La sinistra e i comunisti…di O. Schena

                                                                                       

La sinistra e i comunisti tra buon senso e senso comune,

tra Manzoni e Gramsci

«(…) Sinistra è una parola che non amo, si è usurata» (…) «Comunista.Saremo vintage, ma qui all’ex-Opg ci definiamo così (…)».

Questa è una risposta di Viola Carofalo, portavoce di PAP, in un’intervista all’Espresso del 22/8/18. Ma sarà questa la risposta del«buon senso» o del «senso comune»?

Sergio Cararo, sul giornale comunista online Contropiano del 28/10/18, osserva che Viola Carofalo, «con quel suo dirsi “comunista e non di sinistra, ha (fatto) saltare molti sulla sedia (…)».

S. Cararo potrebbe aver visto giusto, anche se non è stato lì a spiegare, al colto e all’inclita, neppure uno dei possibili perché di quei “salti”, quasi si trattasse di salti evidenti per se medesimi, cioè uno di quei “dati empirici con il carattere di intuitiva evidenza lockiana. S. Cararo ha rivelato se, per caso, sulla sedia non sia saltato anch’egli. Quei saltipotrebbero anche dipendere dal fatto che l’affermazione: «comunista, enon di sinistra» verrebbe a palesarsi, almeno secondo il «senso comune»,come una grossa, grassa bestemmia, una gigantesca contraddizione in termini, perché il male, si sa, è sempre dall’altra parte.

Quali che siano le cause di quei “salti”, quali che siano le ragioni, palesi o misteriose, giuste o sbagliate, che potrebbero avere spinto Viola Carofaloa quell’affermazione, la portavoce di PAP, di sicuro ha avuto coraggio. Per andare contro il «senso comune», infatti, pare ci voglia coraggio, perché il«senso comune» fa paura, parola di Alessandro Manzoni, e  … e pure del P.d.R. Mattarella.

Antonio Gramsci nei Quaderni dedica numerose pagine al sintagma «buon senso», a volte per contrapporlo al sintagma «senso comune», che consiste nel credere che quel che esiste oggi sia sempre esistito, credenza che ha per Gramsci una connotazione prevalentemente negativa, e, in ogni caso, provvisoria.

Ma chi non ha fatto “salti” alle parole di Viola Carofalo sarà comunista o no?

 

Nel Quaderno 8 (XXVIII) § (19) Gramsci annota:

Senso comune. Il Manzoni fa distinzione tra senso comune e buon senso (Cfr. Promessi Sposi, Cap. XXXII sulla peste e sugli untori). Parlando del fatto che c’era pur qualcuno che non credeva agli untori ma non poteva sostenere la sua opinione contro l’opinione volgare diffusa, aggiunge: «Si vede che c’era uno sfogo segreto della verità, una confidenza domestica: il buon senso c’era; ma se ne stava nascosto per paura del senso comune».

Il «buon senso» conteso

Arriva il 19 luglio 2018 e il Presidente Mattarella, durante la cerimonia del Ventaglio al Quirinale, impugna un fatto di cronaca per farsiminaccioso aruspice d’una barbarie ormai dietro l’angolo. E per lanciare,illuminato dal buon senso manzoniano, un severo monito agli italiani (vistianche i risultati del 4/3/2018):

 

«L’Italia non può somigliare a un Far West dove un tale compra un fucile e spara dal balcone (…).Questa è barbarie e deve suscitare indignazione. L’Italia non diventerà, non può diventare preda di quel che con grande efficacia descrive Manzoni nei Promessi sposi a proposito degli untori della peste: ‘il buonsenso c’era ma stava nascosto per paura del senso comune’». (ANSA 26/7/18)

Non è dato sapere se sia stato il fascino del «buon senso», o il timore del«senso comune», a spingere il Presidente Mattarella tra le pagine dei Promessi Sposi. I tre “non messi in fila in poche righe hanno il compito di rifiutare-contestare l’esistenza nella realtà dell’incombente «barbarie», e dicono molto di più d’un semplice scongiuro.

In ogni caso, per vincere l’ansia della tenaglia manzoniana, si può fare una visita a Gramsci:

Il tipo generale si può dire appartenga alla sfera del «senso comune» o «buon senso», perché il suo fine è di modificare l’opinione media di una certa società, criticando, suggerendo, sbeffeggiando, correggendo, svecchiando, e, in definitiva introducendo «nuovi luoghi comuni» (…)

Ogni strato sociale ha il suo «senso comune» e il suo «buon senso», che sono in fondo la concezione della vita dell’uomo più diffusa. (…)

Il senso comune non è qualcosa di irrigidito e di immobile, ma si trasforma continuamente, arricchendosi di nozioni scientifiche e di opinioni filosofiche entrate nel costume. [QUADERNO 24 (XXVII) § (4). (p.2270-71)]

Insomma, i luoghi comuni / il «senso comune», il «buon senso», vanno vengono /ogni tanto si fermano, / sono comeLe nuvole di De Andrè. Non bisogna, però, lasciarsi vincere dall’angoscia, il lavoro del disvelamento dev’essere costante, anche perché tutto si trasforma in continuazione, linguaggio compreso.

L’eco manzoniana nelle vibranti parole del Presidente Mattarella appare un esorcismo simile a quei gargarismi rituali sulla “libertà”, offerti in saldo dalle massime autorità dello Stato, nelle ricorrenze ufficiali, ad un popolo ignaro o smemorato. O potrebbe significare semplicemente: giù le mani dal Manzoni”. Ma qui è forse il caso di fare un processo alle intenzioni? Chi può dire che il riferimento della pubblicità leghista sia al Manzoni, e non invece a Gramsci?

Non si può neppure escludere che il monito presidenziale, con l’invocazione del manzoniano «buon senso», voglia rappresentare la dura risposta all’on. Matteo Salvini per quell’invito agli italiani a votarlo il 4/3/18 – per la Rivoluzione del «buon senso». Sempre Manzoni dunque (o Gramsci?), e ancora il «buon senso», in questo nostro Paese un tempo di “eroi, di santi di poeti, di navigatori”, e ora anche di aspiranti manzoniani in aspra, ma democratica (?) contesa per il «buon senso».

È opinione di molti, e forse fondata, che sia stato proprio il predicatore leghista del «buon senso», peraltro in buona compagnia, a realizzare, con il suo manifesto elettorale 2018, grazie a parole e concetti opportunamente destoricizzati, destrutturati e smemorizzati, la perdita di senso delle notazioni manzoniane sul «buon senso».

La missione della classe politica, intanto, riesce ancora una volta. Ma questo significa forse che il popolo, un giorno dopo l’altro, ha  imparato a vivere nell’insensatezza dove gli sembra di trovarsi a proprio agio, mentre il manzoniano «buon senso» continuerà a restarsene nascosto incurante del monito mattarelliano?

Di certo non dev’essere semplice fare il Presidente d.R. d’un Paese in cui il 1 maggio 1947 la strage di Portella della Ginestra (ovvero della prima Strage di Stato) inaugura la modernizzazione coloniale offerta dai liberatori-vincitori. Ovvero da quegli autentici barbari a stelle e strisce, sempre in giro per il mondo con la “pazza idea missionaria, nell’era postatomica, di esportare le loro miracolose pozioni di democrazia al veleno, umanitario s’intende, nelle  varianti al napalm, all’uranio, all’Orange, al fosforo bianco, eccetera.

Un compito difficile, oggettivamente servile e, dunque, pocoentusiasmante, meno che mai per un Presidente della Repubblica, il qualesi ritrova sotto i piedi un territorio nato e cresciuto in stato di palmareservitù politico-economica, per di più seminato da mezzi e truppe colonizzatrici e da ordigni nucleari, senza neppure la simulazione d’una sia pur pallida procedura parlamentare.

Ed è così che dal sacrificio delle libertà e delle dignità nazionali, sacrificio dopo sacrificio, si è potuto giungere a spacciare per scelta di «buon senso» persino il sacrificio di Aldo Moro, e a trasmutare, senza troppa fatica, un fagotto rattrappito e impiastricciato di sangue in un rassicurante,folgorante sintagma di «buon senso» e insieme di «senso comune», che recita così: «… la repubblica è salva!».

Ai fini di questa trasmutazione risultano fondamentali i suggerimenti, ai confini tra la sciatteria e il cinismo, che, sul caso Moro giungono daivertici politici e istituzionali del Paese: «Non è lui», «inautenticità sostanziale», e poi ancora «Moro per noi è morto» (E. Berlinguer al generale A.F. Cornacchia).

Intanto i media, giorno dopo giorno, divorano la vittima e consumano pure i terroristi. Il cibo buono per i media si sa, anzi il migliore, è il pastocruento.              

I terroristi avranno mai avuto il tempo di leggere un po’ di Marx, un po’ di Gramsci?

 

Caro Francesco (Cossiga)

(…) Soprattutto questa ragione di Stato nel caso mio significa, riprendendo lo spunto accennato innanzi sulla mia attuale condizione, che io mi trovo sotto un dominio pieno ed incontrollato, sottoposto ad un processo popolare che può essere opportunamente graduato, che sono in questo stato avendo tutte le conoscenze e sensibilità che derivano dalla lunga esperienza, con il rischio di essere chiamato o indotto a parlare in maniera che potrebbe essere sgradevole e pericolosa in determinate situazioni. i più affettuosi saluti (firmato) Aldo Moro

Nico Perrone “De Gasperi e l’America” – Sellerio 1995 – (p. 247-48):

(…) Questo dovette fargli mantenere un interesse vitale del paese, resistendo all’offensiva che veniva dagli Stati Uniti. Il problema petrolifero allora poteva apparire di non grande sviluppo, dunque egli si sentì incoraggiato nella sua politica di difesa. In prospettiva esso si rivelerà di primo piano per l’ascesa dell’Italia a potenza economica, e quella difesa attuata da De Gasperi varrà a bilanciare, in parte, una politica che si era sviluppata «sotto un dominio pieno e incontrollato» 79 dell’America.

Nota 79: Questa espressione tremenda matura tre decenni dopo, in un contesto non scevro, forse, di manovre straniere: Moro, [Al ministro dell’interno F. Cossiga (lettera databile tra il 17 e 29.III.1978, durante la prigionia delle BR]

 

Arriva San Silvestro 2018

E qui, forse dimentico del suo stesso monito manzoniano, vuoi per sfiducia nel «buon senso», vuoi per andare incontro, con sagacia, al «senso comune», il Presidente Mattarella infila 7 volte nel suo breve discorso diSan Silvestro la parola «sicurezza». Si vede che il «decreto sicurezza» haproprio lasciato il segno. Un segno tale da guadagnarsi addirittura l’intestazione del discorso presidenziale, un segno nascosto, un po’ come il«buon senso», ma qui da una negazione linguistica:

«Non dobbiamo aver timore dei buoni sentimenti che rendono migliore la nostra società» (www.quirinale.it)

Chissà, però, se basta una firma presidenziale per coprire l’inconfondibile tanfo securitario del «decreto sicurezza» (peraltro in linea con i precedenti storico-politici), e per rendere migliore questa nostra società, che, invece, potrebbe anche soccombere al timore dei buoni sentimenti, come sembra temere lo stesso Presidente di tutti gli italiani nella sua accorata esortazione.

Pare che in giro vi siano fin troppi untori, e troppe pecorelle. E gli “sfoghi segreti della verità si saranno di sicuro intasati e, comunque potrebberoben poco, almeno oggi, contro l’opinione volgare diffusa.

Al Presidente d. R. e al Ministro degli Interni, supposti fedeli discepoli del cattolicissimo e moderatamente conservatore A. Manzoni, l’arduo compito di riuscire a coniugare, tra un Ave Maria e un requiem (“prima gli italiani, però,  ça va sans dire), il «buon senso» con una politicasecuritaria, sulla scia del loro illustre mentore.

In merito ecco due pillole di storia di Sebastiano Timpanaro su fatti di appena 3 secoli addietro, ma pur sempre attuali:

 

In fatto poi di carestie (con conseguente aumento di prezzi dei generi alimentari di prima necessità) e di disoccupazione,  l’“economia classica” aveva come tutti sappiamo, idee chiare: si tratta degli effetti di dolorose ma ineluttabili leggi economiche, e ribellarvisi è non solo condannabile perché sconvolge la gerarchia sociale, ma, prima ancora, stupido, perché sarebbe come ribellarsi a un terremoto o ad un’eruzione vulcanica.  

Il Manzoni, nei famosi capitoli dei Promessi Sposi sulla carestia e sui tumulti popolari, aveva dato a questi principi economico sociali quella più ampia diffusione e forza di persuasione che veniva loro dall’essere inseriti in una grande opera narrativa e fatti oggetto non solo di enunciazione dottrinaria, ma di rappresentazione artistica: aveva definito il rincaro «doloroso» ma «salutevole», aveva ironizzato sull’inefficacia dei calmieri (con ragione, ma con una perentorietà che ne escludeva anche qualsiasi utilizzazione transitoria) e non aveva nemmeno preso in considerazione l’ipotesi del razionamento;aveva, in quei capitoli, dimenticato quasi il suo cristianesimo, per far sua una dura etica borghese, «scientifica», «laica», ma in senso antipopolare.

(daNuovi studi sul nostro Ottocento” – Nistri-Lischi 1995 – p. 79-80)

 

Com’è noto, alle parole d’un Presidente d.R. è garantita la più ampia diffusione mediatica. Forse non saranno una grande opera narrativa, né una rappresentazione artistica, ma la loro forza di persuasione èaccresciuta dall’essere un solenne pronunciamento rituale. Il Presidente d.R. sostiene che l’appuntamento del discorso: «non è un rito formale», formula sin troppo simile al famoso: «non è mia madre» di Freud. All’ampia diffusione del discorso si aggiungono il crisma e il carismapropri della più alta carica dello Stato e “le jeu est terminé.

Il P.d.R. proclama di voler «andare incontro ai problemi con parole di verità» e fa scivolare, in una contiguità da brividi, l’ammissione del «la mancanza di lavoro che si mantiene a livelli intollerabili», insieme alla verità del «l’alto debito pubblico che penalizza lo stato e i cittadini e pone una pesante ipoteca sul futuro dei giovani».

Il Debito Pubblico è un totem. Metterlo in dubbio è un grave peccato. Negarlo è un gravissimo delitto: è «tabù». Esso difende, con una cortinafumogena, re, regine, presidenti, ministri insieme al codazzo di quasi tutti i sacerdoti e dei tanti chierichetti del culto dell’economia.

I totem, ai quali si giura fedeltà per tutta la vita, sono purtroppo tanti.

A tutela delle gerarchie sociali e contro le dissacrazioni totemiche chepossono minarle, anche il pessimismo manzoniano costruisce la sua digaanti estremismo, che s’incurva fin quasi a spezzarsi, come nell’elenco delle cose che Renzo, nota «testa calda», dichiara d’aver imparato dalle sue traversie: «ho imparato a non mettermi nei tumulti», «a non predicare in piazza», «a guardare con chi parlo». Più che una filosofia del «buon senso» queste, però, sembrano tre pillole della filosofia di don Abbondio, che, se alfine risulterà vittoriosa, lo sarà grazie al provvidenziale (!) flagello della peste, per ammissione dello stesso Don Abbondio.  

Ora, mischiare le verità, come fa il P.d.R. Mattarella, quelle secondo l’etimo greco di aleteia, con verità parziali e con verità indimostrabili(cioè di fede nei totem e nelle parole di economisti, più o meno titolati, pochi o tanti), può rivelarsi un’operazione rischiosa, non fosse perché chiascolta può finire col perdere il senso della verità… che, perché no, potrebbe anche essere quello della parabola dei pani e dei pesci raccontata nei Vangeli. Ovvero: se si distribuiscono con giustizia i beni disponibili ce n’è per tutti e nessuno resta senza. Questa sarebbe la “verità”, o almeno, la verità secondo il “miracolo” del Nazareno, che di certo sarebbe condivisa dal Manzoni e dal P.d.R., se non fosse per lo sconvolgimentoche essa provocherebbe nelle gerarchie sociali, la qualcosa non sarebbesemplicemente tumultuosa, ma assai biasimevole e prima ancora stupida,perché sarebbe come ribellarsi a un terremoto.

Ma poi, se davvero la mancanza di lavoro fosse oggi a livelli intollerabili, il Massimo Garante della Costituzione dovrebbe aver già dato fiato alle trombe e chiamato i cittadini alla ribellione, o starebbe per farlo. Perché il lavoro è il primo fondamento della Repubblica, e se questo fondamento crolla, addio Repubblica! Ma qui, in assenza di squilli urbi et orbi e di antifrasi nell’art. 1Cost., si preferisce supporre che il Presidented.R. si sia clamorosamente sbagliato, o abbia scherzosamente esagerato, può capitare anche a un Presidente d. R.. Oppure la capacità di resistenza del popolo italiano è invece in grado di tollerare l’intollerabile e il Presidente lo sa, ma non lo dice.

Resta da brividi, invece, il silenzio nel discorso presidenziale sui dati statistici degli infortuni sul lavoro (Nel 2018 sono stati denunciati 641.241infortuni di cui 1.133 mortali, 104 in più dell’anno precedente, più 10,1%).

Si dirà che le statistiche vanno e vengono, che sono come le nuvole … intanto i morti restano e crescono uno sull’altro, anno dopo anno, esarebbe inutile ribellarsi, e prima ancora stupido, perché quei morti sono come quelli d’una eruzione vulcanica, sono una svergognata fatalità.

Sono fuori dal computo, come sempre, tutti quanti i morti per reati ambientali, che sono proprio tanti, come sono tanti i marinai morti d’amianto sulle navi e i sommergibili della nostra Marina militare. È sicuramente vero che è un peccato sciupare l’euforia di S. Silvestro solo perché alcuni pezzi della nostra classe imprenditoriale risultano non soloesperti in paradisi fiscali e nell’uso-abuso delle banche, ma pure nell’ammazzare almeno tre lavoratori ogni 24 ore, mentre dimostrano di sapere ben poco di strategie d’impresa rispettose delle leggi (ahinoi, c’è la crisi!), mentre tutti se ne sbattono degli artt. 41 e 43 Cost., già disusati, ma ancora fior di conio.

Ricordo che qualcuno ha scritto da qualche parte che è: «compito della storia, una volta scomparso l’al di là della verità, quello di ristabilire la verità dell’al di qua». Se quel qualcuno, stavolta, avesse indovinato, mi sa tanto che dovremmo rassegnarci … o sperare nella Provvidenza, e che stavolta, almeno stia ben attenta a non portarci la peste! Così pure tutti (o quasi) dovremmo ricordare che A. Einstein, il più grande scienziato del XX secolo, ha accumulato una quantità enorme di errori, di predizioni sbagliate, di cambiamenti d’opinione … vorrà pur dire qualcosa o no?

 

Le reazioni del «senso comune»

Adesso, però, è tempo di ritornare da Viola Carofalo, per provare a capire, se possibile, il perché la parola “Sinistra si sia usurata e perché all’ex-Opg, incuranti del “rischio vintage”, abbiano preferito definirsi “comunisti.

Sempre Gramsci affronta la questione del deterioramento d’un termine:

(…) Che certi termini abbiano assunto questo significato deteriore non è avvenuto a caso. Si tratta di una reazione del senso comune contro certe degenerazioni culturali, ecc., ma il «senso comune» è stato a sua volta il filisteizzatore, il mummificatore di una reazione giustificata in uno stato d’animo permanente, in una pigrizia intellettuale altrettanto degenerativa e repulsiva del fenomeno che voleva combattere. [Quaderno 8 (XXVIII) §(28)p.958]

Chi decide di rivisitare le vicende del 1914, del voto SPD a favore dei crediti di guerra (il più grande crimine della socialdemocrazia, che regalerà così al mondo la madre di tutte le guerre), potrà scoprire i corpi franchi (poi Sturmabteilung) assoldati, dal ministro dell’Interno socialdemocratico Gustav Noske, per attaccare gli spartachisti, assassinare Rosa Luxemburg, Karl Liebknecht e centinaia di altri rivoluzionari. Ed allora la degenerazione, la marcescenza della socialdemocrazia europea, il suo tradimento, potrebbero spiegare ben più d’una semplice «usura» della parola “sinistra”.

In quei giorni del 1914, infatti, va in frantumi una pagina fondamentale della storia ottocentesca, la pagina della fratellanza operaia internazionale in nome del socialismo. Con la conseguenza che l’Internazionale socialista si sfascia e i lavoratori socialisti, di ciascun paese, vengono resi nemici dei lavoratori degli altri paesi, secondo le linee di frattura del conflitto politico-militare voluto dalle classi borghesi. Da allora la Sinistra resta vittima della coazione a ripetere il tradimento, ovvero, come scrive G. La Grassa, «la Sinistra è quella cosa che ha sempre tradito» (C&S), o, per dirla alla Gramsci, la sinistra ha finito con l’assorbire in toto la forza degenerativa e repulsiva del fenomeno che voleva combattere.

Senza dimenticare che fino al tradimento dell’Internazionale Socialista del ’14, anche rivoluzionari come Lenin e Rosa Luxemburg si autodefiniscono socialdemocratici.

Per la “Sinistra, dunque, anziché di usura,  sarebbe più sensato parlare di tradimento, un tradimento antico e tuttora in corso, sui temi della guerra e dei diritti sociali. Un tradimento non già per un passaggio da posizionirivoluzionarie a riformiste, ma per scelte repressive (es. la legge Reale) e di aperto, impudente appoggio al capitalismo e alle sue leggi. Come esempio del livello di subordinazione, innanzitutto culturale, ai potenti, al modo di produzione capitalistico e ai suoi dogmi, raggiunto dalla Sinistrain Italia, si consiglia la lettura dell’intervista a Luciano Lama, a cura di Eugenio Scalfari, pubblicata da la Repubblica il 24 gennaio 1978:

«Sì, si tratta proprio di questo: il sindacato propone ai lavoratori una politica di sacrifici. Sacrifici non marginali, ma sostanziali».

Ovvero, per i lavoratori gli anni ’70 saranno stati un tempo d’oro! L’indecenza della Camusso, viene dunque da lontano, ha vecchie e bensalde radici, che fanno bella mostra di sé anche nella CGIL di Landini,con l’esibizione impudica del depotenziamento del Contratto Collettivo Nazionale e la maggiore rilevanza assegnata agli accordi al livello d’impresa. È questo l’ennesimo sfregio, dopo il Jobs Act, ai diritti deilavoratori. Perché, allora, confindustriali e confederali, dopo la passeggiata unitaria del 9 febbraio scorso, non mettono in calendario un’unica organizzazione, con un’unica tessera e con sedi unificate?

E vai a capire se dirsi comunisti, quantunque oggetti di culto, sia oggi una cosa di «buon senso» e quale sia il «senso comune» in merito.

Dovrebbe essere noto come Marx non abbia mai avuto la passione di «mettersi a prescrivere ricette (comtiane?) per l’osteria dell’avvenire», così come i socialismi, cosiddetti reali, siano stati tutto fuorché socialismi (nel senso marxiano). Il travisamento sarà stato tutta colpa delle bandiere rosse, della falce e martello, e del sogno d’un assalto al cielo, che hanno abbuiato la vista e la mente? Sia come sia, oggi, di nostalgici del comunismo, di militanti identitari e creduloni in giro per il mondo, qualcuno per autentica passione, qualcun altro a caccia di poltrone, non pare ne siano rimasti in tanti a dirsi comunisti come Viola Carofalo e quelli dell’ex-Opg.

Ma il problema non sembra tanto quello della nostalgia, quanto piuttosto, per tirar giù la testa dalle nuvole e restare con i piedi ben saldi per terra,quello della mancata elaborazione del lutto per la classe rivoluzionaria mai nata, ovvero per quel lavoratore collettivo cooperativo” (dal dirigente della produzione fino all’ultimo dei semplici esecutori), di cui sino ad oggi non si è vista e non si vede traccia all’orizzonte, ma a cui Marx aveva legato la possibile nascita reale del socialismo. Anche gli scienziati, però,possono sbagliare previsioni.

La “Critica al programma di Gotha” è in buona parte venuta giù per colpa di F. Lassalle. Nella “Critica” Marx delinea due fasi per il passaggio al comunismo ma, nonostante i buoni propositi intorno alle osterie dell’avvenire, il Moro stavolta gioca d’azzardo e sparge, in giro per il mondo, alcune dosi di metafisica consolatoria. Tanto che si può trovare più capacità veritativa nel Manzoni della straordinaria Storia della Colonna Infame” e nella sua visione della “natura umana”, che non nel Marx di “Ognuno secondo le sue capacità; a ognuno secondo i suoi bisogni!” .

Manzoni sembra descrivere in quella Storia, forse per puro caso, ma con buona approssimazione, fatti e misfatti a venire dei Paesi del  socialismo reale e non solo:

«Ci par di vedere la natura umana spinta invincibilmente al male da cagioni indipendenti dal suo arbitrio, e come legata in un sogno perverso e affannoso, da cui non ha mezzo di riscotersi, di cui non può nemmeno accorgersi. Ci pare irragionevole l’indegnazione che nasce in noi spontanea contro gli autori di que’ fatti, e che pur nello stesso tempo ci par nobile e santa: rimane l’orrore, e scompare la colpa; e, cercando un colpevole contro cui sdegnarsi a ragione, il pensiero si trova con raccapriccio condotto a esitare tra due bestemmie, che son due deliri: negar la Provvidenza, o, accusarla.» (A. Manzoni – “Storia della Colonna Infame” – Feltrinelli 2011 p.7)

Manzoni non è tormentato soltanto dal pozzo nero dell’universo umano, ma anche da unimprovvida Provvidenza che lo spinge sull’orlo dell’eresia.

Avesse infilato un “nonprima di “son due deliri”, quella sua osservazione sulla natura umana l’avrebbe sottoscritta persino Paul Thiry d’Holbach, che mai si stancò di «contrapporre le idee naturali alle idee soprannaturali»  (“il buon sensoGarzanti). Ma d’Holbach l’ha letto Leopardi e non Manzoni, e si vede!

Il socialismo reale è stato un sogno affannoso e perverso, talvolta addirittura un incubo con una scissione totale tra l’essere e il fare. Un incubo dal quale molti comunisti non sono riusciti a riscuotersi, mentre altri non se ne sono neppure accorti.

Di certo se ne saranno accorti Guido Picelli, Emilio  Guarnaschelli, Camillo Berneri, S. M. Ėjzenštejn, e Osip Ėmil’evič Mandel’štam, Albert Camus eccetera.

Domenico Losurdo in “Marx e il bilancio storico del Novecento p. 189 – 2009 Diotima, la mette giù così:

«La rivoluzione d’Ottobre, se per un verso è una pagina grande dell’efficacia antitotalitaria svolta dalla teoria di Marx, per un altro verso ha aperto un nuovo capitolo della storia del totalitarismo»

 

Il sogno di una cosa

È il 26 gennaio del 1962 e Pasolini resta folgorato dalla citazione di Fortini: “Il sogno di una cosa”, tanto da chiedergli la pagina di Marx da cui è stata tratta.:

« () Si vedrà allora che da tempo il mondo possiede [nel senso di custodisce, ha in sé] il sogno di una cosa, del quale gli manca solo di possedere la coscienza, per possederla veramente».

(dalla terza lettera da Kreuznach di Marx a Ruge settembre del 1843. La frase diventerà il titolo del romanzo di Pasolini Il sogno di una cosa”.)

Dopo Marx e dopo Lenin, il pensiero di alcuni comunisti sul socialismo reale, «cercando un colpevole contro cui sdegnarsi a ragione, si è trovato, con raccapriccio condotto a esitare tra due bestemmie che sono due deliri», bestemmie e deliri secondo la dottrina ossificatasi religiosamente nei diversi partiti comunisti: negare il comunismo, o, accusarlo.

E tra la negazione e l’accusa il grande mare della confusione. C’è stato chi, per non negare la possibilità del comunismo, ha pensato di sognare.

Ad Ernest Bloch (come al giovane Marx) son sempre piaciuti i sogni, i sogni ad occhi aperti, i sogni possibili, e quindi non i sogni mandati da dio, o dal demonio, né quelli mandati dal mal di stomaco (S. Agostino):

 

« (…) L’oggettivamente possibile, a cui il sogno deve attenersi se vuol servire a qualcosa, trattiene in maniera preordinata anch’esso. Il sogno ad occhi aperti d’una vita piena, sogno oggettivamente mediato e proprio perciò non rinunciatario, supera la sua propensione all’autoinganno né più né meno che la mancanza di sogni.

Quest’ultima, legata ad un tenersi a se stessi o ad un realismo, che sembra ancora non essere altro che rassegnazione, è senz’altro la condizione preponderante di molti uomini che pensano, sì, ma poco conoscono, in una società povera di prospettive (e ricca d’imprecisione). Tutti costoro hanno una certa avversione per l’andare in avanti, e per il guardare in avanti, anche se in misure diverse e con diverse intensità di timore». (E. BlochK. Marx” – p. 50Ed. Punto Rosso)

Intanto, per tornare all’oggi, avanzi di comunisti, da tempo sull’orlo del disfacimento totale, si vanno preparando per le elezioni europee e sognanosogni, non si sa bene se mandati da dio o dal demonio, nei quali i comunisti tornano a sedersi sulle lucrose poltrone delle istituzioni europee.Per questo motivo pare si raccoglieranno sotto le insegne del prodecondottiero Luigi De Magistris, un bacia teche al pari di Di Maio, che non ha però in programma affinità elettive con i comunisti. Una notizia, insomma, che dovrebbe far saltare sulla sedia tutti quanti i comunisti rimasti!

                 

È pur vero che Ernest Bloch ha scritto che non bisogna nutrirsi di sola speranza, che bisogna anche trovare in essa qualcosa da cucinare, che l’utopia concreta sta all’orizzonte di ogni realtà, e che la sua utopia «non èfuga nell’irreale, ma scavo per la messa in luce delle possibilità oggettive insite nel reale e lotta per la loro realizzazione».

Saprà, dunque, la coppia De Magistris + San Gennaro rappresentare la blochiana utopia concreta «per andare in avanti» e «guardare in avanti»?Ma sì, forse la liquefazione del sangue sarà un po’ troppo oltre l’orizzonte della realtà, ma sotto la loro guida i comunisti riusciranno di nuovo a trovare qualcosa da cucinare: “primum vivere.  

Con queste notizie del «buon senso» finito in cucina può succedere di andare a letto e di sognare un grande cartello, proprio come quei “VIETATO FUMARE” nelle sale d’aspetto delle stazioni ferroviarie, solo che qui c’è scritto: “SI PREGA DI CHIUDERE GLI OCCHI (Freud). Chiuderli solo per il tempo necessario a non vedere, nella vigilia elettoraledel maggio 2019, un macabro bacio al sangue. Di certo questo sogno non è un desiderio, ma è interpretabile. Sarà il sogno del «buon senso» che vorrebbe liquefare fanatismi e superstizioni e, gramscianamente, provare a diventare «senso comune»? O sarà, invece,  soltanto il sogno di uno che credeva di essere comunista, e forse era qualcos’altro? (Qualcuno era comunista – Gaber – Luporini)

https://www.youtube.com/watch?v=G24bmNtcoVU

CLAUDIO LOLLI “Quello lì (Compagno Gramsci)”

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