UN PASSO IN MARX E DUE DI LATO

(INTRODUZIONE di Gianni Petrosillo)

 

Vi proponiamo, sul nostro sito, il nuovo saggio di Gianfranco La Grassa che ha per titolo “Un passo in Marx e due di lato”[*].  Vi annuncio, in poche righe, quello che, a mio modo di vedere, è l’oggetto di quest’ultima “fatica” lagrassiana tesa ad affrontare, con una lettura fuori dal comune, uno dei brani più esplicativi del Moro (la Prefazione a Per la critica dell’economia politica del 1859), già al centro di molte discussioni – proprio per la sua “trazione concettuale” – tra le varie scuole marxiste.

Marx era riuscito a condensare (in maniera efficace e con grande capacità di sintesi), in appena una pagina, la sua concezione del modo di produzione (e di riproduzione) capitalistico, quella stessa elucubrazione che farà poi confluire (immutata nel suo nocciolo intuitivo ma massimamente articolata) nel I libro del Capitale. 

Con un linguaggio riconoscibile ai “dottori del culto”, La Grassa si intrufola astutamente, attraverso questo testo di Marx, nel tempio “tolemaico” della scienza marxista ufficiale (ormai ridotta ad una tassonomia di dogmi religiosi, praticamente inutilizzabili se non come puro atto di fede) ma lo fa, ovviamente, scegliendosi un punto di osservazione “copernicano”.

Tale “spostamento” logico-teorico mette in funzione tutt’altro dispositivo di astrazione, che permette di analizzare la questione del presunto finalismo marxiano da una prospettiva critica. Il risultato è inequivocabile: viene mandato letteralmente in frantumi il vecchio teorema sul determinismo storico-economico di questi passi.

La verità è che le acquisizioni sul modo di produzione capitalistico, alle quali Marx giunge, sono state troppo frettolosamente archiviate dai suoi epigoni (e detrattori) entro una semplificazione en économiste, non aderente al complessivo congegno teorico marxiano. Nulla di più lontano quindi, secondo l’argomentazione di La Grassa, da ciò che Marx, aveva voluto supportare col suo ragionamento scientifico, il quale però, ed è inutile negarlo, nei suoi “spazi vuoti” ha comunque prestato il fianco a questo riempimento teleologico.

Ciò che ne viene fuori, a mio parere, è un esempio illuminante di come andrebbe condotta la “lotta di classe nella teoria”, anche quando si parla di marxismo (non essendo quest’ultimo, al pari di altre scienze, avulso ai costanti superamenti paradigmatici del suo impianto originario, nonché alle stesse “inibizioni” ideologiche che lo condizionano ma che sono altrettanto inevitabili, poiché parte del modo umano di costruire il reale nel pensiero).

Pertanto, si può ben dire, seguendo Marx senza contraddirlo, che si deve sempre partire dalla storia singolare, dal “determinato livello di sviluppo sociale”, dalla formazione sociale nella quale ci si trova “invischiati” (ecco l’antideterminismo marxiano messo in primo piano), dal capitale in quanto complesso di rapporti sociali, per spiegare la nostra epoca, servendoci dei molti materiali già a disposizione e rileggendo, in questa chiave, anche le basi teoriche anteriori. Così, prendere spunto da testi considerati già spremuti (e dai quali si pensa di aver ricavato tutto) può concorrere a chiarire il fondo epistemologico di un pensiero e delle sue forme, soprattutto laddove l’opera di disincrostazione dei sedimenti interpretativi posteriori è necessaria per liberare il suo nucleo logico. Ed, infatti, con questo lavoro di detour teorico, le lacune euristiche del marxismo “classico” vengono portate allo scoperto, non negli aspetti accidentali ma in quelli più sostanziali che attengono alla stessa legalità del processo storico “rivelato” (il termine non è casuale) secondo le sedicenti leggi imperiture del materialismo.

Le tesi arbitrarie e ieratiche, con le quali l’accademia crede di aver definitivamente chiuso i conti con Marx,  si sbriciolano alla luce della lezione che dà La Grassa di questo testo: “La Prefazione è stata innanzitutto il cavallo di battaglia di tutti gli schematici “marxisti” scolastici, quelli che tentano di risparmiarsi la fatica sia di ampie letture sia di approfondire, con sforzo e problematicità, il significato non semplicemente letterale di quanto un qualsiasi autore scrive” (La Grassa). Eppure dovrebbe essere nel DNA di chi si cimenta con la teoria il dettato pascaliano relativo alla storia delle scienze, quello per cui perfino i nostri nani moderni, con un piccolo slancio, potrebbero salire sulle spalle dei “giganti antichi”, al fine di gettare lo sguardo un po’ più lontano del loro naso.

Questa volta mi aspetto che i “sordi” si mettano finalmente in ascolto. Ma non mi faccio illusioni perché la loro attenzione sarà simile ad un riflesso pavloviano, quello che si aziona quando l’ortodossia,  sfidata sul suo stesso terreno, chiama le sue orde armate di idiozia alla serrata dei ranghi. Non nutro dunque grandi speranze su questi custodi della fede marxologica i quali, messi di fronte a contenuti che contrastano con la loro lettura pedante e indifferenti alla stessa mutevolezza delle condizioni e dei processi storici, storceranno sicuramente il naso.

Eppure, si può forse affermare che i nostri limiti, in campo teorico, sono gli stessi di Marx? A Marx dobbiamo quasi tutto, ma è un tutto che deve essere riportato all’oggi, alle nostre esperienze, alla formazione sociale nella quale viviamo. Il debito nei confronti della teoria marxiana non ci consente di ipotecare la nostra comprensione del mondo attuale.

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link:

http://www.ripensaremarx.it/un%20passo%20in%20Marx.pdf

 

http://www.ripensaremarx.it/GIANFRANCO%20LA%20GRASSA.pdf

 

 

[*] Si tratta solo della prima parte ("Il passo in Marx") di un vero nuovo libro che comprenderà poi i "due di lati" (da sviluppare). Un libro che potremmo definire "quasi programmatico".

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PS. Da oggi i commenti del blog sono disattivati perché mi assenterò fino al 25 agosto. Ci rivediamo per quella data. Comunque troverete sicuramente in linea gli articoli di Gianfranco che è in grado di postarli da solo.
Saluti a tutti
G.P.