TRA EST E OVEST di G.P.

 

Prima di fare qualche riflessione sulle “scaramucce” geopolitiche tra Usa e Russia, vorrei dire qualche parola sull’arresto del leader serbo bosniaco Karazdzic, poiché i media occidentali hanno già scritto la sentenza che il Tribunale Internazionale (AJA) ratificherà nei mesi a venire, dopo che il governo filo-occidentale serbo avrà aderito al piano europeo-americano “criminali in cambio dell’ingresso in Europa”.

Non è da escludere che Karazdzic possa fare la fine di Milosevic, alla cui morte naturale è difficile credere. Milosevic fu dipinto come un nuovo Hitler e gettato dai media in pasto ad una pubblica opinione ampiamente ammaestrata, al solo fine di spianare la strada ai bombardamenti americani, complice il governo italiano del fidato amico degli Usa Massimo D’Alema.

La tecnica di coprire di discredito il leader di un paese non allineato, attivando i meccanismi infami dell’ideologia dei diritti civili violati, è nota a tutti. Il pubblico è molto sensibile a questi argomenti,  basta mostrare reiteratamente sui giornali o in televisione brandelli di abiti frammischiati a resti umani o la terra rimossa di qualche fossa comune (anche se scavata all’abbisogna come insegnano i fatti di Timisoara) per convincerlo che l’intervento umanitario è giustificato .

Non voglio entrare nemmeno nel merito dei presunti crimini di guerra (ove essi fossero realmente tali, ma data la fonte di tanto sdegno, anche in questo caso, il dubbio è più che lecito) commessi da Karazdzic – le televisioni di tutto il mondo hanno mandato, in questi ultimi giorni, le immagini di cimiteri sconfinati, con lapidi bianche (quanto mute), per accrescere il disprezzo dell’opinione pubblica nei confronti di costui – ma è sempre meglio specificare che i fatti contestati si sono svolti durante una guerra fratricida, le cui responsabilità attraversano l’oceano e s’incontrano con la sempiterna supinità dell’Europa, la quale non mosse nemmeno un dito onde evitare che le “sponde” iugoslave si separassero.

Definire e chiarire, appunto, il contesto che concatena i singoli episodi non è un elemento per decolpevolizzare gli attori materiali e i capi di quel conflitto (in guerra nessuno è mai innocente), tuttavia, le responsabilità vanno soppesate sulla bilancia della storia. Karazdzic non è oggi sul banco degli imputati perché colpevole di genocidio (sebbene questa sia la versione accreditata), il leader serbo-bosniaco è messo alla sbarra poiché recalcitrante all’ordine democratico-occidentale che ha il potere di stabilire chi ha ragione e chi ha torto, chi sono i buoni e chi i cattivi, cosa è giusto e cosa è sbagliato, sulla base dell’unico elemento che ha davvero valore in questa fase storica, l’accettazione dell’ordine democratico-occidentale.

E se si analizzassero con cura i fattori che fecero precipitare la situazione nella ex-Yugoslavia, tanto che persino la semantica fu scossa dalla guerra esitando il termine atroce, quanto esplicativo, di “balcanizzazione”, oggi, di fronte al Tribunale severo e altero della Storia (e non dinanzi a quello farsesco dell’AJA), dovrebbero esserci seduti interi governi e Paesi che sfruttarono fazioni ed etnie per raggiungere i loro scopi di dominio dell’area balcanica.

Diversamente, non si capirebbero i verdetti di assoluzione pronunciati, sempre dall’AJA, per criminali come Oric o per gli attuali leader kosovari (vedi Thaci), benché la stessa Carla Del Ponte, già procuratore del Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Yugoslavia, abbia rivelato le atrocità commesse da questi uomini contro la minoranza serba, con tanto di traffico internazionale di organi.

 

Detto ciò, io nutro pochi dubbi sugli organi internazionali che si ergono a difensori della legalità planetaria, distribuendo patenti di dittatori e di criminali ai nemici. Svelato il  gioco dei due pesi e delle due misure qualsiasi persona di buon senso (che almeno non si sia fatta mandare il cervello all’ammasso dal circuito mediatico occidentale) saprà valutare quello che stiamo dicendo.

 

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Ma passiamo ai movimenti geopolitici già messi in evidenza da La Grassa nel suo pezzo di ieri “Come volevasi dimostrare”. Gli Stati Uniti e la Russia si stanno lanciando chiari segnali di sfida a causa dell’azione statunitense sui paesi che costituiscono la cintura protettiva del gigante russo sul versante occidentale. Gli accordi bilaterali con la Repubblica Ceca e la Polonia, per l’installazione dello scudo antimissile, rendono più concrete le minacce di ritorsione di Mosca, che con piccole mosse sta dimostrando di voler puntellare la sua zona d’influenza.

Gli Usa, hanno avviato una serie di manovre provocatorie nei confronti di Mosca, da ultima l’esercitazione nel Mar Nero chiamata “Sea Breeze”, iniziata il 15 luglio. Come scritto sul Manifesto da Dinucci si tratta di un’operazione ben congegnata che, nello spirito delle iniziative statunitensi, dovrebbe servire a preparare e a far accettare agli altri partner internazionali l’ingresso dell’Ucraina nella Nato. Benché all’esercitazione stiano partecipando (è ancora in corso e si concluderà domani, 26 luglio) altri paesi dell’est (Georgia, Azerbaigian, Romania, Lituania) lo scopo principale è quello di aiutare Yushchenko a convincere l’opinione pubblica ukraina ad accettare l’abbraccio della Nato. Da par suo, il governo russo non si è fatto intimidire ed ha paventato la possibilità di inviare i bombardieri nucleari a Cuba, usando gli aeroporti dell’isola caraibica come punto d’appoggio. Come si intuisce, quella russa è solo una risposta immediata (e forse poco credibile) all’arroganza statunitense che tenta di coprire i propri piani di accerchiamento di Mosca, con operazioni di finta preservazione della pace e con il pretesto di un possibile attacco nucleare iraniano. Ma gli americani non tollerano concorrenti sullo scacchiere geopolitico e alle risposte del governo russo hanno reagito con la solita superbia. Il generale Usa Norton Schwartz fa sapere che se le intenzioni russe dovessero concretarsi il suo governo avrà tutto il diritto di passare a ben altre misure. Ed è, infatti, cosa intollerabile che una potenza straniera possa affacciarsi minacciosamente sui confini di un altro Stato, magari facendo stazionare i propri bombardieri Tu-95 e Tu-160 a 150 km dalla sua costa. Ma è ancora più intollerabile se i confini sotto pressione sono quelli della potenza attualmente dominante che si vede arrivare il nemico in casa. Peccato che il capo di stato maggiore dell’aviazione militare statunitense sia così smemorato da non vedere quello che il suo governo sta realizzando nei paesi ex-comunisti, dove, oltre a dislocare basi militari, si cimenta nella creazione di varie tipologie di associazioni per la democrazia e per i diritti umani, al solo fine di meglio avvelenare quelle popolazioni con il virus della democrazia occidentalocentrica.

La lieta notizia è che anche il presidente Medvedev, così come Putin, non si sta facendo atterrire dagli Usa e non sta cedendo ai ricatti statunitensi sullo scudo antimissile. Seppur molto più diplomatico dell’ex agente del KGB, l’avvocato di San Pietroburgo, si rivela uomo con le idee chiare sulla strategia di potenza da far percorrere al suo paese, riuscendo anche calcare con perizia gli scenari geopolitici mondiali (vedi i recenti accordi con Chavez) disseminati di trappole Made in Usa.