UN MONDO DI MARIONETTE (di Giellegi, 28 MARZO ’12)

 

1. E’ il titolo di un film di Bergman, la cui trama per nulla assomiglia a quanto sta accadendo oggi in questo povero paese. Tuttavia, questo è il più gentile nome con cui appellare i finti tecnici che stanno ai vertici del nostro Stato, assieme a coloro che si credono classe dirigente (industrial-finanziaria) e ai giornalisti loro servi, salvo alcuni encomiabili casi rari quanto le mosche bianche. Degli intellettuali preferisco non parlare; avverto solo che non consento a nessuno di considerarmi appartenente ad un simile verminaio.

Dopo vent’anni di totale assenza della politica – in cui si è inventata la storiella del passaggio alla “seconda Repubblica” mentre si è solo entrati a tempo pieno in una palude maleodorante – i dementi del “popolo di sinistra” (il “ceto medio semicolto”, di cui gli insegnanti e dati settori di impiegati pubblici sono lo “zoccolo duro”) sono tutti felici perché si sono liberati di Berlusconi. Questo è ciò che raccontano loro personaggi innominabili che passano per abili dirigenti del Pd, del Sel, dell’Idv e altra genia varia. Non sono riusciti a servire adeguatamente i loro padroni d’oltreatlantico (malgrado le arie che si davano all’epoca in cui sbavavano dietro a Clinton durante l’aggressione alla Jugoslavia), hanno anzi fallito su tutta la linea, riuscendo solo a sussurrare “bye bye Condy” come (si dice) fece uno scioccone pieno di svenevolezze con la Rice.

Adesso, avendo preso una paura di quelle sode, il Cavaliere, dopo le assicurazioni del “non cadi o, se cadi, caschi in piedi”, ha tolto il disturbo in piena complicità con Napolitano, per quanto si sia mascherato dietro finti malumori, eseguendo invece i “consigli” (quelli che “non si possono rifiutare”) del suo assicuratore, il “bell’abbronzato”. Non se ne è potuto andare finché non si è risolto il nodo libico. Gheddafi non ha voluto sgombrare il campo (non aveva avuto la stessa garanzia di “cadere in piedi”), ed è stato quindi aggredito e assassinato; per quanto i sicari di “prima mano” siano stati Sarkozy e Cameron, era necessario che vi fosse anche il tradimento del Berlusca e la partecipazione dell’Italia alle operazioni Nato (“gli alleati che non si potevano non seguire” secondo l’ammonimento di Napolitano, accettato “a malincuore” dal grande ipocrita). Come rivelato del resto dalla nostra Aeronautica, il numero di missioni eseguite in Libia è secondo solo a quello del periodo 1940-43 (in tutto il teatro di guerra, ovviamente), superiore quindi a quello dei bombardamenti sulla Jugoslavia, per cui D’Alema ricevette l’aperto apprezzamento del Gen. Wesley Clark, il comandante di quella infame operazione.

Una volta risolta almeno la “prima tornata” delle “rivoluzioni arabe” (inneggiate dai coglioni o peggio dell’“antimperialismo”), per il cui perfezionamento è stato necessario eliminare Gheddafi, era bene mettere un punto fermo alla situazione italiana, non certo irrilevante per il più vasto ambito europeo. Ovviamente, questo comportamento statunitense dipende dall’ormai noto mutamento di strategia (non ancora portato a termine perché credo vi siano opposizioni interne, la cui rilevanza appureremo meglio dopo la rielezione di Obama) che, dalla centralità “asiatica” con ramificazioni in Medio Oriente e con l’attacco frontale all’islamismo (propagandato quale causa del mitico “terrorismo” di Al Qaeda), ha teso a spostarsi verso l’Europa e la Russia. Il Medio Oriente resta importante, ma s’insegue pure l’obiettivo di rinnovare (gattopardescamente) certi regimi arabi invisi a settori musulmani (per dividere i moderati dai radicali, diciamo così molto all’ingrosso), il che spiega l’accanimento contro Ben Alì, Mubarak e, in modo criminale, Gheddafi; e anche una sorda conflittualità con Israele, senza troppo esagerare per non indebolirlo. Una volta rieletto Putin, le ulteriori manovre contro la Siria, e la pressione da mantenere sull’Iran, hanno subito un rallentamento, ma non sono state affatto abbandonate.

Comunque, una delle pedine del puzzle è appunto l’Italia. Come contorno possono sussistere Grecia e altri paesi (i Pigs). Tuttavia, per l’Italia si vorrebbe un destino non troppo “infelice”, perché non è proprio un paese da nulla come solitamente lo considerano i suoi abitanti. L’Inghilterra a nord è da lungo tempo quasi assimilabile alla 51° stelletta della bandiera dell’Unione. Tenuto conto della rilevanza africana e mediorientale, tenuto conto che si tratta di stabilizzare l’Europa – da affidarsi senza più esitazioni alle grinfie degli organismi UE, onde non vi sia alcun slittamento “eccessivo” verso la Russia – l’importanza dell’Italia a sud appare evidente.

Ormai da troppo tempo la sedicente politica, nel nostro paese, è soltanto una continua lite tra schieramenti di totale incapacità, senza alcuna storia alle spalle, senza visione strategica minimale, solo intenzionati a prendere il sopravvento l’uno sull’altro per protrarre la loro irrimediabile agonia. La corruzione di cui tutti si accusano reciprocamente – e adesso, liberatisi dell’ingombro Berlusconi, i settori filo-atlantici più viscerali concedono qualche soddisfazione anche alla “destra” con i corrotti di “sinistra” (che finora però mai si sono incastrati realmente) – non è affatto abnorme come si vuol far credere. Semplicemente, non essendoci scontro politico per assoluta mancanza di progetti e di valori (questa è in realtà l’ideologia della “fine delle ideologie”), è ovvio che non resti altro che infangarsi reciprocamente per “via etica”. Quel che conta per i cialtroni, occupanti la scena politica da un ventennio, è che, da una parte, restino sempre “in agguato” i comunisti, i “criminali” del XX secolo; e, dall’altra, vi sia il più grande bandito, corrotto e mascalzone essere umano vivente (anzi di tutti i tempi passati e a venire), che sarebbe Berlusconi. Questa vergogna, questa totale abdicazione al funzionamento del cervello, è durata un tempo incredibilmente lungo.

Se la nuova strategia americana deve puntare con maggiore energia al controllo dell’Europa, e ad impedire ogni possibile risorgenza di qualche velleità tedesca di “potenza” – che mai potrà essere soddisfatta se non con la ripresa dell’ostpolitik – deve essere almeno compiuto un tentativo di ovviare alla meschinità italiana della zuffa tra balordi che ha preso il posto della lotta politica. Certamente, il controllo Nato (cioè americano) sulle basi militari installate nel nostro territorio è ben saldo. Tuttavia, è necessario che s’instauri anche una parvenza di politica; sia pure di piena subordinazione alla potenza dominante. La presenza militare non deve essere vissuta come un’autentica occupazione. I paesi subordinati tipo Italia vanno muniti di governo proprio, che garantisca un’obbedienza sicura, ma non continuamente soggetta a basse liti tra guitti che giochicchiano a fare i politici, provocando scoordinamenti e pericoli di subbugli interni. Il nostro popolo dovrebbe sentire “con il cuore” l’“orgoglio” d’essere in posizione servile privilegiata, assegnatagli dal paese predominante.

Da simili intenzioni è nato il governo dei tecnici (o dei professori), che viene fatto passare per non politico, nel senso di “superiore” alla povertà della politica. In effetti la politica, come si è detto, è in Italia assente da vent’anni; e non sussiste per nulla la sempre dichiarata opposizione tra destra e sinistra, cui sono personalmente contrario ma che ha in ogni caso una sua lunga tradizione storica. Abbiamo spiegato in questo blog, in lungo e in largo, com’è nata la contrapposizione, puramente nominale, tra una destra e una sinistra tramite lo smantellamento del vecchio regime, non autonomo e tuttavia effettivamente politico; smantellamento attuato, su input d’oltreatlantico, tramite l’ignobile operazione di finta giustizia detta “mani pulite”. Anzi, sulla sporcizia di tali “mani” il sottoscritto (assieme a Preve) aveva già affermato l’essenziale nel gennaio 1995 (“Il Teatro dell’assurdo”). Il blog ha spiegato ulteriori retroscena e soprattutto le operazioni di svendita e dunque indebolimento dei settori strategici di carattere “pubblico”.

Abbiamo chiarito come sia stato lo schieramento impropriamente denominato “sinistra” – con personale politico costituito da rinnegati di tutte le risme, personaggi intrisi dei miasmi del falso comunismo e del falso cattolicesimo, con seguaci nei ceti parassitari nati dal “compromesso storico”, dalla “concertazione”, da tutte le mostruosità commesse nella “prima Repubblica” – a condurre in porto l’operazione di pieno asservimento italiano agli Usa. Il disegno è stato ostacolato da alcuni settori trinceratisi dietro Berlusconi, settori che hanno certamente ottenuto di bloccare una parte del disegno, ma con un’operazione la cui debolezza non è mai stata sanata ed è quindi arrivata alla sua logica conclusione con il tradimento del “quaquaraqua”, che era stato inizialmente prescelto per ragioni oggettive e probabilmente imprescindibili. Del resto, i vent’anni passati a litigare senza la benché minima affermazione di un progetto politico purchessia sono la migliore dimostrazione che il paese è sopravvissuto nel bel mezzo di un processo di macerazione e imputridimento, di cui si dovrà in qualche modo pagare lo scotto.

Mutata la strategia americana, caduta definitivamente l’illusione di un autentico monocentrismo statunitense – nutrita per fin troppo tempo dopo lo sgretolamento dell’assetto geopolitico bipolare e il miserando sbocco dell’altrettanto illusoria contrapposizione tra primo e terzo mondo, da cui sgorgano ancora le fantasie degli “antimperialisti”, ignari del significato di imperialismo (si sarà costretti a tornarci sopra?) – anche la situazione italiana doveva subire alcune rilevanti modificazioni. Tuttavia, essa è ormai fortemente incancrenita. Approfittando della crisi mondiale iniziata nel 2008 – di cui ancora si nasconde il carattere e la portata, fingendo che sia sostanzialmente d’origine finanziaria e dovuta a cattive manovre bancarie – si è fatto strepito soprattutto in Italia sul debito pubblico e altri problemi connessi (tipico il tormentone dello spread rispetto ai bund tedeschi) per spaventare la gente, anche con riferimento alla pesante condizione della Grecia, pur essa in buona parte condizionata dal comportamento della UE. Si è “convinto” Berlusconi ad andarsene (con la sua netta predisposizione ad essere convinto) per lasciare il campo, appoggiandolo poi in modo sempre più scoperto e laido, a questo finto “governo neutrale” di stampo solo tecnico, un imbroglio che non mi sembra la popolazione abbia compreso, fra l’altro appunto per il timore in essa instillato.

2. E’ bene essere chiari. I tecnici e professori al governo sono ultra-mediocri e sopravvalutati mediaticamente per scopi ovvii. Napolitano è un politico di lungo corso, ma aduso alle “giravolte” e al “buon adattamento”. Tuttavia, simili personaggi si rendono probabilmente conto che le manovre intraprese non porteranno ad alcuna uscita dalla crisi, per null’affatto finanziaria nei suoi aspetti più micidiali e di almeno medio periodo (almeno una decina d’anni, come affermato, in un momento di sincerità subito criticata dai suoi “compagni di merenda”, dalla Merkel). Perché allora hanno compiuto simili passi ed altri ormai ne promettono, minacciando altrimenti di andarsene? Non darei per scontata una risposta univoca e sicura. Si possono fare solo alcune ipotesi.

Intanto si tratta di provare la resistenza della popolazione italiana ad una serie di forti tosature che comunque ci pioveranno addosso anche “oggettivamente”, nella misura in cui liquideremo i nostri settori strategici e ci faremo servitori a tempo pieno degli Usa nella loro nuova strategia (“del pantano”, già da me spiegata qualche tempo fa); sia chiaro che non esiste servilismo se non con la complicità di una sorta di “borghesia compradora” (s’intenda il termine cum grano salis, dato che non esiste oggi l’imperialismo nel senso di prevalente colonialismo vecchio stampo). Come sostenuto più volte, è indispensabile la complementarietà tra il sistema economico-industriale del paese predominante e quelli dei paesi dipendenti. In Italia, i ceti di servizio, i subdominanti, allignano appunto nell’industria delle vecchie fasi dell’industrializzazione e in una finanza posta alle dipendenze del centro preminente.

A questo motivo di indubbia rilevanza se ne aggiunge un secondo non meno importante, data la forma istituzionale detta “democratica” che esige la turlupinatura della popolazione votante. La lunga storia italiana del dopoguerra, con i vari compromessi raggiunti e gli specifici caratteri assunti da quelle forze che s’ispiravano al presunto “socialismo” (comunque antagonista del capitalismo nella sua forma occidentale dei funzionari del capitale), ha condotto al “normale” (e storicamente generale) indebolimento della sedicente “classe operaia” (non più soggetto rivoluzionario in alcun senso) e al rafforzamento dei cosiddetti ceti medi, anche nella forma della diffusione della piccolo-media imprenditoria; in settori certo non strategici ma di rilevanza fondamentale per il supposto “equilibrio” sociale (in quanto somma molteplice di contrastanti squilibri conflittuali). Il problema è certo da studiare più attentamente, ma ad una prima considerazione d’intuito, il disegno è di sfruttare maggiormente tali ceti; nel senso di appropriarsi di quote crescenti della ricchezza da essi accumulata, giacché ormai i lavoratori salariati a reddito non elevato (salvo quindi i dirigenti di medio-alto livello, non sufficientemente numerosi) sono stati pelati quasi al massimo.

Occorre impedire il crescere del malumore sociale fino ad eventuali esplosioni (non occasionali, localistiche e povere di contenuto, come i vari no-qualche cosa). In un sistema “democratico” del tipo considerato, è importante sconvolgere i legami tra base elettorale e dati gruppi finto-politici. Il governo dei sedicenti tecnici ha il compito di far entrare in dissoluzione e rimescolamento gli schieramenti per vent’anni creduti la destra e la sinistra (o centro-destra e centro-sinistra, tanto si tratta di semplici nomi privi di cosa designata). Si spera così di arrivare a quello che ho chiamato “pateracchio”, cioè un raggruppamento pasticciato con dentro pezzi vari degli pseudopartiti ancora esistenti, da far passare come “centro”, come unione di salvezza nazionale (nel caso sia necessario spaventare ulteriormente i cittadini con crisi finanziarie, spread e altre piacevolezze varie) o qualsiasi altra etichetta si riuscisse ad inventare per convincere che il recipiente ha nuovi contenuti, meno velenosi degli attuali (anzi addirittura salvifici).

E’ un compito per nulla facile poiché non vi sono personaggi nuovi. Quei pochi giovani che hanno cercato di salire alla ribalta (pensiamo, soltanto come esempio, al sindaco di Firenze o ad una ragazza, di nome Deborah, di una improntitudine rara a trovarsi) sono ormai stati travolti da un “destino cinico e baro”. Vedere ancora Alfano, Bersani e Casini (l’abc del politicantismo d’accatto dell’inesistente “seconda Repubblica”), mentre stanno “inciuciando” per un accordo elettorale teso a mettere in difficoltà i partiti “più piccoli” (mentre loro sarebbero i “grandi”), solleva ondate di ilarità e disprezzo insieme. Tuttavia, non scioglierei al momento il dubbio “atroce”: non si sa proprio chi altro trovare o vi è una sottile intenzione di far marcire la situazione secondo un’applicazione in salsa italiana della “strategia del pantano”? In entrambi i casi, è ovvio che siamo in presenza di un diversivo per guadagnare tempo poiché altri tentativi sono ormai falliti; l’incessante lite pro o contro Berlusconi non ha condotto in nessuna direzione, mentre sempre più batte alle porte una crisi che non si riuscirà in eterno a far passare per finanziaria, ma sarà estremamente reale e creerà disagi sociali pericolosi.

In ogni caso, i “tecnici” proseguono a singhiozzo, annunciano riforme che poi risultano attuate a metà (e anche meno) o rinviate di fatto nel tempo; essi sono incensati soltanto dalla stampa della classe non dirigente e soprattutto da organismi europei (e dal Fmi), puri tentacoli degli Usa tesi ad allontanare ogni reale possibilità di sbocchi “ad est” della politica estera dei paesi europei, ormai in stato di (ineluttabile?) dipendenza; e di cui l’Italia, lo ripeto, è un tassello importante. I “professori”, della cui non aurea mediocrità il premier è eclatante rappresentazione visiva (e persino teatrale), sanno comunque che le misure prese, sia pure con contorcimenti e incertezze varie (consapevolmente oppure no? Lasciamo la risposta in sospeso), conducono verso un aggravarsi della crisi reale. Trovano compiacenti cretini (o mascalzoni), perfino fra i “critici critici”, per giustificarle in nome della crisi finanziaria, dell’eccessivo debito pubblico italiano, del “default” come “spada di Damocle” tenuta costantemente sulle nostre teste. Tuttavia, sanno che simili misure condurranno verso sbocchi di accrescimento delle difficoltà economiche di gran parte della popolazione.

Tuttavia, si osservi bene come sono congegnate queste misure, dalla tassazione ossessiva alla fissazione sull’art. 18 (una mossa che non può spostare di una virgola l’incombenza della reale crisi), ecc. E’ tutto un tentativo di mettere i ceti sociali gli uni contro gli altri: lavoro salariato contro l’autonomo, quello dei settori privati contro i cosiddetti “fannulloni” del pubblico, quelli del posto “fisso” (e sempre più a rischio) contro quelli precari, e via dicendo. Appurata l’incapacità ventennale di forze dette politiche – e che tali non sono mai state, tanto che ad un certo punto si è cominciato a blaterare sulle “meraviglie” della politica negli Usa dove conterebbe la personalità del leader – di aggregare blocchi sociali, di rappresentare cioè gli interessi non dei soli gruppi subdominanti industrial-finanziari, ma nel contempo (sia pure in via subordinata) di determinati ceti, si sta scegliendo la strada del tutti contro tutti; appunto il “pantano”, lo stesso che gli Usa di Obama hanno scelto nel mondo, vista l’impossibilità di stabilire precise aree di predominio in determinate parti del mondo.

E’ necessario demistificare una simile operazione, approfittando delle rivalità e rancori tra le diverse bande di politicanti e tra i gruppi industrial-finanziari che esse vorrebbero rappresentare (sempre peggio ormai). Non ci si deve nascondere che questi furfanti hanno comunque un vantaggio ventennale di distruzione della politica, nascosta dietro l’ideologia della “fine delle ideologie” e del presunto pragmatismo, ormai per fortuna scaduto in modo aperto a “magna-magna”, a basse operazioni di accaparramento di risorse “per loro”, con totale abbandono di ogni minimo riferimento a valori ideali. Francamente, non credo che il misero culto di “idoli padani” morda più che tanto; soprattutto nel momento in cui pure la Lega è dilaniata dalla lotta tra cosche interne. E gli altri gruppi pseudo-politici non hanno proprio più nulla da dire.

Davanti a noi sta dunque un lungo lavorio di demistificazione e chiarimento politico e ideologico. Un chiarimento, soprattutto, della crisi reale che infliggerà molti disagi, mettendo termine fra poco (due-tre anni? Forse persino troppi) al battage sulle convulsioni finanziarie, sulle “colpe” dei banchieri (non perché non ne abbiano, e di grosse, sia chiaro!) da indicare al ludibrio delle genti onde far dimenticare una politica di asservimento, che passa attraverso la distruzione dei settori strategici o, meglio ancora, la loro subordinazione (e complementarietà “integrante”) rispetto al sistema dei predominanti statunitensi. L’intenzione di questi ultimi è attualmente rivolta soprattutto a mortificare ogni velleità europea in direzione “est”, che darebbe alla nostra area un posizionamento migliore pur durante l’inevitabile passaggio attraverso la fase storica della stagnazione e “lunga depressione cronica”. Il blocco di una simile scelta europea passa anche per il controllo e subordinazione del nostro paese, pedina non irrilevante nella strategia degli Usa. Teniamolo presente e agiamo di conseguenza. Il grave è l’attuale mancanza di riferimenti a possibili ambienti “sovranisti”, che a volte sembrano esistere e tuttavia non si capisce quali intenzioni reali abbiano.