METTERE FINE ALL’IMMIGRAZIONE INCONTROLLATA

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Il problema dell’immigrazione lo si risolve con uno Stato forte, consapevole del suo ruolo sulla scena internazionale, libero di decidere delle sue sorti e di scegliersi una collocazione autonoma nel multipolarismo in atto. Gli aspetti culturali sono secondari e, comunque, discendono dalla problematica sovranista. Xenofobi e integrazionisti hanno ugualmente torto e le loro posizioni, apparentemente agli antipodi, sono in solidarietà antitetico-polare. Producono cioè i medesimi effetti nefasti benché di specie diversa. Gli intolleranti credono che basti chiudere le frontiere e respingere chiunque ai confini per eliminare le criticità. I tolleranti pensano che sia sufficiente affratellarsi coi nuovi venuti per espandere la comunità e trarne dei vantaggi. E’ una pura diatriba ideologica, priva di sbocchi razionali, che contribuisce ad alimentare la disgregazione dei tessuti sociali, rendendoli o troppo rigidi (e incapaci di adattarsi ai cambiamenti demografici e politici) o eccessivamente permeabili (spezzando troppo fretta i precedenti legami collettivi). Innanzitutto, i flussi di profughi sono la conseguenza di conflitti regionali che si moltiplicano per il venir meno di un centro regolatore a livello mondiale. A questo incipiente squilibrio, conseguenza di dinamiche oggettive innescate dal processo storico, non corrisponde un equilibro delle forze in competizione. Equilibrio che, in ogni caso, non è l’anticamera di una pace duratura ma la base per lanciare ulteriori sfide geopolitiche che non siano perse in partenza. Dunque, aumentano i competitori potenziali dell’unipolarismo statunitense ma nessuno è ancora veramente in grado di fronteggiare direttamente gli Usa. Quest’ultimi, in crisi di potenza, sebbene ancora in relativo vantaggio sugli avversari, percorrono la strada delle guerre per procura, nei ventri molli del planisfero che sfuggono vieppiù alla loro egemonia, per impedire che altri possano avvantaggiarsi delle circostanze. In questo senso, la questione migratoria diventa un’arma di ricatto dei predominanti americani contro i paesi antagonisti (i quali vengono coinvolti e trascinati sui campi di battaglia che produrranno orde di disperati in fuga) ma, più ancora, verso le formazioni subdominanti a loro affini, le quali possono essere tentate di mettere in discussione gli assetti delle vecchia alleanza o persino di slegarsi dalla originaria area di influenza, in virtù della percezione di queste difficoltà del polo attrattore. Questo è il fulcro della questione. Infatti, chi non è sottoposto agli Usa o non è legato ad essi da patti militari stringenti ha tanti altri grattacapi ma non quello della gestione degli immigrati che non diventa mai una vera e propria emergenza, come invece succede nei nostri contesti occidentali. Insomma, cambiando qualcosa nella nostra politica internazionale anche il profilo di questo allarme sociale potrà essere semplificato. Restando immobilizzati sulle vicissitudini culturali del politicamente corretto e del rozzamente scorretto porteremo le complicazioni contingenti a trasformarsi in drammi di civiltà che non sono quasi mai disinnescabili o sono districabili a prezzi altissimi per lo Stato e la società. Purtroppo, anche analisti intelligenti sono caduti malamente in questa trappola ideologica che si traveste da tema morale, culturale o economico. Per esempio, Lucio Caracciolo il quale su Limes scrive che il rimescolamento identitario è ormai inevitabile perché non possiamo tornare al passato nazista delle persecuzioni e non possiamo cedere alla tentazione presente di innalzare chilometri di filo spinato tra ricchi e disperati. Poi ci sarebbe la solita scusante (un’aggravante illogica in presenza di eccessiva disoccupazione autoctona) di preservare Welfare e sistema pensionistico con iniezioni di giovani lavoratori stranieri. Balle economicistiche. E’ proprio rassegnandosi al caos umano del rimescolamento, come lo chiama lui, e a quello geopolitico da esportazione del bene, come lo chiamano gli Usa, anziché smarcarsene rapidamente, che si rischia di ripetere tragiche vicissitudini di tempi addietro. I finti buonisti dell’accoglienza scriteriata, irragionevole e inevitabile sono quelli che spalancheranno nuovamente le porte dell’inferno in nome dell’umanitarismo e della civiltà e per conto di Washington. Cambiando prospettiva geopolitica e storica ci eviteremo queste sofferenze anche se ci esporremo ad altri rischi. E’ il prezzo da pagare per essere indipendenti.