SIAMO IN GUERRA DI MOVIMENTO (di Giellegi 19 feb 11)

1. Ben Alì sarebbe morto (in tal caso, primo obiettivo “centrato”), Mubarak sta male. I vermi di “destra”, in perfetta sintonia con i maiali di “centro” e “sinistra”, disquisiscono su come sempre stanno male i dittatori che perdono il potere. E si può essere certi che la “ggente” ci crederà perché non si chiede mai nulla, non si pone interrogativi inquietanti (esattamente come il popolo tedesco quando vedeva ciminiere con fumi neri che si levavano da “certi campi”). Intanto, si accentua la pressione sulla Libia e altri, e non si parli più di coincidenze. Nemmeno si giustifichi una “sinistra” di pieno connubio con gli Usa che critica il Governo perché non appoggia di fatto la rivolta libica. Questo è uno schieramento di traditori che, in occasione diversa, meriterebbe la dovuta punizione. Si tratta, d’altronde, dell’espressione più pura dei manigoldi che i banditi americani muovono nel mondo. Questi ultimi hanno liquidato innanzitutto i regimi apparentemente alleati, ma ormai non più funzionali essendo invisi alla popolazione (quanto meno a certe classi medie per il momento in ascesa). Regimi simili andavano bene fin quando c’era da tenere una posizione, cioè quando gli Usa, monocentrici dopo la caduta dell’Urss e del “socialismo”, sembravano in grado di fare e disfare a piacimento. Preso atto del cambio d’epoca, messo in discussione il loro predominio mondiale, è evidente che la “guerra di posizione” non basta più, si deve passare a quella “di movimento”; questo è stato il significato del passaggio di presidenza da Bush ad Obama.

   Quando la “guerra di movimento” si fa sempre più “mossa”, è assolutamente necessario che le retrovie e anche tutta una “regione di mezzo” siano sotto buon controllo. Gli Usa hanno aspettato (ma anche contribuito ad accelerare) il sommovimento popolare (le classi medie in primo luogo, seguite però anche da chi aveva effettivamente “fame”) nei paesi loro “alleati”, e ormai instabili per la loro arretratezza; indi, si sono inseriti al momento opportuno per spingere a regimi misti civili-militari che diano garanzie di maggior stabilità, nel senso dell’adesione ai valori “occidentali”, cercando di spingere ai margini l’influenza, laggiù sempre presente, dell’islamismo, in specie radicale. Adesso stanno cominciando ad attaccare anche i paesi a loro avversi come la Libia. Il progetto è ampio e procederà con maggiore o minore velocità, ma non in tempi troppo lunghi, che sono inadatti alla “guerra di movimento”, sempre basata sulla sorpresa delle varianti tattico-strategiche attuate incessantemente.

    Guai se non si verificherà presto una reazione adeguata da parte di Russia, Iran, Turchia, che lascino perdere eventuali contenziosi legati ad attriti russo-islamici di un certo tipo. La Cina non darà grande contributo. Ha avuto la sua penetrazione economica in Africa, ma in zone diverse da quelle che saranno attraversate adesso dalla “buriana”. Inoltre, la penetrazione economica non equivale a quella politica e l’alto là americano in Somalia (e anche i loro movimenti nella Costa d’Avorio, ecc.), pur se non sono adesso in grado di valutarli adeguatamente, credo abbiano creato una situazione di stallo e compromesso. Se non si forma una Triplice tra Russia (liberatasi di certe incertezze interne), Iran, Turchia (che ha un esercito poco fidato), la vedo assai male. L’Europa non riesce a liberarsi dei “liberatori”/assassini americani (con i loro pericolosi sicari israeliani).

   La Germania dovrebbe essere il paese chiave, ma non mi sembra abbia forze politiche adeguate. L’Italia, per puri rapporti interpersonali (non d’amicizia, ma di interesse) tra Berlusconi e Putin (tra Eni e Gazprom), ha avuto qualche debole e mai stabile influenza positiva; mentre però i delinquenti del centro-sinistra al completo e quelli di centro-destra egualmente (salvo appunto il premier e pochissimi uomini strettamente a lui legati) hanno portato avanti una politica di continuo danneggiamento delle industrie poste alla base di una nostra possibile autonomia. La “guerra di movimento” statunitense in corso – che dal Nord Africa va al Medio Oriente e cerca di spostarsi sempre più verso est (volendo investire anche Iran e Turchia, in modi diversi, più o meno duri o morbidi – cambia i dati pure in Europa. Si moltiplicano i segni di cedimento sul fronte italiano.

   Voler inviare Draghi – uomo del “Panfilo Britannia”, vicepresidente della Goldman, messo alla Banca d’Italia dopo la sconfitta della finanza vaticana da parte di quella americana, grazie certo ad ingenuità e arroganza di Fazio – alla BCE, su consiglio dell’apparente avversario Tremonti (filo-americano dell’Aspen Institute, e forse uomo del compromesso tra Usa e Vaticano) è un segno preciso di arretramento. Altri ne abbiamo segnalati: i nuovi atteggiamenti pro-premier di personaggi ultra-americani come Ferrara e Guzzanti. Potremmo aggiungervi la rottura tra Fiat e la russa Sommers, cui si accompagnano le difficoltà della casa di Torino-Detroit con l’indiana Tata e la Guang-zhou cinese. Starei però attento in tal caso a non trarre conclusioni affrettate e superficiali, perché difficoltà economiche e politiche aderiscono imperfettamente le une alle altre.

   In ogni caso, per il momento (ma sono passate due settimane al massimo) non si vedono da nessuna parte segni di comprensione della nuova tattica di movimento americana. Ci sono perfino dei cretini, o imbroglioni, che fingono di leggervi il crollo dei regimi amici degli Usa; o sono farabutti o non capiscono le differenti esigenze tra “guerra di posizione” e quella di “movimento”. Se in paesi alleati (com’erano Tunisia ed Egitto e altri) si sono andati accumulando all’interno – dopo decenni di regime e anche di sviluppo che ha comunque cambiato un po’ la struttura sociale, creando classi medie non più marginali – motivi di tensioni pericolose e di possibile accensione, meglio dar fuoco alle polveri e tentare di ottenere una “modernizzazione” tramite la sedicente “democrazia”, quella delle lobbies, gruppi di pressione, “massonerie” (in senso lato), ecc. che sono tipiche di classi alte ma anche medie. Questo è il migliore, o meno peggiore, tentativo di stabilizzazione di paesi “alleati” (ma ormai indebolitisi all’interno) in vista dell’attacco da portare poi a quei paesi che più sono sfuggiti al controllo statunitense, che anzi lavorano contro di esso. Se non si capisce questo, si vada a casa e ci si chiuda in cesso.

   2. Ora, in questa nuova situazione, gli Usa hanno anche accentuato la pressione sull’Italia. L’Amministrazione statunitense della tattica della tigre, attuata perché si pensava di dominare ormai il mondo, premeva su Berlusconi ma senza calcare troppo la mano, visto che costui garantiva appoggio alle imprese belliche americane; e poi non faceva grandi sgarbi, salvo qualche affare per le industrie tipo Eni e Finmeccanica e poi miriadi di piccolo-medie imprese di nessun pregio strategico. Adesso però la musica cambia; anche
perché certe spinte multipolari potrebbero arrivare in altri paesi europei, in particolare in Germania. Uccidere anche i pochi batteri di una debole “malattia autonomistica” diventa essenziale per spegnere ogni possibile infezione e impedirle di allargarsi. Berlusconi, attorniato da pochi uomini, ha attuato una politica estera positiva quasi per caso, per motivi più personali che altro, non mai interessandosi però all’adeguata sistemazione dei vari apparati di Stato addetti a controllare “sfere di influenza” (Servizi di intelligence in primo luogo). Se avesse così agito, avrebbe rischiato la fine di Mattei; tuttavia, disinteressandosi di un problema così cruciale per qualsiasi uomo di potere, non può opporre ovviamente alcuna resistenza.

    Del resto, quest’ultima spettava alle imprese salvatesi all’epoca dell’annientamento – mediato dal colpo di Stato “mani pulite” – del vecchio regime politico e di quello “pubblico” esteso ad un rilevante complesso industriale e finanziario. Sembra evidente che troppe sono state comunque le quinte colonne anche dentro l’industria “pubblica” sottrattasi alle grinfie dei Draghi, Amato, Ciampi, Prodi, Padoa Schioppa, ecc.; cioè, in realtà, alle mire della Confindustria agnelliana che la pretendeva come suo appannaggio dagli americani per aver appoggiato il colpo di Stato a favore di una netta subordinazione italiana agli Usa in vista di un loro più completo predominio mondiale, cui si prestò anche un Eltsin; e vi si oppose la sola Cina.

    Abbiamo detto più volte che Berlusca, per interessi suoi, si saldò con questi settori di management “pubblico” resistente alle pressioni congiunte confindustriali e americane, ma sempre con molta timidezza e cautela, con tanti altri favori fatti agli Stati Uniti, anche in merito alle loro imprese belliche. Comunque, finché è durata per tale paese l’illusione del monocentrismo, si ristagnò in una “guerra di posizione” e la situazione restò in bilico per quasi un ventennio. Oggi, almeno così sembra a prima vista, l’equilibrio si è rotto, si passa al movimento, tutto si accelera. Berlusconi (ma anche i settori del management “pubblico” in questione) paiono nel pallone. Il premier ha indubbiamente cambiato marcia; se non tenterà qualche altra furbizia – perché certo a questo punto scontenta i russi e la sua posizione comunque si indebolisce oggettivamente – dovrebbe in definitiva salvarsi per l’essenziale (non solo Ferrara, non solo Guzzanti, ma anche altri parlamentari, non certo in vena di “idealità”, corrono in suo aiuto; e la si smetta con il semplicismo della corruzione, sentono che l’aria è cambiata, che il “padrone” Usa sta ottenendo il suo successo su Berlusconi e tiene conto della funzione italiana in vista delle operazioni nel Nord Africa).

    Gli Usa hanno del resto capito che l’ammucchiata di rinnegati è al di sotto di ogni credibilità, Fini ha di fatto liquidato se stesso con un cupio dissolvi di rara intensità. Resta Napolitano, ex piciista di lungo corso, ma ci vuol ben altro. Meglio per loro – lo ripeto: se a Berlusconi non viene in testa di tenere i piedi in due staffe o anche in una staffa e mezza – tenersi l’“omino di Arcore”. Comunque, questi ha certo perso un bel mucchietto di penne. A “est” ormai lo guarderanno con diffidenza. La Gazprom (lungimirante a restare sempre in possesso del 50% azionario nel Southstream) non è felicissima di Scaroni – che se ne va a Wasghington a farsi interrogare in merito ai progetti Eni, che fa dichiarazioni possibiliste sul Nabucco, per la verità contraddetto poco tempo fa da un ben più duro, almeno apparentemente, Ministro Romani; questo fatto sembra in controtendenza, ma stiamo cauti – e tuttavia si dice che costui verrà riconfermato.

   Se mi si permette una previsione, però stando ai dati attuali che possono cambiare, Berlusconi non verrà fatto fuori da ammucchiate di rinnegati e magistrati felloni e ormai fuori di testa, con le bave alla bocca, gente che dovrebbe comunque subire finalmente una lezione epocale. Il premier resterà di fatto dimezzato, poi con calma lascerà il campo a gente a lui vicina che comunque, già fin d’ora, garantisce la migliore copertura per la “guerra di movimento” portata avanti dalla tattica del serpente obamiana. Inutile raccontarsi balle. L’unica contromossa efficace, che esige una Russia non divisa tra Putin e Medvedev e l’abbandono di contenziosi russo-islamici (e anche altre “cosette”), è la costituzione di una Triplice Alleanza: Russia-Iran-Turchia. Sarebbe forse un polo di attrazione per alcuni paesi (oltre a quelli mediorientali e centrasiatici, ecc.) della nostra povera Europa, in asfissia per la presenza della UE e della BCE (se poi ci va Draghi, “siamo del gatto”). Per il momento, si dia per perso Berlusconi. Non regge proprio; la sua funzione è arrivata comunque alla fine (non certo per opera di magistrati eversori e sinistri traditori); non ancora invece la sua posizione di premier, che avrà d’ora in poi significato diverso, da leggere di volta in volta.