L’indipendenza del Kurdistan. di R. Vivaldelli

Le aspirazioni della minoranza curda in Siria non si fermano alla lotta contro salafiti e i terroristi. L’obiettivo, peralcuni partiti e movimenti dell’universo curdo, è quello di fondare uno Stato autonomo a nord del Paese, un Kurdistan siriano che potrebbe estendersi ad altre regioni, minacciando così l’integrità della Repubblica Araba. A questo si aggiunge l’ostilità dei curdi verso il principale alleato della Siria di Bashar Al Assad e fulcro dell’asse sciita in Medio Oriente: l’Iran.Secondo quanto riferisce l’agenzia di stampa Ara News, nei giorni scorsi i sei maggiori partiti curdi iraniani si sono incontrati al fine di organizzare le celebrazioni del capodanno – 21 marzo – e coordinare la lotta contro la Repubblica islamica. Al meeting hanno partecipato il Partito Democratico del Kurdistan iraniano (PDK-I), tutte e tre le fazioni del Komala, il Partito Democratico del Kurdistan (KDP Iran), e Khabat.

“Il regime iraniano vuole indebolire ilmovimento curdo. I partiti che hanno preso parte all’incontro hanno istituto una commissione che si incontrerà con le fazioni del parlamento iracheno” – ha detto Aso Saleh, rappresentante del PDK-I.

“L’anno scorso si sono celebrate le cerimonie del Newroz in quasi tutte le città e i villaggi. Il regime ha iniziato a minacciare la gente e a militarizzare il Kurdistan. Hanno arrestato diversi attivisti curdi” – ha aggiunto. “In realtà i partiti curdi hanno organizzato questo incontro per coordinare le proprie attività all’interno del Rojhelat [Kurdistan iraniano] e all’estero durante il Newroz, che non è solo un evento culturale, ma ha acquisito un valore simbolico nella nostra lotta per la libertà – ha sottolineato il rappresentante del PDKI negli Stati Uniti,Arash Saleh. “Questa celebrazione ci dà la possibilità di esprimere la nostra rabbia e il nostro risentimento contro l’oppressione dei curdi in Iran” – ha sottolineato.Le rivendicazioni dei curdi iraniani sono le stesse dei loro omologhi siriani, dato che il nemico comune – oltre ai terroristi salafiti – è rappresentato dai governi sciiti della Repubblica Araba siriana e della Repubblica Islamica dell’Iran. Gli sciiti rappresentano, infatti, l’unico vero ostacolo verso la creazione di uno “stato cuscinetto”.

In tutto questo, un ruolo fondamentale potrebbero averlo gli Stati Uniti, come sottolinea l’analista geopolitico britannico Adam Garrie: “Con l’amministrazione Trump, gran parte degli aiuti che Obama ha dato alle milizie salafite in Siria, ora andranno ai curdi dell’Sdf. L’antagonismo americano nei confronti dell’Iran non è una novità, ma molti osservatori sostengono che questa ostilità potrebbe crescere ulteriormente”.“Altri, al contrario, sostengono che la vera ragione per cui il generale Michael Flynnsi sia dimesso va ricercata nella sua linea troppo dura nei confronti dell’Iran. Ma cosa c’entra questo con i curdi? Se gli Stati Uniti otterranno una regione autonoma per i curdi in Siria, questa potrebbe congiungersi alle regioni curde in Iraq: a quel punto gli Usa avrebbero avuto un luogo sicuro da cui partire per lanciare una guerra contro la Repubblica Islamica. E potrebbero farlo proprio con l’aiuto dei soldati curdi ben addestrati, che hanno più volte manifestato il loro desiderio di indebolire l’Iran. Anche se Siria, Iran e curdi hanno un nemico comune – i salafiti – le loro controversie non possono essere ignorate”.

Va tuttavia sottolineato che un Kurdistanin Siria non avrebbe alcuna relazione con quello, legittimo, riconosciuto nel 1920 alla Conferenza di Sèvres, che interessava territori oggi occupati dalla Turchia e, in parte, dall’Iraq: l’obiettivo era tutelare gli arabi e soprattutto le minoranze cristiane in Siria che abitano in quei luoghi da secoli.A spendersi in nome della causa curda ora c’è anche il filosofo francese Bernard-Henri Lévy: “”Se dovessi rilevare la differenza principale tra questa pellicola e Peshmerga, è che in questo nuovo film faccio un appello forte non solo per il Kurdistan, ma per la causa della indipendenza del Kurdistan” – ha affermato Lévy parlando del suo nuovo film La Battaglia di Mosul. “So che ci sono delle divisioni, ma lo stato indipendente del Kurdistan sarà una stella luminosa per tutti i curdi nel mondo”.

Com’è noto, Lévy è l’intellettuale che ha promosso lo sciagurato intervento militare occidentale in Libia. È stato in prima linea nella “balcanizzazione” della Jugoslavia e ha manifestato il proprio sostegno nei confronti della rivoluzione diEuroMaidan in Ucraina. È stato protagonista di tutte le operazioni che hanno provato caos, destabilizzazione e disordine nel Medio Oriente.Ankara è favorevole ad un Kurdistan siriano, purché venga tolto di mezzo il Pkk e sia sotto la sua diretta influenza. Per quanto mantiene da sempre ottimi rapporti con i curdi iracheni i quali, va sottolineato, hanno posizioni diverse da quelle degli omologhi siriani. I due gruppi, infatti, e non parlano la stessa lingua  – il gorani e il kurmanji – e durante la guerra fredda sono spesso entrati in conflitto.Nel frattempo, i curdi iracheni si stanno mobilitando per ottenere l’indipendenza dall’Iraq e il progetto di un governo regionale del Kurdistan (KRG) è in fase di discussione. Il presidente Massoud Barzani ha citato la disintegrazione della Jugoslavia e della Cecoslovacchia in riferimento al futuro dell’Iraq.“I curdi hanno il diritto all’auto-determinazione, proprio come hanno fatto i paesi dell’est europeo” – ha recentemente dichiarato. Progetto che potrebbe concretizzarsi con il benestare del presidente turco Recep Tayyip Erdogan.

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Rivoluzione colorata contro Trump? di R. Vivaldelli

 

Contro il presidente eletto Donald Trump si è scatenata una vera e propria “isteria collettiva” come mai prima era accaduto nella storia degli Stati Uniti. Tutto il mondo progressista, così come quello della sinistra radicale, compresi anarchici e black bloc, è sceso nelle strade per esprimere il proprio dissenso nei confronti del tycoon, ancor prima che si insediasse. In concomitanza con l’ Inauguration Day, importanti manifestazioni, che hanno raccolto centinaia di migliaia di persone, si sono svolte a Washington D.C e in quasi tutte le più importanti città degli Stati Uniti e del mondo. Senza dimenticare la “Women’s March” del 21 gennaio, su cui ci siamo già soffermati.

La domanda che molti si sono posti al riguardo è: quanto di spontaneo c’è in tutte queste efferate rimostranze contro un presidente eletto democraticamente? Nessuno mette in discussione che buona parte delle persone abbia manifestato con cognizione di causa. Così come però è plausibile credere, allo stesso tempo, che un’altra fetta di dimostranti abbia agito su “input” ben diversi. A teorizzarlo è un’analista di tutto rispetto come l’economista canadese Michel Chossudovsky, professore emerito di economia all’Università di Ottawa nonché presidente e direttore del Centre for Research on Globalization (CRG). Sul sito della fondazione ha pubblicato un’analisi molto interessante in merito.

 Un “complotto” contro Trump?

Secondo Chossudovsky, infatti, contro Trump si è consumato un vero e proprio tentativo di “Rivoluzione colorata”. “Accanto a proteste genuine – osserva l’economista – c’è una campagna, sostenuta e finanziata dai neocon che vuole destabilizzare la presidenza Trump. I movimenti di protesta, infatti, sono iniziati la sera dell’8 novembre, prima dell’annuncio dei risultati elettorali. Gli organizzatori di questo movimento agiscono per conto degli interessi delle élite. Le persone sono indotte in errore. Prima delle elezioni del novembre 8, l’ex Segretario della Difesa e direttore della Cia Leo Panett aveva già fatto intendere che Trump è una minaccia alla sicurezza nazionale. Si tratta di un complotto? I vari attori di questa operazione sono coordinati. Vi sono tutte le caratteristiche essenziali per una rivoluzione colorata in stile americano”.

Le caratteristiche di una rivoluzione colorata

Ma che cos’è una “rivoluzione colorata”? Lo spiega sempre Chossudovsky: “È un’operazione coordinata dall’intelligence che consiste nel sostenere segretamente i movimenti di protesta, al fine di innescare “cambio di regime”. L’obiettivo di una “rivoluzione colorata” è quello di manipolare le elezioni, generare violenza, fomentare disordini sociali e utilizzare i manifestanti per far cadere un governo legittimo”. Tesi troppo “complottista”? Eppure vi sono molti elementi facilmente verificabili.

Le analogie con il passato

Il dato curioso è che i movimenti di protesta contro Donald Trump – come i black bloc di #DistruptJ20 – hanno adottato lo stesso simbolo – il pugno bianco su sfondo nero – che fu dell’ Otpor!, organizzazione politica attiva in Serbia dal 1998 al 2004 e che contribuì al rovesciamento dell’allora presidente Slobodan Milošević nell’ottobre del 2000. Persino l’autorevole Guardian parla del loro leader come  “l’architetto di tutte le rivoluzioni globali”.”Pochi anni dopo – osserva Chossudovsky – l’Otpor ha istituito il Centre for Applied Nonviolent Action and Strategies (CANVAS). Esso fornisce consulenza e formazione ai gruppi di opposizione sponsorizzati degli Stati Uniti in più di 40 paesi. A questo proposito, Otpor ha svolto un ruolo chiave nel fomentare le rivolte di massa durante la primavera araba del 2011 in Egitto ”.

È sufficiente visionare il sito ufficiale del CANVAS per esaminare la “mission” di tale organizzazione: “Il lavoro del CANVAS è quello di diffondere lo slogan del “potere al popolo” contro un dittatore. La nostra prossima grande missione dovrebbe essere, ovviamente, quella di spiegare al mondo quanto è potente lo strumento della lotta non violenta, quando si tratta di conquistare la libertà, la democrazia e i diritti umani”. L’organizzazione inoltre collabora inoltre con tutte le più importanti università americane, dove tiene lezioni e workshop agli studenti.

I Movimenti anti-Trump non desistono

“Vale la pena notare – afferma il noto economista canadese – che il logo del pugno alzato prima lanciato da Otpor nel 1999, poi “marchio” delle rivoluzioni colorate nel mondo, costituisce anche il simbolo di diverse organizzazioni coinvolte nelle manifestazioni anti-Trump, come #Distruptj20”. Gli anarchici di #Distrupj20 erano in prima fila a Washington contro il presidente repubblicano e si sono resi protagonisti di molte azioni violente. “Vogliamo interrompere l’inaugurazione – aveva affermato uno dei leader del movimento David Thurston, in conferenza stampa – vogliamo che la ribellione cresca in tutto il Paese e in tutte le città”. Manifestazioni contro Trump che continuano ad svolgersi, ancora oggi. Difficile pensare che possano arrendersi.

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MARK TWAIN E LA GENES­I DELL’IMPERIALISMO D­EMOCRATICO USA (di G. Candotto)

liberta

In un recente dibatti­to sulla situazione s­iriana, si era toccat­o l’argomento dell’or­igine dell’interventi­smo democratico ameri­cano, dell’esportazio­ne della democrazia. ­Alcuni vedevano la su­a genesi nelle tesi d­el PNAC (Progetto per­ un nuovo secolo amer­icano) di Bush, Pearl­e, Wolfowitz e molti ­repubblicani […]

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