori “operaisti” della “sinistra”, fatti passare per radicali rivoluzionari mentre erano invece di un reazionarismo insuperabile e ben riveriti per questo).
   Dc e Psi – salvo piccoli residui indispensabili a coprire quei “comunisti”, costretti dal “crollo del muro” a cambiare casacca troppo rapidamente per poter essere creduti dalla massa della popolazione che aveva fino allora votato per il “vecchio regime” – furono fatti fuori con la ben nota operazione giudiziaria. Si mise in mezzo il granellino di polvere chiamato Berlusconi (in rappresentanza di settori battuti ma non dispersi e che volevano riorganizzarsi) e adesso non proseguo giacché questi fatti li ho più volte ricordati, già a partire dalla fine del 1994 (anche se nessuno mi ha degnato di attenzione, tutta rivolta al ceto intellettuale dei “sinistri”).
   Per un decennio o poco più fu netta l’impressione di un predominio “imperiale” statunitense. Tutto sommato, l’Italia non dava grandi pensieri; furono soprattutto i settori arretrati (o non avanzati) del capitale “privato” a premere in continuazione per (ab)battere Berlusconi e quindi completare l’opera di distruzione dei settori più avanzati dell’energia e dell’elettronica, ancora in parte “pubblici” (ma sempre costretti sulla difensiva anche nei confronti di ambienti europei, infastiditi da qualche buona intraprendenza delle nostre imprese). In ogni caso, inutile negare che il tutore di riferimento restava la grande potenza d’oltreatlantico. I gruppi berlusconiani potevano dare fastidio come intralcio sulla strada del completo controllo, ma erano pur sempre dello stesso orientamento internazionale. Non è che ci fossero grandi pericoli di velleità indipendentiste.
   La situazione è mutata con la rinascita russa all’inizio del nuovo secolo e millennio, rinascita che, unita alla presenza di Cina, India e pochi altri, ha rappresentato un punto di svolta verso una situazione policentrica, intanto multipolare. Intendiamoci bene. Berlusconi resta un sostanzialmente fidato suddito degli Usa, uno che non osa mettersi contro Israele, ecc. Il fastidio che procura ha un che di “oggettivo”. Non può completamente staccarsi (perché sarebbe distrutto non solo politicamente, ma anche come complesso industriale e finanziario) dai suoi sostanziali sostenitori, rappresentati da settori della grande impresa “pubblica”, mentre la piccolo-media imprenditorialità in gran parte l’appoggia, ma finora non ne ha ricavato grandi vantaggi e non so per quanto ancora resterà “fedele”. Egli, dunque, è necessitato a perseguire una politica (economica) estera che urta gli interessi di altri paesi. Di fatto, tale politica non procura molti danni agli Stati Uniti, semmai disturba assai di più l’attività di importanti gruppi economico-politici di grandi paesi europei. La potenza centrale interviene non tanto per se stessa quanto appunto per mantenere quella coesione nella UE, che gioca a suo vantaggio.
   Ad esempio, i contrasti tra Eni (e pure Finmeccanica) rispetto ad altri gruppi europei – ed è da qui che nasce il malumore di organismi UE, che si trincerano dietro la possibile dipendenza dell’Europa dal gas russo – entrano in conflitto con la prospettiva di acquiescenza della “Comunità” (e dei suoi organismi) alle strategie americane di contenimento della Russia; anzi, possibilmente, di sua disgregazione e indebolimento. Meglio aiutare un’impresa come la Fiat – appartenente ai settori della passata fase industriale, oggi quindi “maturi” e facenti parte del capitalismo “arretrato” – a mantenere e anzi rafforzare la propria presenza nel quadro politico, più che economico, italiano. L’operazione è sottile, va seguita, ma se ne dovrà parlare a parte perché sono necessarie ipotesi complesse e “aperte”, che richiedono una lunga spiegazione. Qui dico solo che si tratta di rafforzare il blocco economico-politico costituito dalla parte dell’industria e finanza italiane pronta alla collaborazione con la potenza principale, e dalle sue rappresentanze politiche: “sinistra” al completo più il “centro” e buona parte della “destra” (non solo quella detta “finiana”), quel coacervo di forze cioè che è pronto a formare, con l’aiuto morbido e “neutrale” del Presidente della Repubblica, un Governo di “responsabilità nazionale”, privo di qualsiasi progetto che non sia battere Berlusconi, quindi i settori economici più avanzati (già ridotti di importanza con “mani pulite” e mosse successive).
   Il risultato ultimo deve essere l’eliminazione di un disturbo economico, che ha però riflessi politici: ad es. buoni rapporti con Russia e Libia, ecc. Un disturbo non tanto direttamente lesivo degli interessi statunitensi quanto di quelli di gruppi economico-finanziari europei, anch’essi parte di un capitalismo “arretrato” (di vecchie fasi di sviluppo industriale), e che pur essi appoggiano, nei loro paesi, forze politiche quanto meno ambigue nei rapporti con gli Usa. Tutto questo intreccio assai complesso e con molti “passaggi intermedi” (mai diretti, mai limpidi) si risolve alla fine nel peso eccessivo assunto dagli organismi “burocratici” della UE, che sono strumento essenziale del predominio statunitense. E’ esattamente l’intreccio in questione ad abbattersi sul tessuto socio-economico italiano particolarmente debole e sfilacciato.
   In ultima analisi, dietro l’enorme confusione e degrado politico (e culturale), cui assistiamo in Italia (veramente in tutta Europa, ma particolarmente qui da noi), sta la lotta multipolare accesasi negli ultimi anni e la volontà Usa di non mollare la presa su di un’area importante come la nostra “vecchia” Europa. In Italia, questa volontà si esprime attraverso il controllo della nostra politica (economica in specie) da parte degli organismi UE, attraverso le controversie tra paesi europei che si riflettono sul nostro sistema economico, dove i settori dell’industria-finanza più arretrati (i “maturi”, ecc.) cercano di far fuori quelli avanzati, azione questa che, alla fin fine, conviene anche a gruppi economici statunitensi e, ben di più, ad alcuni inglesi, francesi, tedeschi. Tutto ciò si risolve infine nell’indebolimento politico europeo, che è il vero obiettivo cui mirano gli americani allo scopo di mantenere saldo il controllo di una zona strategica nel conflitto con le nuove potenze (Russia in testa).
   3. Questo, detto molto in breve (ma chissà quante volte dovremo riprendere l’argomento), il contesto complessivo in cui siamo “infilati”. Il nostro paese non è certo in grado di svolgere un ruolo politico nazionale e autorevole. Ha però “residuati” dell’industria “pubblica” – la sua rilevanza non dipende dal fatto d’essere &l
dquo;pubblica”, ma dall’appartenenza a settori produttivi avanzati o comunque strategici (tipo l’energetico) – che procurano fastidi in sede internazionale; prima di tutto in Europa e, in modo indiretto (nei suoi riflessi politici), verso gli Usa. Questi settori hanno dovuto esprimersi (o solo allearsi?) con Berlusconi. Costui, per ciò che rappresenta politicamente e culturalmente, è “costituzionalmente” incapace di contrapporsi agli Usa e – nel “sud-est”, zona molto importante vista la collocazione dell’Italia – ad Israele. Non può “tirarsi indietro” del tutto, perché verrebbe distrutto in tutti i sensi (anche economicamente), ma non ha la stoffa, né si è circondato di un gruppo politico adeguato, per andare avanti fino ad accettare uno scontro ormai improcrastinabile; e persino con le più “alte istituzioni”, che stanno totalmente dall’altra parte, pur se con modi felpati (ma fino a quando?).
   Esiste qualche somiglianza con la situazione di Dc-Psi (Craxi, Andreotti, ecc.) nel mondo bipolare. Quei partiti, pure, erano schierati nettamente in senso atlantico, antisovietico, fondamentalmente dalla parte degli Usa. Anche loro rappresentavano settori “pubblici” (e alcuni privati, basti pensare alla nascita e crescita dello stesso imprenditore Berlusconi) e si consentivano, data la situazione italiana, di fare affari non completamente approvati dagli Stati Uniti. Il mondo era però bipolare; lo scontro tra i due poli – e i contrasti esistenti in ognuno d’essi; soprattutto però quelli, molto sotterranei e difficilmente sondabili, interni al polo “socialista”, ormai indebolito, pieno di crepe, di sospetti reciproci, ecc. – spiega molto del sedicente terrorismo di quegli anni. La sua variante italiana fu principalmente opera di comunisti, per i motivi considerati all’inizio, per l’errata rappresentazione che essi si fecero della situazione internazionale e dello stato di salute del comunismo e della sua “Classe” di riferimento. Alla fine arrivarono alla violenza inconsulta, sconfinando nell’omicidio, ma all’origine stava una valutazione strategica sbagliata.
   Oggi, nel multipolarismo, non ci sono più i comunisti, i pochi rimasti non contano nulla. Possono dar corso ad alcuni atti di residua criminalità? E sia, ma non è questo il fenomeno più essenziale e pericoloso. Ancora più balordo, ma più spesso in malafede, è il pensare che certi fatti siano soltanto il portato dell’istillazione dell’odio da parte di uno schieramento politico; in Italia quello di “sinistra”. Certamente c’è chi alimenta l’odio; c’è chi vuol limitare la lotta politica in Italia al solo tema: teniamo o cacciamo Berlusconi? Se però manca ogni barlume di politica, ciò è avvenuto perché ben precisi ambienti internazionali, a partire da quelli statunitensi, hanno puntato solo sul moralismo e giustizialismo, poiché erano inconfessabili i reali motivi per cui si doveva abbattere una politica sgradita. E’ stata largamente utilizzata la magistratura, sono stati formati partiti e movimenti che, di fatto, ad essa si sono appoggiati, hanno contato soltanto sulla sua faziosità e doppiopesismo. Tutto questo è però avvenuto perché era funzionale ad un disegno politico non dichiarabile da parte degli Usa (appoggiati dalla nostra Confindustria e finanza): distruggere ogni pur minimo intralcio rispetto alla propria strategia imperiale, in un primo tempo (caduto il “socialismo”), e rispondere alle necessità della lotta multipolare, successivamente. Questa lotta comporta l’esigenza di favorire sul piano interno italiano – con riflessi in campo europeo – i settori della passata stagione industriale e quelli di una finanza asservita alla statunitense, braccio della strategia complessiva di quel paese nelle varie fasi.
   Non suggerisco minimamente di semplificarsi il compito assegnando ogni atto del nuovo “terrorismo” alla Cia, al Mossad, ecc. E’ però indispensabile tornare al contesto (storico, socio-economico) in cui ciò accade. Non sono all’opera i residui comunisti. Perfino chi è oggetto di questo terrorismo (come Belpietro, ad es.) nasconde, artatamente, qual è il nuovo contesto. Si preferisce spettegolare sull’idiosincrasia tra Fini e Berlusconi. Si preferisce il gossip, lo scandalo morale. L’importante è non far passare a livello della “ggente” il significato – di eliminazione fisica o di semplice intimidazione – di atti che servono sempre gli scopi politici reali perseguiti. Si tratta di spostare i rapporti di forza fino a far precipitare una soluzione che elimini, data la configurazione assunta dagli squilibri mondiali, anche il “granellino di polvere” negli ingranaggi di un più deciso e compatto filo-americanismo, che deve passare per un rafforzamento degli organismi UE contro ogni possibile “particolarismo” nazionale, visto come il Male Assoluto; e combattuto soprattutto dalla “sinistra” mediante il suo aberrante e ignobile “politicamente corretto”.
   Berlusconi, per la sua “costituzione” (politico-culturale), non sembra l’uomo adatto a costruire e guidare un vero gruppo di resistenza nazionale. Era ed è un ripiego, sintomo della debolezza dei settori economico-politici, “potenzialmente” d’avanguardia, “realmente” opportunisti, guardinghi, cedevoli. Comunque, lasciamo perdere le distorsioni che ci propinano e osserviamo la “realtà”. L’esigenza di una resistenza nazionale – come fase transitoria tesa ad eliminare l’attuale configurazione delle forze (sedicenti) politiche, con alle loro spalle industria e finanza “arretrate” e legate ad ambienti extranazionali – appare non più procrastinabile. Il cancro, inoculato in questo paese a partire dagli eventi del ’92-’93, dovrebbe essere operato d’urgenza, asportato con il bisturi da un “Grande Chirurgo”. Non c’è “stato d’eccezione” più evidente di quello sussistente in Italia.
   I giochini parlamentari, cui si sta dedicando a tempo pieno pure il premier, corrompono viepiù il tessuto sociale e danneggiano quello produttivo. Le elezioni possono soltanto essere un mezzo per smascherare tutti i gruppi e personaggi che lavorano alla diffusione del “cancro” al fine di uccidere l’organismo italiano e consegnarlo al lavorio di saprofiti stranieri. Questi gruppi e personaggi si opporranno alle elezioni poiché intendono dar vita ad un’operazione simile a quella del “governo Dini” del 1995-96. Non siamo però più in quel contesto storico-sociale, stiamo andando verso il multipolarismo.
   O l’Italia crepa, cioè cade preda delle forze antinazionali mascherate da “responsabilità nazionale”, aggrappate alla Costituzione sedicente antifascista per creare un regime di aperta sudditanza con annientamento dei settori avanzati; oppure si fa avanti un “Grande Chirurgo” in grado di asportare il “cancro” in modo rapido (e difficilmente indolore). Le forze che ci conducono verso l’abisso non sono poi tanto occulte e sono state elencate in questo scritto. Qualcuno dovrebbe decidersi senza mezze misure a metterle in condizioni di non più nuocere. Berlusconi è una semplice “via di mezzo”, ha rappresentato quella “resistenza” che fu possibile nella sit
uazione storica ormai tramontata, ma che non è più adeguata al nuovo contesto. Essa rischia di far perdere tempo. Così almeno ipotizzo, felice certamente se dovessi sbagliarmi. Per verificare l’ipotesi non passerà comunque un tempo infinito.