UNA GIUSTIZIA AD HOC PER PAESI A RISCHIO di M. Tozzato

Scrive oggi (27.02.2011) sul Corriere il politologo Angelo Panebianco:

<<In politica si dà spesso uno spiacevole divario fra ciò che «è giusto» e ciò che «è utile», fra ciò che pensiamo sarebbe giusto fare alla luce dei principi che professiamo e ciò che sappiamo essere utile per i nostri interessi. In politica internazionale, poi, quel divario è la regola. Ciò contribuisce a spiegare l’elevato tasso di ipocrisia che, con buona pace di WikiLeaks, circonda i rapporti interstatali. Si finge di fare ciò che è giusto ma si opera per realizzare solo l’utile. Soltanto in rare, eccezionali, circostanze, il giusto e l’utile coincidono. Adesso, per l’Italia nei suoi rapporti con la Libia, e per l’Occidente tutto nei suoi rapporti con il Medio Oriente, è arrivato uno di quei momenti: fare ciò che è giusto per sostenere le ribellioni contro i tiranni coincide con l’utile, con il nostro interesse.>>

Evidentemente il professore quando scrive gli editoriali, cioè quando scrive per il “popolo”, non può ribadire ciò che viene spiegato a  un qualunque studente al primo anno di liceo ovverosia che

<<La filosofia politica studia i fatti della realtà con il chiaro intento di indicare il come dovrebbero essere. E’ una disciplina con intenti normativi ma che esprime anche giudizi di valore e morali;>>(1)

mentre

<<la scienza politica, al contrario, osserva i fatti e formula teorie in grado di spiegarli.>>(1)

Ovviamente ciò che è giusto per il filosofo dipende dalla presa di posizione che egli assume di fronte ai fatti e a coloro che rappresentano prese di posizione diverse; tutto questo è naturalmente in relazione con i gruppi sociali che si confrontano in una determinata formazione sociale particolare. Panebianco, nel suo editoriale, tiene comunque conto dei vincoli che si stabiliscono nel rapporto tra gli interessi nazionali e le  relazioni internazionali:

<<Non possiamo autoflagellarci per avere trafficato per decenni con i dittatori mediorientali, da Ben Alì a Mubarak, a Gheddafi. Lo imponevano gli interessi delle democrazie occidentali: nessun governante democratico può conservare il potere se non tutela l’interesse del proprio Paese così come esso viene definito dai gruppi interni, politici, sociali ed economici, che contano.>>

Ma d’altra parte, così egli continua, ora dobbiamo “contribuire […] a favorire in quei Paesi l’affermazione di regimi politici più accettabili per i loro cittadini” perciò, osservando le cose dal punto di vista del famoso professore, è necessario conciliare finalmente il “giusto” con l’”utile”. Sul Sole 24 ore del 12.02.2011, a questo proposito, ci è stato spiegato che esiste un indice (Sole 24 Ore –Sace) che calcola i rischi che, in ogni paese, la crisi economica sfoci in una crisi politica e in una rivolta di piazza; i parametri considerati sono i seguenti:

 

  1. indice di violenza politica
  2. spesa per alimenti (reddito percentuale destinato dalle famiglie all’acquisto di generi alimentari)
  3. tasso di inflazione
  4. tasso di occupazione giovanile
  5. utilizzo di Internet (come veicolo di informazione e facilitatore delle sommosse)
  6. indice di sviluppo umano (che misura l’accesso a servizi sociali, sanità, ecc.)
  7. indice Moody’s di efficienza del governo
  8. tasso di corruzione.

Ovviamente manca il fattore effettivamente più importante che consiste nella capacità delle varie potenze e in particolare di quella tuttora predominante, gli Usa, di intervenire in maniera diretta o “indiretta”, con la forza delle armi o con l’invio di denaro, mezzi di vario tipo, consulenti e agenti specializzati in organizzazione di sommosse, ecc.. Ma anche prendendo per buono questo “indice dei paesi a rischio” elaborato dal Sole 24Ore possiamo rilevare che a metà febbraio il fronte “caldo” annoverava nelle aree medio-orientali, europee e nord-africane i seguenti paesi: Turchia, Siria, Giordania, Albania, Ucraina, Bielorussia, Algeria, Tunisia e Egitto. Alla Libia non si accenna nemmeno: è evidente che in questo caso è entrato in azione il fattore Stati Uniti e paesi subordinati che vede ormai Francia e Italia vergognosamente allineati alla Gran Bretagna in tema di servilismo, anche se probabilmente verrà loro concesso qualche contentino di tipo  “economico”. I lettori del nostro blog sanno che in questa fase di multipolarismo avanzante il fattore decisivo è la politica e l’efficacia della politica ovverosia la capacità di servirsi della potenza in funzione della supremazia intesa anche come predominio parziale in un’area – settore d’influenza ( ad es. regionale, militare limitatamente ad una zona dell’arena globale, ecc.) . Panebianco conclude l’articolo cercando di smorzare gli “entusiasmi” riguardo alla  convinzione che il mondo arabo possa instaurare governi “democratici” in tutta la mezzaluna nordafricana-mediorientale; a questo proposito noi possiamo solo confermare la nostra convinzione: in qualche caso si potrà manifestare una sorta di Stato di diritto “apparente” con l’aiuto dei paesi occidentali il quale non raggiungerà mai una stabilità sufficiente e che potrà concludersi nel lungo periodo, quasi certamente, solo in una nuova forma di nazionalismo arabo-islamico.

 

  1. Da una dispensa universitaria trovata in Internet.