Lo sbirro e il mercenario

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Massimo D’Alema definisce Minniti uno sbirro o soldatino (è figlio di un militare). A parte che Minniti interpreta solo il personaggio del poliziotto cattivo, con scarsi risultati e poca convinzione, perché il suo partito ha capito che deve “differenziare” gli investimenti ideologici, per non rischiare un crollo elettorale, considerato il clima di insicurezza, legato alla questione immigrazione, montante nel Paese. Ma D’Alema, bombardatore della Serbia, senza alcuna motivazione se non quella di diventare Premier, come deve essere considerato? Un mercenario sanguinario?

Cossiga dichiarò, senza mai essere smentito o citato in tribunale dal leader Maximo che lui ebbe un ruolo determinante nel portare D’Alema a Palazzo Chigi: “….eravamo nel pieno della guerra nel Kosovo e io, in un incontro riservato a casa del senatore valentino Martelli, avevo incontrato una qualificata e preoccupata delegazione diplomatica. C’erano l’ambasciatore britannico Jonh Weston, il suo collega americano all’ONU Bill Richardson e il ministro consigliere e vicecapomissione dell’ambasciata degli Stati Uniti a Roma James Cunnigham. Mi chiesero dell’Italia, di come si sarebbe comportata sul fronte di guerra.

La questione era assai delicata, perché si sarebbe reso necessario bombardare le postazioni serbe di Slobodan Milosevic e gli italiani difficilmente potevano tirarsi indietro. Chi, se non un comunista, avrebbe potuto portare un Paese in guerra tacitando la prevedibile opposizione dei pacifisti e delle organizzazioni sindacali? Chi, seppure con difficoltà, avrebbe potuto vincere le resistenze più che prevedibili di un’opinione pubblica profondamente contraria all’uso delle armi? Pensai: solo D’Alema può farlo, è l’uomo politico che la storia chiedeva all’Italia in quel momento così difficile. Per raggiungere l’obiettivo fondai addirittura un partito, l’UDR, con Clemente Mastella. E il 28 ottobre del 1998 nacque il governo D’Alema).”

In ogni caso, la versione di D’Alema, dell’intervento umanitario in Serbia, causa pulizia etnica contro i kossovari, è stata smentita da un rapporto Osce della fine del 1999 e dal Generale Mini:

“Era falso il massacro di Račak del 1999, che ha fornito il pretesto per la guerra in Kosovo. I quarantacinque corpi di civili trovati morti in un fosso non erano il risultato di un eccidio serbo perpetrato in una notte di tregenda, ma l’esito della raccolta di corpi di ribelli ammazzati nel corso di un mese di combattimenti in un’area molto vasta. Le bande Uck, con la consulenza di agenti segreti stranieri, realizzarono la messinscena raccogliendo i corpi sparsi, cambiando loro i vestiti e togliendo le armi. L’ambasciatore William Walker, l’americano che dirigeva la missione di verifica dell’Osce con l’aiuto di una novantina di mercenari, ex agenti federali o della Cia, avallò la tesi dell’eccidio con la complicità di una patologa finlandese, che non pubblicò mai l’esito degli esami condotti dal suo team. Anni dopo, saranno gli stessi membri del team a fornire i risultati, senza rinunciare però all’ipocrisia: li pubblicheranno come studio su un’ignota rivista di patologia canadese, facendo attenzione a non mettere troppo in risalto il fatto che la tesi dell’eccidio si era rivelata insussistente. Sarà troppo tardi. Il pretesto aveva già fatto precipitare la situazione e ai colloqui di Rambouillet, che dovevano trovare una soluzione pacifica alla crisi kosovara, gli Stati Uniti aggiunsero alla menzogna l’ipocrisia presentandosi con delle proposte semplicemente inaccettabili da parte di qualsiasi paese sovrano. Il nostro ministro degli Esteri, Lamberto Dini, uscito dalla riunione, dichiarò che non si era fatto nulla per la pace ma che si voleva solo la guerra. E così fu”. Gen. Fabio Mini.