CREDERE RAGIONARE COMBATTERE di Roberto Di Giuseppe

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Solitamente si dà al termine credere un significato sovrapponibile a quello di fedeltà. La mia opinione è che invece tra i due termini esista una profonda differenza.
Nel credere avverto una presa di posizione, un impegno soggettivo che coinvolge anche l’oggetto del credere. Si crede a condizione che ciò in cui si crede sia credibile. Il credere comporta un agire positivo. Non si può credere restando passivi. Inoltre non si può associare meccanicamente il credere all’obbedienza. La parola d’ordine mussoliniana del “credere – obbedire – combattere” è in realtà una mistificazione, come gran parte del fascismo. Se si crede veramente, non si ha bisogno di obbedire; se si deve obbedire, non si sta credendo veramente. Lo ”Obbedisco” di Garibaldi, non rimanda ad una neo-fedeltà monarchica dell’eroe dei due mondi, ma al suo credere, certamente tormentato, alla priorità storica dell’unità nazionale rispetto ad ogni altra questione o convinzione politica.
Più lineare del motto fascista è quello delle SS del “il nostro onore si chiama fedeltà”. Il nazismo è assai più cupo e feroce del fascismo, ma anche molto più serio e coerente. E’ necessario essere fedeli, non è necessario credere. La fedeltà contiene in sè un atteggiamento passivo. Per essere fedeli non si ha bisogno di prove, anzi quanto più la fede è incondizionata, tanto più è pura e degna. Tanto più è efferato ed inumano l’ordine al quale si obbedisce, tanto più esso è segno di incondizionata fedeltà. Ma il fedele Himmler tradisce l’Hitler degli ultimi giorni perchè la fedeltà può essere tradita. Il credere no. Il credere non può essere tradito perchè è interno. O si crede o non si crede più, o in realtà non si è mai davvero creduto. Si può essere fedeli finchè ciò fa comodo, ma la convinzione o la si ha o non la si ha.
La fedeltà è sempre una cuccia calda. Il credere, la convinzione, può essere un letto di spine. E’ per questo che da sempre rispetto chi crede ed è convinto delle proprie idee, anche se diverse o magari ostili alle mie e non apprezzo e diffido invece di chi si manifesta con la fede, anche se sembra militare nel mio stesso campo. Così come diffido dei cosiddetti “laici” che a mio modo di vedere, troppo spesso si rivelano niente altro che dei “fedeli alla banderuola” . Troppo comodi e troppo pronti a saltare sul carro di ogni vincitore.
Sono stato un convinto comunista e se fosse possibile, lo sarei ancora. Ma non sono mai stato un fedele. Il mio percorso di convinzione è stato tormentato e passionale, ma, in coerenza coi principi che mi hanno mosso, oggi non posso vedere quella comunista altro che come una grande esperienza conclusa. Leggo coloro che vi si attardano, anche ammettendone l’onestà intellettuale, come dei fedeli molto somiglianti a dei cattolici senza croce e senza chiesa.
Cionodimeno la convinzione, il credere nella bontà di una causa e di un impegno, continuano ad essere elementi essenziali per la costruzione di un processo di cambiamento. Mancando questi qualunque cammino diventa più difficile. Ritengo che i grandi rivoluzionari ben lo sapessero. Smuovere le passioni è altrettanto importante che smuovere il pensiero ed in questo la fedeltà è di grande ostacolo. La fedeltà è pecora e segue la testa del gregge fin dentro il precipizio.
L’Italia per come la vedo io, è un paese di fedeli e quindi in definitiva, di pecore. I Convinti, coloro che credono o hanno creduto nella bontà di una causa, non sono in se stessi rari, ma sempre nella storia del paese, si sono persi ed ancor più si perdono oggi, in un grigio mare lanoso e belante. Non sono pochi coloro che pensano di essere e si comportano come lupi, ma sono in realtà nient’altro che pecore fedeli agli ordini di lupi più grandi.
Gli esempi sono nell’ordine del quotidiano. Un ex vice-presidente americano, di matrice obamiana, entra, per così dire, coi piedi a martello nella politica interna italiana, di uno Stato che dovrebbe essere sovrano ed accusa due legittime forze politiche, Lega e Cinque Stelle di essere di fatto al soldo della Russia. Un giannizzero piddino, con la lingua evidentemente già pronta in posizione di leccaggio, parla di “accusa pesantissima” e di “sospetti confermati” e invita il ministro degli esteri a convocare addirittura i due ambasciatori di Russia e USA. Il fatto grave per costui non è la continua, nefasta, distruttiva intromissione multi-decennale degli Stati Uniti nella nostra vita nazionale, a qualunque livello ed in qualunque modo, ma la simpatia o la vicinanza vera o presunta che sia, di alcune forze politiche alla Russia, paese che fino a prova contraria, non ci ha mai danneggiati nemmeno di striscio.
Loro, gli additati, Lega e Cinque Stelle si difendono si, ma con timidezza. Un pò meno timidi i leghisti, un pò più vergognosi ed a disagio i cinquestellati. Tutti e due però si guardano bene dall’affermare ciò che di per sè è già evidente, e cioè che siamo un paese sottoposto a servaggio straniero e che le nostre sorti dipendono molto più dai nostri dominatori che da noi. Sarebbe giunto il tempo in cui fare i conti con questa pesante sottomissione ed aprire il campo ad un processo di liberazione, per quanto difficile e costellato di difficoltà esso possa essere. Sarebbe necessario per il futuro nostro e delle nostre future generazioni. Ma come dicevo, il nostro è un paese di fedeli e non di persone capaci di credere in una causa e di lottare fino in fondo per essa.
I russi sono stati capaci di vincere una guerra che chiunque altro avrebbe perso, con una determinazione ed un sacrificio feroci. I tedeschi la loro guerra sbagliata e orrenda l’hanno persa, ma sono comunque stati capaci di combatterla fino in fondo. Gli italiani hanno cambiato casacca come banderuole. Fedeli all’alleato tedesco finchè ha fatto comodo, fedeli al papa perchè fa sempre comodo, fedeli agli americani perché hanno vinto. Certo ci sono stati i partigiani, quelli veri, e pure dei fascisti che ci hanno creduto davvero. E ci sono stati pure i seicentomila militari internati in Germania che non si sono piegati nè ai tedeschi nè ai fascisti. Ma per quanti siano stati, la loro rappresenta una netta minoranza del nostro popolo che vede nel salto dal carro del perdente al carro del vincitore il suo sport nazionale preferito, più popolare perfino del calcio.
I prossimi anni saranno duri. L’egemonia nordamericana è in crisi. La capacità degli USA di dominare la stragrande maggioranza delle aree del mondo si è fortemente incrinata, ma ciò non significa che gli Stati Uniti non rimarranno a lungo una nazione estremamente potente. Questo connubio tra declino e persistenza, comunque, di un grande potere planetario, ha formato via via una miscela estremamente pericolosa, tossica ed esplosiva ad un tempo. I paesi e le aree geopolitiche più passivamente legate al carro a stelle e strisce rischiano di fungere con sempre maggiore frequenza, da parco buoi da cui trarre sangue e sudore necessari alla superpotenza in difficoltà, a mano a mano che altri attori presenti sul palcoscenico mondiale acquisiranno maggiore indipendenza e maggior potere, togliendo sempre più agli americani la possibilità di fare dovunque il comodo loro. E’ questo un processo già in atto da diversi anni, che già ha manifestato un assaggio dei suoi effetti con le devastanti crisi economiche che hanno attraversato diverse parti d’Europa. L’Italia rischia seriamente di essere uno di questi paesi, deboli e pericolosamente troppo connessi e subalterni. Dal mio punto di vista è nella natura delle cose che sorgano, o stiano già sorgendo, forze interne alla nazione portatrici di istanze di maggiore indipendenza. Ritengo più probabile che si formino, o che si stiano formando, almeno in questa fase iniziale, gruppi interni ai vari raggruppamenti di potere politici ed economici, piuttosto che veri e propri agglomerati ben distinti e chiaramente ostili al predominio americano. È ovvio per me che dall’altra parte si cerchi di osteggiare attivamente questo processo in divenire, sia con l’intervento diretto dei nostri dominatori, sia con l’opera servile dei nostri fedeli (appunto) leccapiedi locali che rovesciano senza vergogna l’evidenza per cui non è lo strapotere USA ad essere una minaccia all’indipendenza del paese, ma chi in qualche modo tenta di opporvisi.
Il problema semmai è capire quale sarà nel prossimo futuro l’orientamento dell’insieme del corpo sociale italiano, a mio avviso tutt’ora pervaso, in misura schiacciante, dalla “cultura della fedeltà”, di regola ambigua ed interessata ed assai poco propenso a scelte chiare e definitorie, connesse alla convinzione ed al credere in una causa indipendentemente dalle convenienze e dalle conseguenze soggettive. In altre parole, il popolo italiano, così apparentemente anarchico ed insofferente alle regole, è invece, secondo me, assai poco portato alle responsabilità faticose e spesso assai costose dell’indipendenza e molto più propenso ad un comodo servaggio, meglio se variamente dipinto e mascherato da alleanza col più forte. Una tendenza che più di una volta ci ha sospinti sul fondo del barile e che anche stavolta potrebbe rivelarsi esiziale.
Da qui viene il mio timore ed il mio pessimismo. Da qui viene la mia convinzione di dover combattere fino in fondo e nonostante tutto, la battaglia quotidiana contro il lassismo, l’opportunismo, il fatalismo che avvelenano il nostro modo di vivere da ormai troppo tempo.
Credere – Ragionare – Combattere.

Roma – Ostia 16/12/2017