“Will signor Berlusconi have to go?” di Piotr

 

1. Dire che 5 più 5 fa 10 non è una gran profezia, come chiunque intuisce. Può essere una banalità o una cosa utile: dipende dai contesti.

Annunciare che Silvio Berlusconi sarebbe stato presto oggetto di un grande attacco pilotato da Oltremanica e da Oltreoceano è poco più che scrivere l’equazione 5+5=10. Non è stata sicuramente una grande profezia. E’ solo un po’ meno banale, anche se la sua utilità dipende ovviamente dal contesto complessivo che ognuno ha nella propria testa.

In ogni caso spero che anche i più critici tra i miei lettori riconoscano che per lo meno ho seguito l’invito di Jean-Jaques Rousseau: è meglio rischiare di enunciare un paradosso che ripetere un pregiudizio.

E io credo che ciò che sta succedendo dimostri proprio che Berlusconi sia paradossalmente e spesso preterintenzionalmente, l’unico uomo politico italiano non appiattito su posizioni filo-USA, mentre ripetere la litania del “Berlusconi pericolo per la democrazia e per l’Italia” significhi ripetere un vero e proprio pregiudizio.

Non capire il legame tra le politiche egemoniste anglo-americane (con gli UK in posizione di junior partner) e le manovre che si compiono in Italia sotto la copertura ideologica della “difesa della democrazia e della Costituzione”, copertura che comprende un Fronte Unito virtuale che va dagli aderenti più sognatori della sinistra “antagonista” ai più marci esponenti del PD e dell’IDV, vuol dire buttare a mare quelle minime acquisizioni cui il movimento anticapitalista italiano era giunto durante il secolo scorso. Ne elenco qualcuna senza un ordine preciso:

1)      Gli USA rimangono potenza imperiale sia sotto le amministrazioni repubblicane sia sotto quelle democratiche: il presidente Johnson era “boia” non meno del presidente Nixon. Questo una volta lo si sapeva, ma ora sembra che Obama abbia d’un tratto purificato gli Stati Uniti (forse perché sta concentrando la potenza di fuoco messa in campo o minacciata da Bush sull’Asia Centrale, ovvero Afghanistan e Pakistan?).

2)      Nella fase attuale non può esistere nessun reale movimento anticapitalista che in qualche forma non preveda l’erosione della posizione egemonica degli USA in vista di uno sganciamento economico, politico e militare. La parola d’ordine “Fuori l’Italia dalla Nato, fuori la Nato dall’Italia” ne è da tempo testimone. E che senso avevano le lotte contro i missili USA a Comiso? Che senso si vuol dare alla lotta contro il Dal Molin? Un senso vagamente ecologico-pacifista o un senso politico?

3)      Il colore della pelle non conta: quel che conta è la testa delle persone. Una volta era il principio minimo da opporre al razzismo. Ora il colore della pelle di Obama sembra invece contare di più di quel che il neo-presidente dice o fa, incuranti del precedente vergognoso di Colin Powell e del fatto che i radical statunitensi incomincino a chiedersi seriamente se forse non era meglio avere come presidente McCaine invece di Obama. Ci si lamenta della società dello spettacolo, ma qui lo spettacolo dell’apparenza fisica la fa da padrone.

4)      Un pur glorioso passato antifascista e la collocazione formale nello schieramento parlamentare non faceva fare sconti nella valutazione delle azioni di un uomo politico. Il socialista e antifascista – e non da barzelletta – Giuseppe Saragat, dopo essersi messo al servizio permanente degli USA, da quinto Presidente della Repubblica cercò di utilizzare la strage di Piazza Fontana per sospendere le garanzie costituzionali, stoppato in ciò dal democristiano di centro Mariano Rumor. Edgardo Sogno, partigiano, medaglia d’oro audacissima il cui nome faceva tremare le ginocchia ai nazifascisti,  da sempre legato ai servizi anglo-americani si iscrisse alla Loggia P2 e fu persino arrestato per un tentativo di eversione dell’ordine costituzionale (il caso del cosiddetto “Golpe bianco”). Erano diventati fascisti? No: né Saragat né Sogno erano tecnicamente o ideologicamente fascisti. Semplicemente lavoravano per lo strato imperialistico che stava sotto quello della lotta antifascista che si era svolta durante il secondo conflitto mondiale e alla quale avevano partecipato con coraggio.

 

Mi fermo qui, ma credo che basti per capire la somma di pregiudizi che scendono in campo quando si toccano certi temi e per capire i sordidi interessi coperti dalle velature  ideologiche di certe parole d’ordine che superficialmente possono apparire chiare, lampanti e condivisibili.

Spero che basti, ma purtroppo non ne sono per nulla convinto: la sinistra tutta sta gongolando per gli attacchi portati l’altro giorno dal Financial Times e ieri, tramite il Times di Londra, da Rupert Murdoch (ma come, non era quello che aveva fatto caricare  dalla polizia migliaia di suoi lavoratori in sciopero in Gran Bretagna e poi li aveva licenziati? nel 2003 tutti i suoi 175 giornali mondiali per caso non sostenevano l’invasione dell’Iraq?). Eppure gongola anche la sinistra radicale. E lo fa con una carica orgasmica che lascia poco sperare in un sopravvento delle connessioni sinaptiche.  

 

2. Secondo il Times, Berlusconi è un “un clown sciovinista” al quale è “caduta la maschera”. E’ interessante capire il ragionamento dell’articolista. Detta maschera sarebbe caduta per il fatto che non vuole ammettere all’opinione pubblica italiana le sue supposte vicende piccanti. Non ho difficoltà a credere alle pulsioni satiresche del nostro premier né al fatto che menta per imbarazzo. Ma, come diceva Rhett Butler a Rossella O’Hara in “Via col vento”: “Francamente me ne infischio”. Non è certo la sua non-ammissione che mi fa sentire “trattato con disprezzo” come pretende il paludato quotidiano londinese.

Mi interessa di più quel termine “sciovinista”. Che cosa si vuol dire? Ci si sta limitando al significato di “sciovinismo maschilista”, come vorrebbe suggerire il contesto, o si allude a un’altra forma di sciovinismo? Sia come sia e al di là del significato e delle possibili allusioni del termine, siamo in presenza di un ulteriore attacco da ambienti anglo-americani al nostro premier. Attacco che avevamo previsto con un qualche anticipo non già analizzando il suo sciovinismo maschilista, bensì il suo semi-sciovinismo politico irrispettoso non tanto dell’opinione pubblica italiana bensì del guinzaglio anglo-americano. Ed è per questo – eminentemente per questo – che è un “pagliaccio” (Times) “pericoloso per l’Italia” (Financial Times).

D’altra parte due giorni prima dell’uccisione di Enrico Mattei  il Financial Times astrologava: “Will signor Mattei have to go?” (traduzione: “Il signor Mattei se ne deve   smammare?”).

Ho già detto che Berlusconi non ha la caratura di Mattei né persegue quei lucidi piani antiegemonici che fecero tanto infuriare i britannici e gli USA. Quindi probabilmente non si beccherà una bomba sul suo aereo privato, se non altro perché fa volare anche gli amici su quelli statali. Il nostro uomo potrebbe infatti essere la rovina di se stesso (anche se io credo che alle prossime europee non subirà cedimenti). Una riprova? Anzi, due? Intanto non ha ancora capito, nel suo sentimentalismo confusionario filo-Usa, la direzione della corrente: i giornalisti inglesi hanno ben ragione di sghignazzare quando Berlusconi accusa la sinistra  – comunista (sic!) – di ispirare i loro articoli. Sono semmai  gli ambienti ai quali questi esimi giornali anglosassoni fanno riferimento ad ispirare la politica della sinistra italiana. In secondo luogo, ecco cosa diceva di Mattei l’ambasciatore a Roma, Ashley Clarke:A differenza di molti esponenti democristiani non sembra corrotto a livello personale. Vive in modo tutto sommato modesto. Il suo unico svago è la pesca”.

Un altro pianeta! Ecco perché là occorreva una bomba mentre qui forse basterà qualche festino in Sardegna di troppo. Staremo a vedere.

 

Piotr