BASTA CON IL TERRORISMO DEL DEBITO (8 agosto 11)

 

1. Ammettiamo, ma non concediamo proprio per nulla, che la nostra principale palla al piede sia il debito pubblico. Noi, secondo questa impostazione, non possiamo far nulla senza prima abbassarlo e arrivare pure al pareggio di bilancio. Ovviamente contraddicendo – e in questa diatriba non voglio entrare, la riporto soltanto – alcuni decenni di predominanza (in tutti i luoghi, sia accademici sia con riguardo alle concrete politiche economiche) del keynesismo, che spiegava i vantaggi del deficit di bilancio nei paesi dell’opulenza capitalistica, afferrati dall’eccesso di produzione (e di risparmio) rispetto ai vantaggi della spesa (della domanda); per cui non essendo in grado quella privata, dati i meccanismi del sistema capitalistico lasciato alla sua spontaneità “di mercato” (la “mano invisibile”), di assicurare la piena occupazione dei fattori (in particolare del lavoro, cioè della forza lavoro), essa doveva venire sostituita da quella statale. Finita allora la lezione della “Favola delle api” (Mandeville), in cui le virtù private (come il risparmio è considerato dai liberali “puri”) sono vizi pubblici e viceversa. Adesso si deve tornare alla parità di bilancio, anzi si intende farne un principio costituzionale. Tutto questo in due anni, per il 2013.

Bene, si dice qualcosa di come si è formato questo debito pubblico? Nulla di nulla. Eppure, i fattori del suo aumento dovrebbero essere posti in primo piano perché, se non rimossi, continuerebbero ad operare. Per mantenere il pareggio di bilancio, non si farebbe altro che entrare in un circolo vizioso, assestando periodiche legnate alla popolazione inutilmente salassata mentre altri ingrasserebbero senza sosta su quei fattori. Ma nemmeno questo “ingrasso” è cruciale, bensì l’indebolimento del paese e il suo diventare una succursale di centri decisionali posti al di fuori d’esso; le mignatte permangono esclusivamente perché funzionali a tali centri di potere e ai loro prolungamenti (quinte colonne) al nostro interno.

Il debito pubblico ha conosciuto la sua maggiore e decisiva impennata nel decennio ’80. Dopo, più semplicemente, ha continuato ad aumentare poiché, malgrado le chiacchiere di improvvisati liberisti, tutto si è fatto salvo che eliminarne le cause, sociali e politiche più che economiche. Fra le prime, decisivo è stato il processo iniziato nel decennio ’70. Nel mentre il principale partito di opposizione, il Pci, iniziava la sua espansione elettorale – frutto della sua influenza nella società in sempre più netta trasformazione verso lo stadio “alto-industriale” di tipo pienamente capitalistico, con una certa difficoltà per il paternalismo cattolico-democristiano di seguire adeguatamente questa trasformazione, semmai appoggiata, però con forti limiti anticomunisti, dal nuovo Psi di Craxi (che prese la segreteria del partito nel 1976) – venne bloccato il processo di aperta socialdemocratizzazione dei piciisti, condotto dai “miglioristi” amendoliani i quali tentavano il collegamento con la socialdemocrazia tedesca timidamente lanciata verso l’ostpolitik.

Il tentativo, tuttavia non attuato con idee veramente chiare, sembrava quello di formare un polo capitalistico, con margini più ampi di autonomia rispetto al centro del capitalismo “occidentale”, rappresentato dagli Usa dalla fine della seconda guerra mondiale. Un simile processo di blanda autonomia sembrava facilitato dalla presenza del “nemico”, presunto antagonista radicale del capitalismo (il campo detto impropriamente “socialista”), in cui si era già prodotta la grave rottura tra chi ormai si avviava verso una formazione sociale di tipo ibrido e poco produttiva (Pcus e maggioranza dei partiti comunisti) e chi aveva sperato di invertire la tendenza e tornare alla “costruzione del socialismo” in modo nuovo (Pc cinese, maoismo, minoranze “radicali” in occidente, ecc.).

Nel decennio ’70, cruciale per capire quanto accaduto poi in Italia (e fino ad ora), si svilupparono processi che non sono certo in grado di affrontare, in specie in un breve scritto. In ogni caso, gli Usa, grazie a molteplici politiche (non tutte coerenti, ma alla fine paganti), bloccarono la socialdemocrazia tedesca e la sua politica a est; e uno degli elementi del successo, non il primario ma neppure irrilevante, fu l’essere riusciti a provocare in Italia la sconfitta dell’ala socialdemocratica del Pci. In questo successo credo abbia avuto una sua funzione, dopo la metà di quel decennio, la miopia di Craxi, anticomunista troppo preconcetto e soprattutto preoccupato della concorrenza dei socialdemocratici (amendoliani) in quel partito. Ovviamente, si tratta di processi tutti da studiare, compreso il sedicente “terrorismo”, che ebbe molte sfumature pasticciate, ma che nel suo filone principale penso fosse alimentato dall’opposizione agli slittamenti filo-atlantici del Pci (non ascrivibili ai “miglioristi”), appoggiata da importanti settori politici nell’est europeo e forse nella stessa Urss (per quanto questa puntava probabilmente di più sull’ala filosovietica del Pci, da non confondere tout court con quella “migliorista”, pur se ne faceva parte).

In ogni caso, si verificò quello che, senza dubbio per semplificare, chiamo il “tradimento” dell’ala piciista vincente con l’avvento della segreteria Berlinguer (1972), coadiuvata pure dagli ambigui settori detti “radicali” (ingraiani e dintorni), collegati al movimento del ‘68 dimostratosi infine negativo in tutto il mondo e specialmente in Italia, dove si verificarono code d’esso sempre più degenerate, utili per spaventare la popolazione e farle accettare quel connubio “indecente”, che condusse alla “concertazione” e al “compromesso storico”, da cui prese avvio il primo vero spostamento dell’intero paese (privo di opposizione a tal proposito) verso l’occidente capitalistico senza nemmeno più le velleità autonomistiche legate all’ostpolitik. In questo spostamento, furono cruciali due settori politici estremamente corrotti e degradati.

Innanzitutto i finti maoisti della “sinistra comunista”, che partirono dall’accettazione delle tesi prevalenti in Cina secondo cui il “socialimperialismo” (l’Urss) era il nemico principale. Ben lungi, però, dal prendere coscienza di quanto poteva esserci di utile nella polemica maoista contro il “revisionismo” sovietico (diciamo, per semplificare, seguendo l’impostazione di Ciu-en-lai e non quella di Lin Piao), tali settori “comunisti” degenerati presero sempre posizione a favore di tutti gli antisovietici, ma nel contempo filo-atlantici. Essi appoggiarono infatti il movimento cecoslovacco di Dubcek (che guardava in tutta evidenza a ovest!) e più tardi, ancor peggio, quello polacco legato a Solidarnosc, di un anticomunismo viscerale, rozzo, sanfedista. Mentre si produceva questa putrefazione politica “sulla sinistra”, a “destra” il n. 2 degli amendoliani, l’attuale presdelarep, diveniva “inviato occulto” del Pci negli Usa; si vedano le dichiarazioni di Gardner, Ambasciatore americano a Roma in quegli anni (1978, anno dell’oscura vicenda Moro), rese più tardi (se non erro nel 2005).

Berlinguer accennò pubblicamente perfino all’accettazione della Nato, ma poi tutto fu “ringoiato” e rinviato a più tardi, a quando venne il crollo del “socialismo” e soprattutto dell’Urss (già però il processo aveva preso un certo aire con l’avvento di Gorbaciov nel 1985). Il movimento detto “operaio” – di cui l’immaginario di “sinistra” aveva fantasticato la saldatura con quello studentesco del ’68 – fu condotto a sconfitta in pratica definitiva nel 1980 alla Fiat e, da allora, non si risollevò più in senso effettivo, nel mentre i “meravigliosi ultrarivoluzionari”, che inneggiavano agli “operai”, divennero entusiasti di fronte alle novità Fiat (“qualità totale”) negli anni ’80, in cui si consumò pure l’unico tentativo veramente industriale in questa azienda – permanentemente a capo dei “poteri forti” schierati con gli Usa – effettuato da Ghidella, battuto dal finanziere Romiti.

 

2. Ho dovuto essere molto sintetico. In ogni caso, il debito pubblicò è figlio della concertazione e del compromesso storico, che condussero al gonfiamento abnorme di un ceto sociale (“piccolo-borghese” come si diceva allora), quello che indico come ceto medio semicolto, abbarbicato ai settori improduttivi. E ricordo ancora una volta che non si tratta di ceti del lavoro (salariato) inutile. La loro negatività consiste nella loro crescita mostruosa, ben oltre ogni e qualsiasi utilità, perché dovuta solo all’esigenza di soddisfare i “rinnegati del piciismo”, senza ledere gli interessi dei democristiani, e mantenendo sempre l’alleanza con i socialisti, anch’essi divenuti assai maneggioni in cerca di clientele (del resto, perché rimanere indietro nella “mangiatoia” rispetto a dei “parvenus” da poco passati dal filosovietismo all’ancora mascherato tradimento filoatlantico? Craxi vantava una più coerente militanza filo-occidentale, si sentiva quindi rabbioso di fronte ai duetti tra Dc e Pci). Ancor più che all’assistenzialismo, il gonfiamento di questi ceti medi (e medio-bassi) fu dovuto appunto al pieno spirito clientelare; del resto alimentato dalle classi dette impropriamente industriali, che in tale clientelismo legato a compromessi con il Pci – e adeguato, in particolare dopo la ricercata sconfitta alla Fiat, ad una relativa “pace sociale” – avevano un loro ben pingue interesse.

Apportiamo qualche precisazione: più che di “pace sociale”, si trattava di una lotta “operaia” (etichetta falsa perché sempre più presero il sopravvento i settori dell’impiego pubblico) combattuta ovviamente, dati i ceti sociali improduttivi di riferimento (elettorale), senza alcuna strategia alternativa di sviluppo, solo per mera esigenza di mantenimento in vita delle burocrazie sindacali, apparati di Stato ormai essenziali al nuovo spirito di compromesso tra le sedicenti “parti sociali”, dizione vergognosa e infame menzogna per designare alcuni vertici composti da cialtroni e manigoldi mantenuti mediante i salassi apportati alla maggioranza della popolazione. Resta il fatto che tale processo, appunto basato sul più scriteriato clientelismo (e un pizzico di assistenzialismo), permise a imprenditori inetti, autentici parassiti (o saprofiti, come si preferisce), di ottenere sussidi statali, di cassa integrazione, ecc.

Non scordiamoci che, per molti anni, la Fiat visse di perdite industriali compensate dagli interessi sui titoli del debito pubblico (interessi altissimi per un debito in crescita esponenziale grazie a quel “compromesso storico”, ecc.). E dopo la “qualità totale”, chiusasi con un’ulteriore stagione di perdite (e la suddetta sconfitta dell’industriale Ghidella), si verificò il “benefico” crollo del socialismo, consentendo così un “colpo di Stato” giudiziario effettuato per assegnare il governo ai rinnegati delle due bandiere (Pci in primis, e poi Dc). In quel frangente, la Fiat fu a capo, come sempre d’altronde, di tutti i felloni della Confindustria al seguito degli ambienti statunitensi: in specie di quelli che nel ’92 si esprimevano in Clinton, veri propulsori di “mani pulite” e di assoggettamento dell’Italia tramite gli ex piciisti, con cui i rapporti erano buoni dopo il noto viaggio del 1978. Mi riferisco evidentemente a quei felloni che sempre rinverdiscono in Italia, anche oggi, il tradimento dei Savoia e dei badogliani l’8 settembre 1943.

Si presentò però sulla scena quell’accidente storico rappresentato da Berlusconi – in gran parte provocato dalla limitatezza di due mediocrità quali erano Agnelli e De Benedetti, ben seguiti da tutti gli altri mungitori dello Stato della concertazione e del compromesso storico, gente che voleva distruggere il suddetto e sottrargli la profittevole impresa mediatica messa in piedi – al quale probabilmente si accodarono alcuni settori manageriali dell’industria “pubblica”, che opposero una qualche resistenza (a conti fatti troppo debole) al totale smantellamento dei nostri settori economici strategici. Perché conta tale loro carattere strategico, non quello d’essere “pubblici”. Così come oggi, sia chiaro una volta per tutte, non è da fare can can contro la nuova ondata propagandistica in favore di intense liberalizzazioni.

Si deve dire alto e forte che vi è l’intenzione di abbattere alcuni possibili “paletti di resistenza” alla completa liquidazione della nostra già vacillante autonomia, rendendoci sempre più protettorato statunitense (in particolare degli ambienti di nuovo in auge con Obama). Il plenipotenziario (governatore) di questo protettorato non è certo Berlusconi. Questo il disegno dei liberalizzatori. Chi ancora – da puro falsario, come lo sono certi “comunisti”, oggi pienamente in appoggio alla “sinistra del tradimento” e all’egemonismo degli Usa obamiani, che hanno provocato le rivolte sedicenti popolari arabe – si erge a difensore del pubblico contro il privato, nasconde il reale problema della strategicità di certe aziende; così facendo, poiché il pubblico mostra la corda e la sua inefficienza e improduttività balzano in evidenza dappertutto, si facilita in realtà l’annientamento dei suddetti “paletti di resistenza”.

Adesso non ripeto le vicende degli ultimi vent’anni, in cui all’accidente storico fu sempre opposta un’inesistente sinistra, giacché quella vera è la socialdemocrazia, che avremmo forse avuto se avessero prevalso nel Pci i settori amendoliani. La sedicente sinistra del dopo “mani pulite” è stata sempre non a caso guidata da personaggi reazionari e ottusamente anticomunisti del tipo di Amato, Ciampi, Prodi; o da personaggi orridi (che non definisco per non incorrere in querele) quali D’Alema o Visco, ecc. Quello che volevo segnalare con questa succinta storia della politica italiana è che il debito pubblico ha cause socio-politiche di lunga data, che non sono minimamente tolte di mezzo oggi. Berlusconi ha cianciato di liberismo; ma lo ha fatto come tutti i reali liberisti odierni, che sono solo chiacchieroni in base a “principi”.

L’Italia è rimasta con un enorme ceto medio (semicolto) di parassiti che hanno invaso il settore dell’impiego pubblico o finanziato dai pingui finanziamenti del pubblico, alimentati dal debito in vertiginosa ascesa. Parassiti non perché inutili o fannulloni, queste false denunce dei liberisti (in mala fede oppure proprio fasulli? Poco importa); semplicemente perché sono un ennuplo di quelli necessari e quindi utili, assunti in base a mere spartizioni politiche del ben noto “compromesso” degli anni ‘70. A quell’epoca fu soprattutto spartizione fra Dc e Pci; dopo il “colpo di Stato” giudiziario, fra i loro successori. Chi ha ciarlato di politiche dure e finalmente improntate al produttivismo, non ha fatto alla fine nulla, perché i settori industrial-finanziari felloni, appoggiandosi agli Usa (e, più o meno, nel loro complesso: clinton-obamiani come bushiani), hanno continuato a predominare nel paese. Essi non vogliono mettere termine alla concertazione tra “parti sociali”. Avete visto come l’hanno ripresa in pieno, ormai perfino seguiti dalla Cgil che fingeva qualche ritrosia? Non si può mettere termine alla concertazione perché finirebbero pure i sussidi a questi parassiti industriali e finanziari, i soliti “cotonieri” legati allo straniero (come quelli del sud degli Usa all’Inghilterra un secolo e mezzo fa). Anzi per questi parassiti i sussidi statali italiani servono da mancia. E’ il legame con gli Usa che porta loro grossi vantaggi a detrimento di un paese reso vassallo.

La destra, quella che finge di essere colta, ha alzato lamenti perché in Italia non si è mai formata una vera socialdemocrazia, una vera opposizione di “sinistra”. O sono deficienti o sono imbroglioni (alcuni sono questo, altri quello). La socialdemocrazia esigeva un vero paese capitalistico con in prevalenza settori produttivi. In Italia – per processi storici particolari, di cui detto in altri scritti – i veri settori, che hanno rappresentato la cosiddetta “spina dorsale” del nostro sistema economico, sono quelli detti “medi produttivi”: piccola imprenditoria, lavoro “autonomo”. Sono però in sé estremamente deboli perché individualisti, incapaci di visione di largo respiro, con associazioni di categoria forse peggiori, e più truffaldine nei loro vertici burocratici, di quelle sindacali dei salariati. E’ ovvio che ci voleva una rappresentanza politica forte. Non certo la Lega, tanto “colore locale” e inverecondi riti celtici o non so cosa. Un’autentica forza politica avrebbe dovuto collegarsi strettamente – non per interessi occasionali com’è accaduto con Berlusconi, semplice risposta improvvisata ai processi del ’92-’93 (risposta “autoimmunitaria” di un organismo ammalato dall’infezione dei felloni già più volte nominati) – ai nostri settori produttivi strategici che, per ragioni storiche particolari e di cui non si poteva non tenere conto, erano pubblici.

Anche qui devo correre. Dico solo che, a mio parere, nemmeno i settori amendoliani del Pci – neppure se fosse stato possibile attenuare il dissidio, anche “concorrenziale”, con il Psi craxiano – sarebbero stati in grado di rappresentare veramente questo ceto medio produttivo e, soprattutto, di legarlo all’industria strategica con l’appoggio del lavoro salariato (in specie di medio e basso livello), in modo da costituire quello che si chiama “blocco sociale”. Troppo del movimento detto “operaio” (formatosi con l’emigrazione dal sud al nord) risentiva di una fase di passaggio dall’agricoltura all’industria, fase storica di radicalismo di chi è strappato alla campagna e irreggimentato nell’urbanesimo; spirito ribelle preso dai comunisti per quello rivoluzionario della Classe (Demiurgo della Storia), mentre invece sempre ripete lotte di retroguardia, che frenano certi passaggi storico-sociali, alla fine dimostratisi ineluttabili con sconfitta dei “movimenti estremi”.

 

3. In questa fase, per di più, si produsse quel movimento studentesco, alla fine capace solo di modernizzazione del costume (lasciando perdere le punte ridicole, ben rappresentate in film come Easy rider o Zabriskie point e altri) e che – ancora una volta inserendosi in un paese come l’Italia, sempre in arretrato di una fase storica rispetto agli altri capitalismi avanzati – ha prodotto ulteriori guasti, uccidendo comunque quelle piccole fiammelle socialdemocratiche (Craxi-Amendola) e facendo vincere i falsi moralisti berlingueriani uniti ai sinistri radicali, alimentati dalla crescita dei ceti medi non produttivi legata al compromesso storico, ecc. Di quest’ultimo si falsa il significato se non lo si collega al tradimento piciista in funzione filo-atlantica, ben appoggiato dagli ambienti statunitensi già considerati e che infine decisero, una volta eliminato ogni pericolo connesso alla presenza dell’Urss (e di frange filo-sovietiche nel Pci), di eleggere questi rinnegati a loro rappresentanti in Italia, in quanto però vendutisi anche – dopo le “prove generali” della sconfitta alla Fiat nell’80, dell’innamoramento per questa azienda che recitò la “qualità totale” e rinsaldò la sua predominanza nella Confindustria, ecc. – ai felloni “cotonieri”.

Questo il movimento sociale, e non meramente economico, che ha dato impulso irresistibile alla crescita del debito pubblico, e ha favorito lo sviluppo delle forze politiche ad esso adeguato, con la loro base elettorale nel ceto medio semicolto degli inutili; inutili perché in abnorme espansione. E ovviamente, arrivati alla situazione attuale – innanzitutto internazionale, che ci piomba però sulla testa in condizioni socialmente così sfavorevoli al nostro interno – in tali ceti non produttivi si moltiplicano i posticini precari, quindi l’insicurezza, dunque la paura e l’aggrapparsi inconsulto e rabbioso allo statu quo. Un ceto ormai enorme si agita, crea disordine, alimenta la potenzialità della sovversione; il tutto per mantenere posizioni improduttive che accresceranno sempre il debito pubblico. Oltre, ovviamente, ad essere la base sociale del fenomeno più negativo: la trasformazione del paese in protettorato degli Usa della nuova strategia (e anche di quei paesi europei, tipo Germania, cui questi ambienti statunitensi vorrebbero affidare il ruolo di subpotenza regionale, assicurandosi la totale rottura di ogni velleità di alleanze verso est).

Ecco, fra l’altro, il senso della legnata che si vuol assestare alla Libia. Comunque vadano ormai le cose – perfino se poi si troverà un qualche compromesso con Gheddafi – è stato spezzato il possibile “asse” in formazione tra Russia (di Putin, non di Medvedev), Italia (di Berlusconi, non di Napolitano & C., non a caso il principale fautore della guerra alla Libia) e Libia stessa. Sembrava potesse collegarsi perfino la Turchia; adesso anche questo legame è stato spezzato. Si capisca infine chi appoggiano i felloni nostrani; e si capisca il ruolo delle schegge impazzite che fanno ancora finta di essere comunisti, quelli della “lotta di classe”, tramutata in lotta di “masse”, in cui si appoggiano quelle vandeane, schifosamente alleate dei sicari degli Usa obamiani.

Allora cosa ci si inventa pur di non toccare questi sciamannati, credendo così di tacitarli, mentre crescerà ancora la loro insicurezza e rabbia sempre più irrazionali? Si comincia intanto dai tagli alle spese sociali. Sia chiaro, non sono contrario all’aumento dell’età pensionabile, mi sembra abbastanza ineluttabile se contenuta entro limiti non demenziali da “Villa Arzilla”. Tuttavia, non è questo il nodo del problema. E’ stato detto mille volte che la maggior quota (ma non maggiore di poco) della spesa per pensioni e sanità è costituita da quella per il personale addetto a tali servizi, mentre invece scade sempre più la loro qualità e la necessaria congruità anche quantitativa della loro erogazione. E tuttavia si pensa di peggiorare tali prestazioni pur di non toccare il personale; per pure ragioni elettoralistiche e per paura di disordini sociali. Questo il fallimento politico dell’Italia. L’opposizione gioca con il fuoco del disordine e dissesto del paese perché il suo elettorato si situa per ampia parte in questi ceti sociali non produttivi e inutili (nel senso già chiarito!) e dunque rabbiosi e ormai privi di qualsiasi senso di responsabilità nazionale (ecco perché si buttano sul moralismo, compreso quello sessuale). La sedicente maggioranza scontenta sempre più la sua potenziale base sociale (i ceti produttivi, la “spina dorsale” dell’economia italiana) perché non è in grado di controllare e usare con fermezza anche assai dura gli apparati di Stato preposti all’ordine e alla riproduzione sociale. Un fallimento generale e irrimediabile.

Sembra adesso in scacco (definitivamente? Indecidibile al momento) la vecchia strategia statunitense proiettata più verso l’est-Asia, mentre è in svolgimento quella nuova tesa soprattutto a rinsaldare la presa sull’Europa (l’Africa è solo una base di partenza) in funzione anti-russa, poiché si segue l’impostazione (Brzezinsky) che pensa tale paese, più che la Cina, come antagonista principale nel medio periodo. Tale mutamento ha legato le mani al nostro premier, privo di qualsiasi margine di manovra. E’ finita la sedicente amicizia con Putin (che dipendeva in realtà dall’alleanza Gazprom-Eni), con Gheddafi la rottura non sembra più rimediabile. Certo l’atteggiamento di Berlusconi è quello di Eduardo in Napoli milionaria: “addà passà ‘a nuttata”. Se la nuova strategia fallisse; se le opposizioni piuttosto forti (e credo prevalenti al Pentagono) riuscissero a “rivoltare la frittata”, se soprattutto Putin ridiventasse Presidente della Russia, certamente alcune carte del gioco cambierebbero; ma non tutte e non è detto che siano sufficienti a riportare in auge il vecchio possibile “asse”. Ne dubito, vedendo che ormai la Gazprom si sta abituando all’idea di mollare gradualmente l’Eni e trattare in modo privilegiato con la Germania, afferrando il cambiamento dei rapporti di forza ormai irreversibile in Europa. Una nuova politica di maggiore autonomia deve quindi, semmai, ripensare tutti i termini della questione.

 

4. In ogni caso, per tornare al nostro momento di difficoltà (e di menzogna dilagante), questo premier non conta un bel nulla: continua a dire che l’intervento in Libia non lo voleva, ma che non poteva ritirarsi. Nemmeno la manovra finanziaria gli piaceva, ma comunque era giocoforza vararla e adesso anticiparne i pesanti effetti (per i ceti medi e medio-bassi) al 2013. Fra poco, non vorrà nemmeno “la patrimoniale”, avrà il “cuore esulcerato” da essa, ma sarà obbligato a metterla. Quindi non serve più a nulla, sta solo coprendo la sua ritirata e sostituzione (salvo cambiamenti improvvisi e imprevisti del vento internazionale), favorendo così i felloni industrial-finanziari e i loro sicari bipartisan (con netta prevalenza nel “centrosinistra”). Intanto, i felloni ammanniscono il battage necessario per spaventare, per evitare di commettere l’errore del ’92-’93, che portò milioni di elettori a votare per l’imprevisto “accidente storico” piuttosto che andare con i rinnegati del piciismo (considerati ancora comunisti, altro inganno che ci ha penalizzato per vent’anni).

Adesso si deve fare tutto bene. Crisi finanziarie, spread crescente tra titoli italiani e quelli tedeschi, default rischiato dagli Usa, ora declassati da quelle società di cui tutti ricordano che non hanno capito nulla della crisi iniziata nel 2008, dell’imminente fallimento della Lehman e nemmeno delle nostre Parmalat e Cirio. Invece di spernacchiarle, continuano ad ascoltarle per diffondere il clima di una Caporetto ormai prossima e inevitabile. Che cosa può quindi fare l’Italia se non ridurre il debito? Certo, questo ha cause lontane, ma chi ha memoria per ricordarle? Intanto la popolazione “versi l’oro alla Patria” e poi si vedrà. E voglio aggiungere che, con Mussolini, vi fu una costrizione psicologica, un essere guardati male se non lo si faceva, ma non si fu obbligati per legge a “salvare la Patria”. Questi scarafaggi, incapaci di avere un minimo di carisma, anzi coperti di disprezzo da chiunque lavori con serietà in questo paese (e si tratta della maggioranza), pestano e spolpano senza ritegno, demandando a “tempi migliori” (quali e quando? Quelli dell’“anno del mai”) l’affrontare le cause; e non quelle socio-politiche di fondo, no, semmai quelle di piccolo momento, magari la “fannullaggine” avversata da un ministro, di cui solo i “razzisti” di sinistra irridono la statura mentre è semplicemente una nullità politica.

Prepariamoci intanto al salasso, senza che nulla venga risolto, salvo forse avere un ancor più ignobile governo di sedicente salvezza nazionale, composto da tutti i peggiori furfanti che abbiamo visto scatenarsi negli ultimi vent’anni; formato soprattutto da quelli che sono i fiduciari degli ambienti statunitensi più accaniti contro la nostra indipendenza: dal Clinton del ’92 (e di “mani pulite” coadiuvata dal ben manovrato Buscetta, membro di una mafia che ha sempre aiutato gli Usa, fin dallo sbarco in Sicilia, e per la base a Comiso e per l’eliminazione di Mattei, ecc.) fino allo “zio Tom” dei tempi odierni, che ha tentato di segnare con un assassinio (vero o inventato?) la chiusura della stagione della lotta “al terrorismo”, quella quindi proiettata verso l’est-Asia, per tornare alla politica che condusse all’aggressione alla Serbia, cioè alla politica di rinsaldamento della presa sull’Europa (anche stringendo il cerchio dal nord Africa al Medio Oriente; ma attuando compromessi con settori islamici, del resto già provati proprio per aggredire la Serbia!) onde impedire un qualsiasi ritorno di una Russia forte sulla scena mondiale nel medio periodo prossimo venturo. Una Russia che rischierebbe di rimettere in moto velleità di ostpolitik. La Russia dei Primakov e dei Putin, non quella dei Medvedev, che sarebbe meno indigesta per la nuova strategia Usa.

Intanto noi dobbiamo pagarne le spese. Poi si vedrà. Si vergognino i mentitori – compresi i giornalisti che disinformano sbandando sia “a destra” come “a sinistra” – nel raccontarci le quotidiane vicende dei sommovimenti finanziari e della necessità di pagare “perché siamo tutti sulla stessa barca”. Siete ritardati o semplicemente ben pagati per vendere bugie o almeno per dirottare i discorsi verso il fasullo, l’inessenziale, che è perdita di memoria di quanto realmente accaduto? Credete di salvarvi così la coscienza? No, cari, diventate complici. Chi ha capito esca allo scoperto.