1933 PIUTTOSTO CHE 1929

(fonte www.dedefensa.org – Euredit S.P.R.L)

trad. di G.P.

 

18 gennaio 2008 – la crisi non cessa di gonfiarsi, ampliarsi, secondo una dinamica che non sembra possa rallentare da sola. Di questo si tratta. Più che “la” crisi finanziaria con tutte le sue implicazioni e spiegazioni economiche, con tutte le ipotesi (quali provvedimenti finanziari, economici, prendere, ecc.?), ci si trova dinanzi alla crisi del capitalismo.

Il mercato ed i suoi meccanismi non rispondono più. Il regolatore supremo sembra essere scomparso. La crisi del capitalismo esprime la crisi di una civilizzazione, – o, meglio poiché è il riflesso poco attraente della nostra situazione, la crisi della civilizzazione. Il cronista (politico ed economico) Anatole Kaletsky, per il quale abbiamo già mostrato stima, ci dà una riflessione generale su questa crisi globale che vale la pena di leggere, – nel Times del 17 gennaio. Kaletsky descrive il malstrom che percorre senza rallentare il mondo bancario. Gli esempi abbondano, tutti assolutamente indescrivibili dal punto di vista delle cifre, come la sorte dei due giganti finanziari del capitalismo americanista, Citigroup e Meryl Lynch: "On Tuesday these two companies, universally recognised as the biggest and brashest symbols of America’s financial hegemony and the triumph of market capitalism in every corner of the world, were forced to raise $21billion of new capital from national investment funds owned by governments in Asia and Middle East. These bailouts raised to $35billion the rescue capital received by Merrill Lynch and Citigroup in the past three months and to almost $100billion the total cash injections into Western financial institutions from the sovereign wealth funds or ruling families of Abu Dhabi, Kuwait, Dubai, Saudi Arabia, China, Singapore and South Korea."

A cose fatte, questa rivoluzione delle nostre concezioni capitalistiche con lo scenario che sia apre sulle potenze finanziarie di un mondo finora percepito come complementare se non marginale rispetto al nostro proprio centro di potenza, costituisce, secondo Kaletsky, un trasferimento arduo del centro di gravità di tale potenza (vedere più in là). Almeno, l’operazione dovrebbe sollevarci, poiché costituisce un rafforzamento venuto dall’esterno? E bene, per niente. I "mercati" hanno reagito con un pessimismo nero, come se nulla di positivo (il recupero di Citigroup e di Meryl Lynch) fosse avvenuto. Ciò implica, osserva Kavetsky, un nuovo appello ai "fondi sovrani", questo cavallo di Troia dei nuovi ricchi beoti entrati nel cuore del capitalismo per corromperlo. Kaletsky vede due conseguenze colossali in questi eventi: «As a result, Asian and energy-producing sovereign wealth funds will soon become the biggest shareholders in most of the leading American and European financial institutions. In this sense, the bailouts of Citigroup and Merrill Lynch will be remembered as milestones, marking a decisive shift in the centre of gravity of the world economy towards Asia after five centuries of financial, economic and therefore political dominance by Europe and America.

 

»Secondly, if the markets prove right in their initial pessimistic reaction, then these cash injections will inevitably be seen not as canny investments but as government bailouts. That, in turn, will imply the present global financial crisis simply cannot be solved by private market forces. If market confidence cannot be restored in stricken banks, however much new money they raise and whatever management changes they undertake, then governments and regulators around the world will be faced with a stark choice.

 

»Either they will have to accept a long period of financial paralysis, leading inevitably to a deep global recession and maybe even a Japanese-style decade of depression or they will have to step in with a Plan B, involving public sector intervention of some kind that overrules the judgment of market forces. This, too, would represent an important milestone in what looked until recently like the inevitable progress of free-market capitalism around the world.»

Kaletsky dice che la sua prima osservazione riguarda ovviamente un caso storico, una valutazione piuttosto di tipo filosofico sull’evoluzione delle grandi forze nella storia. Si tratta di apprezzare il significato di quest’intervento della potenza finanziaria di una sfera esterna del centro di potenza della civilizzazione, per salvare o tentare di salvare questo centro di potenza. D’altra parte, la realtà di questi "fondi della sovranità" implica che si tratti di potenze finanziarie con un significato politico poiché sono per la maggior parte nelle mani di autorità pubbliche (governative). Ciò conduce alla seconda osservazione, questa molto più urgente perché riguarda l’intervento diretto dei pubblici poteri del centro della potenza attualmente in ritirata e minacciata dal crollo (USA principalmente, ma anche UK ed Europa in certo modo). Passare da un intervento indiretto (aiuto finanziario senza contropartita fondamentale) ad un intervento diretto, come suggerisce Kaletsky, implica che si arrivi nel cuore della crisi: la questione della possibilità della presa di una decisione. In questa crisi, le potenze finanziarie private che crollano mostrano un’irresponsabilità politica straordinaria. Sono incapaci, e neanche ne hanno il desiderio, di liberarsi delle tare del sistema, ma considerano soprattutto i soli interessi privati, incapaci di una valutazione collettiva delle necessità. Kaletsky nota: " Today, even as they hovver on the brink of insolvency and are forced to raise billions of dollars of new money to survive, most of the leading international banks are paying out large – and in some cases increasing – bonuses to their employees, enormous golden parachutes to their failed directors and dividends to their shareholders. In the case of Morgan Stanley, for example, the $5billion of new funding raised from the Chinese Government has been almost exactly matched by an increase in the bonus pool for payment to its supposedly talented employees. Citi, meanwhile, after paying out more than $100million to its sacked chief executive, is now planning to pay out roughly half the new capital it raised this week as a dividend next month."

Ogni giorno le notizie vanno in questo senso. Accentuano la sensazione dell’irresponsabilità di quest’autorità delle potenze finanziarie in crisi, della loro assenza di visione collettiva per ciò che occorrerebbe chiamare una specie di "bene pubblico" per  garantire la sopravvivenza del capitalismo, della loro visione strategica ridotta ad una percezione quasi burocratica, a forza di paralisi, imprigionata dalle norme immemorabili del profitto, dalla cupidigia illimitata che va a vantaggio di queste sole autorità. C’è la sensazione di una corruzione psicologica profonda (oltre che immorale), di una corruzione psicologica senza ritorno di quest’autorità. Il sito WSWS.org riporta, in un’analisi pubblicata oggi, questi dettagli che sono stati appena resi noti, i quali mostrano che somme considerevoli che influiscono in maniera massiccia sulla crisi ($39 miliardi per il 2007 per i primi 5 istituti finanziari) sono versate ad individui, in generale dirigenti, già congedati per incompetenza:

«As Citigroup, Merrill Lynch and other finances houses were announcing their staggering losses for the last quarter, Wall Street released one other telling figure. Bonuses paid out for the five biggest financial firms topped a record $39 billion in 2007, the vast bulk of this fortune going to a relative handful of top executives. They pocketed these immense sums even as their shareholders suffered losses of more than $80 billion and as they prepared the wave of mass layoffs that is now beginning to sweep through the finance industry.»

Ciò che indicano questi "dettagli" quantificati in $miliardi, è la conferma dell’irresponsabilità totale del sistema dinanzi alla sua crisi; cioè, del sistema del " libero mercato ", del sistema degli interessi privati e particolari, del "free-market capitalism" come lo chiama Kaletsky.  

Di qui la questione che pone Kaletsky riguardo alle condizioni di un intervento massiccio dei pubblici poteri, – urgente, nelle settimane che vengono – questione  che essenzialmente riguarda il potere e gli orientamenti strategici che il suo esercizio permette d’imprimere. Kaletsky porta a termine la sua cronaca con questa questione: «If banks are to continue receiving implicit government guarantees then regulatory steps will have to be taken to ensure that these guarantees are reflected in their financial management, remuneration policies and risk controls. How exactly this can be done is a complex subject which economists, financiers and politicians will need to debate and to which different countries will probably find different answers.

 

»But something clearly must be done to ensure that banks, their employees and their shareholders pay an adequate price for the implicit insurance they enjoy from governments and taxpayers – whether those governments are in America and Europe or in Asia and the Middle East. In the case of Britain, ensuring that the shareholders of Northern Rock lose every penny of their investment would be a good place to start.»

 

La nostra impotenza e la potenza della crisi

La decisione pressante con la quale si è confrontato Gordon Brown, è quella della "nazionalizzazione" della banca Northern Rock. Poiché Northern Rock, caricata fino al midollo, dall’agosto 2007, da iniezioni massicce di fondi (principalmente pubblici), di cui nessun "investitore" del tipo "fondi sovrani" ne vuole, è alla deriva ed occorre prevedere l’ultima decisione della nazionalizzazione. La banca, il sistema bancario in generale nel sistema capitalistico, non può essere abbandonata alla sua sorte, come lo furono e lo sono diversi settori economici, perché il suo crollo condurrebbe immediatamente ad una crisi economica profonda per quanto riguarda direttamente il cittadino (il cittadino-elettore), ad un panico generale dei risparmiatori e dei depositanti. È l’equilibrio anche delle nostre società, dunque dei poteri politici che presuntamene le dirigono, che è in causa. Simbolicamente, poiché la fase visibile della crisi è in particolare cominciata con la crisi di Northern Rock, la nazionalizzazione sarebbe una decisione terribile. Sarebbe un processo a tutto il capitalismo del libero mercato sul quale si fonda la nostra "civilizzazione". E, naturalmente, sarebbe soltanto un inizio. Lo stesso Gordon Brown ha invitato, il 29 gennaio a Londra, i suoi principali colleghi europei (la tedesca Merkel, il francese Sarkozy, ai quali l’italiano Prodi è riuscito ad aggiungersi per sua insistenza). Dopo una tragi-commedia dietro le quinte, poiché non era stato invitato in partenza, risulta che anche il presidente della Commissione europea Barroso sarà presente. (La Commissione è stata tenuta da parte, in occasione delle trattative iniziali per la riunione. È stato necessario una battaglia dura per fare accettare Barroso.) Questa riunione riguardava l’atteggiamento concertato dei governi di fronte alla crisi. È una riunione politica e ciò dà un rischiarimento della situazione del potere politico reale in Europa. Il Consiglio dei 27 sarà informato quindici giorni più tardi, a metà febbraio, dei risultati della riunione del 29 gennaio. Di fronte all’urgenza la direzione politica è, sulle prime, in capo ai tre principali paesi (Germania, Francia, Regno Unito). La crisi diventa obiettivamente politica. Se c’è decisione di "intervento massiccio" dei pubblici poteri, la crisi si annuncerà, dalla decisione di questi poteri, come fondamentalmente politica. Ciò che faranno i dirigenti politici di questa "presa del potere", è un’altra storia, – diciamo, una "nuova storia", dove, per la prima volta per la fase, la dittatura assoluta della dottrina del capitalismo del libero mercato è direttamente messa in dubbio, – e messa sotto processo de facto, tenuto conto delle circostanze. Non siamo nel 1929 ma nel 1933. (Se si prende l’analogia storica del modello americanista che è ovviamente il solo adeguato quando si evoca "la crisi del 1929" come precedente; solo gli USA riunivano le condizioni, prima e durante la crisi del 1929-1933, che rendono l’analogia accettabile perché supera i campi finanziari ed economici per i campi psicologici e politici.) L’esperienza ha abbreviato i termini (ma occultando alcuni eventi), – a meno che si faccia dell’11 settembre 2001 un vero "1929" della crisi presente, cosa che non sarebbe così stupida.

Il 5 marzo 1933, Franklin Delano Roosevelt (FDR) presta giuramento. Allo stesso tempo, il suo segretario al tesoro lascia la cerimonia e raggiunge i suoi nuovi uffici dove assume le sue funzioni. Lavora immediatamente a decisioni politiche per la nuova amministrazione. La prima sarà di ordinare la chiusura delle banche US. Da molte settimane, i fallimenti bancari si contano ogni giorno per decine, che accelerano fino alla vertigine l’immersione del paese nella disintegrazione. (André Maurois nel settembre 1933: "se aveste fatto il viaggio verso la fine dell’inverno (1932-33), avreste trovato un popolo completamente disperato. Per alcune settimane, l’America ha creduto che la fine di un sistema, di una civilizzazione, fosse molto vicino.") Questa decisione di chiusura delle banche presa da FDR il giorno dopo il suo insediamento segna la presa del potere da parte della politica su una situazione fino ad allora lasciata alla grande saggezza del libero mercato. Ci troviamo abbastanza vicino a tale momento di decisione. La differenza è che non c’è stata, nel frattempo, la percezione di una crisi finanziaria ed economica dell’ampiezza di quella del 1931-33 (la vera grande depressione US) perché "la crisi" si manifesta in modo molto diverso. Si manifesta più su scala globale che nazionale e più variamente, con parossismi da "crisi sistemica settoriale" in altri settori oltre ai settori finanziari ed economici. Ciò ci restituisce una realtà più puntuale e si può allora accettare l’idea che il "nostro 1929" è certo l’11 settembre 2001, il tempo supplementare essendo trascorso a causa della nostra capacità d’illusione (virtualismo) e facendo per questo peggiorale la situazione. La crisi del 1929-33 era già una crisi di civilizzazione (Maurois usava le parole giuste) che si manifestava negli USA, già modello della nostra civilizzazione, ma fu catalogata come finanziaria ed economica soltanto. La crisi d’oggi è ovviamente una crisi di civilizzazione, infinitamente peggiore, ed i settori finanziari ed economici di questa crisi non sono più i soli a manifestare questo stato di crisi. (C’è la crisi dell’ambiente, la crisi dell’energia, la crisi strategica e politica, ecc..) Siamo nel 1933 perché ci avviciniamo del momento della conquista del potere da parte di FDR, il momento in cui "il potere politico prende il potere", – non per gusto o ambizione, o convinzione, ma perché gli eventi non gli lasciano altre scelte. (È vero che prima di FDR, la politica di Hoover corrispondeva esattamente alla dottrina del " laisser faire " attualmente in corso, che implica interventi più o meno importanti del potere politico senza mai conquistare il potere della decisione.) Gli eventi conducono oggi il potere politico a questo dilemma. Occorrerà scegliere. O, detto differentemente, poiché non ha neppure scelta: dovrà prendere la decisione "di prendere il potere". A partire da ciò si aprono questioni senza risposta. Potrà e avrà i mezzi per trasformare questa decisione di "conquista del potere" in atti efficaci e decisivi? Approfitterà di questa "conquista del potere" per modificare radicalmente i grandi orientamenti del nostro tempo storico? E così via. A priori, queste domande spingono al pessimismo di risposte piuttosto negative. Ma la crisi ha una forza, in particolare di persuasione per l’azione diretta anche senza coscienza delle circostanze estreme della sfida, che la nostra potenza non conosce più. Occorrerà anche vegliare, a misura dell’avanzamento degli eventi, per tenere separati i diversi poteri nazionali, nonostante il livellamento della globalizzazione. È ovvio che, nel periodo determinante che si apre, il potere américanista, in crisi profonda d’impotenza e di paralisi, oltre ad essere ciecamente legato all’ideologia liberale del non interventismo, è di gran lunga il potere meno armato per rispondere agli sforzi della crisi. (Ed è esso che fa, più o meno coscientemente, riferimento al 1939-1933.) Per fare avanzare la sua azione riformista d’intervento sistematico nel 1933-34 (del resto senza ottenere altra cosa che un miglioramento temporaneo), FDR dovette realizzare una ristrutturazione profonda dell’apparato governativo.

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