UN’ALTRA VISIONE DELLA CRISI di M. Tozzato

 

Sul Sole 24ore del 26.04.2009 è apparso l’estratto di un saggio di Ralf Dahrendorf pubblicato recentemente in una rivista tedesca. Secondo Dahrendorf la crisi economica e sociale attuale è il risultato di un cambiamento di mentalità a cui

<<si può dare un nome semplice: è il passaggio dal capitalismo di risparmio a quello di debito>>.

Secondo il sociologo tedesco:

<<rimane plausibile la tesi weberiana che l’origine dell’economia capitalistica richiede una diffusa predisposizione a rimandare la soddisfazione immediata dei bisogni.[…] Nel protestantesimo calvinista l’aldilà era il luogo della ricompensa per il sudore versato lavorando nell’aldiqua.>>

Un primo cambio di mentalità viene individuato e riferito da Dahrendorf a partire da Daniel Bell e dalle tesi da lui espresse nel libro Cultural Contradictions of Capitalism. In questo libro Bell analizza lo

<<sviluppo di nuove abitudini d’acquisto in una società fortemente consumistica e della risultante erosione dell’etica protestante e del comportamento puritano.>>

Ne consegue, aggiunge Dahrendorf, che il capitalismo esige dagli esseri umani elementi dell’etica protestante quando sono sul luogo di lavoro, ma al di fuori di esso – nel mondo del consumo – richiede proprio il contrario.

La seconda importante trasformazione di mentalità viene fatta risalire, dall’autore dell’articolo, agli anni ottanta del secolo scorso; in realtà si tratterebbe dello sviluppo del pagamento a rate – la cui diffusione era cominciata molto prima – che si sarebbe manifestato in maniera sempre più articolata con una continua implementazione della “diluizione” nel tempo dei pagamenti:

<<Si diffuse un comportamento che permetteva il godimento non solo prima del risparmio, bensì addirittura prima del pagamento. “Enjoy now, pay later!”divenne una massima d’azione.>>

Così con i “derivati”, ad esempio opzioni o futures, ci si poteva illudere di riuscire ad effettuare acquisti senza rimetterci se il pagamento – alla scadenza prefissata – dei titoli, in qualche modo, non svuotava il nostro “portafoglio” di denaro riempiendolo magari di “carta straccia” e insomma in questo “gioco rischioso” i debiti salivano e scendevano ma il desiderio e la fame  di profitto doveva infine diventare letale anche per i giocatori più forti come le grandi banche, le assicurazioni e gli hedge funds. La politica di “salvataggio” dei grandi istituti finanziari è stata giustamente stigmatizzata da La Grassa in uno dei suoi ultimi interventi: ancora una volta la corporazione degli “usurai” e dei “succhiatori di sangue” deve salvarsi e scaricare le proprie “colpe” a spese dell’economia “reale” anche se, evidentemente, in quanto funzionari finanziari del capitale essi svolgono semplicemente il loro indispensabile compito (nei momenti difficili cercando di salvare soprattutto se stessi con relativa limitazione del credito per le imprese, soprattutto, medie e piccole).

Dahrendorf tocca, a questo punto, le possibili prospettive e lo scenario che si prospetta per l’uscita dalla crisi:

<<i commercianti di derivati […]avevano già passato di mano il denaro fittizio prima ancora di porsi il quesito su quanto esso realmente valesse. Una caratteristica del capitalismo avanzato di debito era l’agire con il fiato incredibilmente corto. […]Per questo motivo è dall’alto che deve iniziare un nuovo rapporto con il tempo. La questione dei compensi ai manager […]diventa risolvibile solo nel momento in cui i redditi vengono agganciati a conquiste di lungo periodo.>>

Sia la politica che l’economia dovrebbero programmare la loro attività almeno sul medio periodo tenendo conto delle prospettive che l’incremento dei mercati e le innovazioni produttive possono aprire per le produzione di merci. Il sistema economico e finanziario deve inoltre, secondo Dahrendorf,  riportare al centro dell’attenzione le figure definibili come stakeholder, ovvero:

<<i fornitori e i clienti, ma soprattutto gli abitanti delle comunità in cui sono attive le imprese.>>

Gli agenti economici veri e propri – quelli che hanno una diretta partecipazione in una impresa economica – e che in inglese vengono chiamati shareholder, sono tenuti in questa fase a dimostrare senso di responsabilità sia verso il sistema-paese in cui operano sia nei confronti dei soggetti sociali sui quali si ripercuotono le loro scelte. Ma se non vi potrà essere un ritorno all’etica protestante il sociologo tedesco ritiene, comunque, auspicabile <<un ravvivamento delle antiche virtù>> nonostante la presenza, nel capitalismo, di  un paradosso difficilmente  risolvibile:

<<lavoro, ordine, servizio, dovere rimangono i prerequisiti del benessere; ma lo stesso benessere significa piacere, divertimento, desiderio e distensione. Gli uomini lavorano duro per creare beni che in senso stretto sono superflui. Non torneremo al capitalismo di risparmio, ma a un ordine in cui il soddisfacimento dei bisogni è coperto dal necessario valore aggiunto.>>

E’ evidente che il riferimento alla produzione di “beni superflui” è del tutto priva di senso visto che i bisogni sono storicamente e socialmente determinati e che le innovazioni di prodotto sono fondamentali per l’economia capitalistica oltre che in termini di profitto anche per favorire la sua espansione nello spazio e la sua capacità – tutto sommato innegabile – di incrementare il benessere di un sempre maggior numero di persone.

L’articolo di Dahrendorf, ad ogni modo, può anche essere letto come un tentativo di interpretare la storia del capitalismo attraverso le modifiche della “mentalità” e della “cultura” nei paesi in cui esso si è affermato compiutamente. Tentando di sintetizzare alcuni stimoli, in poche righe, nei termini più “strutturali” a cui facciamo riferimento come RipensareMarx, provo ad aggiungere una breve riflessione.

 Dalla fase dell’ascesa della borghesia – in cui si afferma l’etica calvinista – fino al termine della prima rivoluzione industriale (o meglio fino all’inizio della “seconda”) possiamo parlare di capitalismo borghese, vero e proprio, mentre nel successivo periodo – di tipo policentrico prima e monocentrico bipolare poi – con il diffondersi della formazione sociale dei funzionari del capitale, si afferma progressivamente la cosiddetta produzione di massa assieme a una sempre più diffusa e elevata capacità di consumo anche delle classi inferiori e dominate. Negli ultimi trent’anni con, un dapprima timido, ma poi sempre più accentuato avanzamento del multipolarismo e lo sviluppo di vastissime aree dell’ex-Terzo Mondo si sarebbe entrati in una fase di crisi delle aree centrali – in cui il capitalismo si è dapprima storicamente sviluppato – con tutte le distorsioni che questo implica e con la probabile evoluzione verso un policentrismo globale.

Naturalmente un discorso di questo genere può essere veramente portato avanti solo da una analisi strutturale come quella di La Grassa a cui questo blog fa riferimento in merito all’inquadramento generale dei problemi. Pensatori come Dahrendorf possono però avvicinarci ad alcune problematiche utili per  allargare l’orizzonte e i temi di riflessione.

Mauro Tozzato            26.04.2009