TOGHE LUCANE: EVITIAMO DI FARE GLI INGENUI di G.P.

 L’affaire Toghe Lucane è stato archiviato e questo non perché a De Magistris sia stato impedito di fare il suo lavoro ma in quanto la direzione delle sue inchieste era probabilmente mal centrata e persino completamente sbagliata. Questo non lo dico io ma un’ex collega del giudice napoletano, Clementina Forleo, lei sì perseguitata dal CSM, trasferita come un pacco postale dalla sede di Milano a quella di Cremona e umiliata per essersi permessa di indagare sui rapporti, nell’era dei furbetti del quartierino, tra i vertici dei Ds e l’Unipol di Giovanni Consorte. Forse qualcuno ricorderà ancora le intercettazioni di Piero Fassino (detto Frassino) che chiedeva gioiosamente, con il manager abruzzese all’altro capo del telefono, “finalmente abbiamo una banca?” o quelle del compagno Spezzaferro (al secolo Massimo D’Alema), il nostro sopravalutato statista skipper che col medesimo Ad della compagnia assicurativa di via Stalingrado scandiva, quasi fosse allo stadio, “Dai, facci sognare”. Ma la Forleo, donna con gli attributi che invece difettano a De Magistris repentinamente accucciatosi sotto l’ala protettrice di Di Pietro per evitare ulteriori problemi, non era amata nemmeno a destra per via di un’altra sentenza con la quale aveva assolto alcuni resistenti iracheni arrestati in Italia con l’accusa di terrorismo. Per il GIP di Francavilla Fontana, che si attirò gli strali dei guerrafondai e baciapile di casa nostra, si trattava di guerriglieri i quali lottavano legittimamente per la liberazione del proprio paese da una invasione preparata con menzogne sesquipedali dalla Cia ed appoggiata da quell’esempio di rettitudine umanitaria all’incontrario chiamata Comunità Internazionale. La Forleo, invisa a ritta e a manca, l’ha pagata cara, qualcuno ha anche tentato di ucciderla buttandola fuori strada con la sua auto ed incendiandole la villa di famiglia in Puglia. Questo a De Magistris, subito riciclatosi in politica in uno dei partiti più rozzi e forcaioli che ci sono sul proscenio parlamentare italiano, non è toccato, fortunatamente per lui; ma non mi si venga a raccontare, come fa il Fatto di Travaglio o l'associazione Libera che quest’uomo è stato un ottimo magistrato. Valutiamo i fatti e quest’ultimi ci dicono che costui ha collezionato tanti flop quanto sono state le sue indagini. Teniamoci l’indignazione per cose più serie perché in quest’epoca ne avremo tanto bisogno. Dicevo, dunque, che proprio la Forleo ha rivolto a De Magistris alcune domande che non troveranno mai risposta perché costui è avvoltolato nel suo senso di appartenenza ideologica ed identitaria come qualsiasi altro uomo mortale su questa terra. Queste caratteristiche partigiane al giudice campano non sono spuntate all’improvviso quando ha depositato la toga nell’armadietto della Procura per darsi a più redditizia carriera, ma sono state coltivate costantemente anche quando svolgeva il presunto ruolo di arbitro imparziale della giustizia. In ragione di ciò il più sfortunato collega brindisino ha chiesto all’attuale europarlamentare dell’IDV: “Non crede, onorevole De Magistris (la chiamo, con amarezza, in tal modo visti i suoi ripetuti silenzi pubblici e privati alle mie richieste) che la sua figura sia oggi “appannata” non tanto dall’esito delle sue inchieste, ma da compromessi e doppiopesismi che ormai stanno contrassegnando anche il suo modo di fare politica e quello di persone a lei vicine?” Non crede che forse anche magistrati definiti “integerrimi” dal suo compagno di partito Antonio Di Pietro e dei quali lo stesso – come lei – conosce vita e “miracoli”, avrebbero dovuto essere denudati nelle loro malefatte e non salvati per amor di compromesso? La circostanza che quanto emerso dalle sue indagini anche sul conto di costoro non sia mai stato portato a conoscenza dei cittadini tutti (che come lei ben dice hanno diritto di sapere) non crede che non possa essere giustificata da nulla, dico nulla? Troppe persone ormai “sanno” e anche il suo consulente prima o poi dovrà dar conto di quanto riferitomi il 9 ottobre 2009 nonché della telefonata che verso le ore 10.00 di quel giorno ebbe a fare dal suo cellulare a qualcuno che gli aveva consigliato di “tagliare” dalla sua opera in fase di pubblicazione il capitolo che trattava di tale insigne personaggio – noto per accompagnarsi con mogli di bancarottieri salvati da sicure condanne da casuali (per carità!) errori di suoi compagni di corrente rimasti impuniti – e delle sue pressioni volte a “rovinarmi”. Non ci vuole una laurea in attività divinatorie per capire a cosa si riferisce la Forleo in questa invettiva, ed anche io me ne starò ben zitto per evitare inutili querele. Intelligenti pauca, dicevano i latini. Ma più di tutto mi preme chiarire un aspetto determinante di tutta questa grottesca faccenda. L’accaloramento dei rappresentanti di Libera è il sintomo di una brutta epidemia che sta decimando la capacità critica degli italiani; esso denota lapalissianamente che dopo Tangentopoli l’Italia si è persa per strada e non si è più ritrovata. Oramai il popolo nostrano è affetto da un virus micidiale che distrugge le coscienze ed ottunde le menti. Questo germe maligno non è il berlusconismo, né la mafiosità, non è la società dello spettacolo e nemmeno la corruzione. Quelli che ho elencato sono esiti di “cause eziologiche” che i donchisciotte puri di animo ma scarsi in politica non potranno mai comprendere. Questo bacillo funesto è l’idea sciocca ed irrazionale che nel Belpaese i giudici possano salvarci dal male e liberarci dalle puttane di stato, dai servi di partito, dai malavitosi e dai capibastone di tutte e tre le categorie citate. Questa patologia che chiamerò magistraturite giustizialistica acuta è il vero cancro che sta divorando la nazione. Mani Pulite ci ha fuso il cervello ed ha instillato nella maggior parte di noi il pensiero bacato che solo per via giudiziaria è possibile una sollevazione politica in questo pauvre pays. Ed, invece, è l’esatto contrario. Le Procure hanno fatto la loro rivoluzione nei primi anni ’90 terremotando un’intera classe dirigente (la quale pure aveva le sue responsabilità e non lo nego) ma certamente non per spirito di servizio o senso del dovere. Non mi si narri la favoletta civica e cinica di costoro che si sono accorti, solo in quella precisa fase storica, del marciume che ci circondava da decenni. Chi lo sostiene è uno spergiuro ed un mentitore professionale che meriterebbe uguale gogna e disdoro dei vari Forlani, Craxi ed Andreotti. Dalla nascita della Repubblica fino alla sua fragorosa caduta all’inizio degli anni ’90 siamo stati il Paese in cui i reati per stragi, terrorismo, collusioni con la criminalità e altre schifezze sono restati sempre impuniti. Tutto ciò accadeva perché esisteva un patto di ferro tra apparati dello Stato, condiviso da ogni braccio del potere, giustizia inclusa. C’erano in ballo superiori motivazioni di ordine geopolitico e nessuno si sognava di metterle in discussione. Poi “inaspettatamente” per i distratti e gli ignoranti in attualità siffatto pactum sceleris si è rotto perché è cambiato il clima internazionale, il Muro è venuto giù come il burro mentre la cortina di
ferro si è disfatta come una palizzata marcita. Qualche manina straniera decise che era giunto il momento di chiudere un ciclo, di sbarazzarsi dei vecchi governanti democristiani e socialisti e di aprire il campo a nuove alleanze con altri settori politici prima tenuti ai margini (la gioiosa macchina da guerra dei rinnegati del piccì) facendosi sostenere da alcuni spezzoni dello Stato come appunto la magistratura. Certuni eroi di allora, osannati dalla sinistra e dall’estrema destra, si erano però resi in passato protagonisti di sentenze vergognose come quella sul caso Pinelli. Quello che diventerà uno dei più illustri rappresentanti del pool di Mani Pulite, Gherardo D’Ambrosio, nel 1975 aveva concluso l'inchiesta sulla morte dell’anarchico milanese, precipitato dalla finestra della questura meneghina dove era stato trattenuto con l’accusa di essere il bombarolo di Piazza Fontana, escludendo l’ipotesi dell’omicidio e parlando di malore attivo del malcapitato, il quale, appunto, sentendosi venir meno avrebbe avuto la forza di lanciarsi dal quarto piano. Roba da piangere. E poi il grande persecutore dei delinquenti Antonio Di Pietro il quale faceva la spola tra Bergamo, Washington e alcune località esotiche per raccogliere informazioni e prendere consigli dall’amministrazione Usa, non come un Pm qualsiasi, ma al pari di uno sbirro o peggio ancora di uno 007 senza alcun titolo per farlo. La foto scattata durante una cena con Bruno Contrada e una barba finta statunitense, pochi giorni prima dell’arresto dello stesso funzionario del SISDE, la dice lunga sulle sue ottime frequentazioni di uomo delle istituzioni integerrimo e senza macchia. Il politico molisano ha respinto le accuse e noi gli crediamo ma qualche sospetto ci resta visto che lui medesimo ha anticipato tutti sostenendo che “si vuol fare credere, attraverso un dossier di 12 foto mie con Mori, Contrada e funzionari dei servizi segreti, che io sia o sia stato al soldo dei servizi segreti deviati e della Cia per abbattere la Prima Repubblica perché così volevano gli americani e la mafia”. Non sarà proprio così ma egli, gran paladino della moralità, che ci faceva con quei loschi figuri? Infine, un ultimo consiglio. Il potere avrà sempre due facce come la luna, quella in chiaro che è possibile osservare quotidianamente in Tv, sui giornali, in parlamento, per le strade e le piazze e quella scura, invisibile, inconoscibile se non per intuizione e sospetto dietrologico. Sul lato illuminato vedremo passeggiare personaggi un po’ buffi, barzellettieri, dilettanti allo sbaraglio e anche qualche persona competente e a modo (poche come sempre). Su quello tenebroso non vedremo mai nessuno, al più percepiremo i soffi spettrali di presenze che ci sono ma non si avvistano, di impronunciabili ai quali difficilmente sapremo mai dare un nome o una fisionomia. Tuttavia, è da ingenui pensare che un risvolto possa esistere senza l’altro o che possano esserci magistrati con la forza e la volontà di svelare le trame della "selva oscura". Costoro non lo faranno mai sia perché sono parte integrante degli apparati coercitivi che permettono allo Stato di esistere, sia perché quest’ultimo sarà sempre più forte dei singoli individui. E meno male aggiungerei, altrimenti il primo che capita finirebbe per mandare all’aria quell’organo corazzato di coazione che volente o nolente ci protegge e ci consente di continuare ad esistere su questo pianeta affollato di leviatani e di balene pronti a far razzia dei popoli deboli. Ovviamente, non sto giustificando la violenza/potenza di Stato, dico solo che questa è necessaria nel contesto storico in cui esistiamo, e mi fa ridere chi crede, dall’alto della sua generosità emotiva e delle belle parole moralistiche, che lo Stato sia meramente un contemperatore degli interessi collettivi o uno strumento egualitario per la redistribuzione delle risorse sociali. Quindi, per concludere, anche io vorrei chiedere conto di qualcosa. Io chiedo conto di tanta ingenuità che è similmente deleteria, se non peggiore, della furbizia con la quale i potenti ci tengono da secoli per i coglioni. E’ la politica la vera chiave di volta per qualsiasi cambiamento, e non l’azione nelle aule di tribunale. Anche se l’inchiesta toghe lucane si è chiusa con un nulla di fatto non mi deprimo perché non mi sono mai esaltato per il folklore togato. In Basilicata, come un po’ dappertutto, ci sono cose che non vanno, persone che dissimulano bonarietà che non hanno, politici che ci  stringono la mano destra per fotterci con la sinistra, giudici con lo sguardo lungo sulla professione e la vista corta sulla legalità, massonerie che ritualizzano e ritualizzando complottano alle nostre spalle ecc. ecc. L’unico modo per reagire o per modificare la situazione è l’attenzione critica e la lotta politica, altre scorciatoie non sono possibili né realistiche. Chi non ha capito perché innamorato dei miti civili e degli eroi umani può anche evitare di lamentarsi e sdegnarsi a capocchia.