Unione bancaria, separazione britannica

europa

Un mese fa circa il Financial Time dedicava una pagina intera alla questione che avrebbe di lì a poco occupato i leaders dell’Eurozona in un vortice di incontri non ancora terminati: l’unione bancaria. E concludeva più o meno così: gli inglesi non accetteranno mai di vincolare la più importante piazza finanziaria europea, la City. Anche se una vera unione bancaria segnerà una significativa modifica nell’equilibrio di potere dell’Unione Europea, forzando gli inglesi a dire una parola definitiva sul loro futuro.

Una vera unione bancaria di fatto spiazza i governi dal controllo delle banche. Una qualche autorità sorveglierà le attività bancarie, farà osservare le regole ed interverrà in caso di soccombenza. In parallelo gli oneri saranno suddivisi fra tutti i contribuenti dell’Eurozona e non più solo fra quelli della nazione con la banca in difficoltà. In ultima analisi si tratta di condividere il potere e le responsabilità al di là delle frontiere nazionali. Con quali risorse? Questa è la questione di fondo. Nessuno capisce cosa vuol dire “supervisione”, mentre ognuno capisce molto bene “depositi” e se sono al sicuro. Di fatto una garanzia pubblica deve essere messa in conto e spiegare questo ai contribuenti tedeschi, olandesi e francesi è la parte difficile oltre che essere politicamente suicida.

Nonostante tutto questo la politica europea va avanti molto più velocemente di quanto qualcuno nella City pensasse: non è questione di anni ma di mesi. Il conflitto interno è solo all’inizio. Una comune dichiarazione politica di volere procedere verso l’unione bancaria è stata fatta. La “supervisione” delle grandi banche da parte della BCE non è passata per ora (c’è la questione delle Sparkasse tedesche da dirimere), mentre è passato l’intervento dell’ESM per la ricapitalizzazione delle banche in crisi: sarà la BCE però a definire quando, quanto e a quali condizioni effettuare il rifinanziamento con i soldi dell’ESM. In cambio Angela Merkel dovrebbe ottenere entro l’anno la firma del fiscal compact ed una ridefinizione dei Trattati che preveda la possibilità di imporre condizioni ai governi nazionali, riluttanti a prenderle per ovvie ragioni.

Resta comunque inevasa la questione della garanzia sui depositi. Il prestito a basso tasso della BCE alle banche solventi, le alleggerisce dal peso di un debito sovrano poco sostenibile, ma non è ancora la soluzione definitiva. Una cosa è certa: questa volta la Germania vuole vincolare il comportamento dei partners, prima di cedere ulteriore sovranità. Non lo otterrà né a breve né facilmente.

Cosa farà la Gran Bretagna nel caso che a fine anno si dovessero dover firmare cambiamenti dei Trattati che prevedano questo tipo di poteri e responsabilità? L’anno scorso come è noto David Cameron chiese garanzie per la City, che non vennero concesse. E la GB rimase fuori dal fiscal compact. Rinuncerà anche all’attraente possibilità di condividere con gli altri i debiti delle sue banche, fra le più grandi del mondo? Molti osservatori pensano che, se la BCE agisse come prestatore di ultima istanza, l’Eurozona diverrebbe di gran lunga più attraente della City. Altri pensano che la Germania potrebbe ottenere per via diplomatica e negoziale ciò che non ha ottenuto con le guerre in Europa degli ultimi trecento anni.

Sarà sempre più difficile in futuro per la GB fare come quel capo cinese che “osservava l’incendio nel villaggio nemico, seduto sull’altra riva del fiume”. Questa volta dovrà imparare da Esopo: Hic rhodus,hic salta.