VOGLIONO SGOMBERARE L’ITALIA

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C’è uno sgombero di clandestini da effettuare con più urgenza di quello recentemente avvenuto contro eritrei e somali nella Capitale. Parliamo sempre di Palazzi Romani ma questa volta con le maiuscole. Gli abusivi di Governo e Parlamento intendono svendere ulteriore patrimonio pubblico attraverso la creazione di una holding, con in pancia molte partecipazioni statali da mettere definitivamente all’asta. Le imprese da piazzare sul mercato, ricorrendo ai servigi della solita Goldman Sachs, sono Eni e Finmeccanica ma anche altre minori. Questi usurpatori vogliono liquidare l’intera nazione per far tornare i loro conti, per continuare nelle loro politiche anti-italiane che contemplano sperpero di denari dei contribuenti a favore di inesistenti minoranze vessate e rendite ingiustificate a vantaggio della loro corporazione putrefatta. Carabinieri, polizia, corpi speciali e servizi segreti dovrebbero spezzare le braccia a tali rapinatori di futuro che stanno riducendo l’Italia ad un outlet per potenze straniere. Questi traditori della patria devono essere allontanati prima di tutti gli altri. Ribadiamo un concetto per noi fondamentale. Non è che il pubblico sia necessariamente meglio del privato (o viceversa, secondo la dottrina liberale), il nostro discorso non è ideologico e non è relativo alla forma giuridica della proprietà. Come scrive La Grassa nel saggio “La distinzione tra pubblico e privato è ormai vetusta” (nel testo L’illusione perduta): “Le imprese – questi organismi cui è affidata la produzione di “beni” e “servizi” – vengono, siano pubbliche o private, gestite e controllate da gruppi di individui, i manager, che devono dirigere i processi produttivi secondo un’organizzazione e coordinamento di gruppi di lavoro, più o meno numerosi, differenziati in varie mansioni di più o meno alta qualifica, cui corrispondono retribuzioni più o meno elevate”. Sono dunque le circostanze storiche e le scelte strategiche a determinare l’ opzione più adeguata al raggiungimento dello scopo. Ancora La Grassa: “E’ del tutto evidente che in società in fase di secolare tendenziale arricchimento complessivo – pur tra altalenanti fasi del ciclo; mai considerato nemmeno esso nella sua natura sociale, ma solo con gli schemini economici di volgari tecnici della sfera produttiva e finanziaria – viene costantemente sfumando la distinzione tra una natura necessariamente pubblica ed una di possibile privatizzazione della produzione delle varie cose, di cui la società va alimentandosi nella sua evoluzione storica. Lo statalismo, cioè l’intendimento di produrre beni e servizi tramite la forma pubblica, resterà alla fine appannaggio di gruppi che combattono le battaglie di temporaneo aggiustamento nelle fasi di crisi e di difficoltà crescenti per vasti gruppi di cittadini. Tali battaglie sono però spesso apertamente reazionarie in quanto necessarie a certi gruppi subdominanti per mascherare la loro subalternità a quelli predominanti stranieri, ingannando quote rilevanti della popolazione con i discorsi di beneficenza per i deboli e diseredati. Lo statalismo è poi in molti casi utile a formare gruppi sociali di sostegno per tali subdominanti; gruppi formati non tanto dai “cittadini” fruitori della spesa pubblica (in particolare di quella effettuata dallo Stato detto sociale, di solito utile e necessaria) quanto invece da quelli impiegati per erogarla, che vengono assunti con metodi del tutto avulsi dalla valutazione sia dell’efficienza mostrata in questa “produzione di servizi pubblici” sia dell’effettiva utilità di quest’ultima.

Il “pubblico” diventa allora un ostacolo allo sviluppo produttivo (innovativo) a vantaggio dei subdominanti (asserviti a dei predominanti “esterni”), i quali sono difesi, nel loro parassitismo, dalla costituzione di strati sociali situati in una sfera separata ed estranea a quella produzione, che viene effettuata secondo metodi e criteri di efficienza”. Ed è proprio la triste descrizione del Belpaese.

Il difetto sta, dunque, nel manico. Il parassitismo dei gruppi dirigenti statali ed economici nazionali (pubblici e privati) è conseguenza diretta della subordinazione italiana all’area di dominazione statunitense, di cui la Penisola è periferia percossa e vituperata. Finché queste catene non saranno spezzate il Paese non potrà risollevarsi, potrà soltanto mettersi in saldo dilapidando le fortune accumulate in fasi precedenti, fino al completo fallimento. Se non spezzeremo gli arti ai farabutti che ci (s)governano sarà l’Italia a spappolarsi. Gli italiani rischiano di venire sgomberati dalla faccia della terra.