Saakashvili rivince di g.rèpaci

 

Mikheil Saakashvili, l’uomo di Washington, è stato riconfermato alla carica di Presidente della Georgia nelle discusse elezioni del 5 gennaio. Secondo dati ufficiali della Commissione Elettorale Centrale, Saakashvili avrebbe ottenuto il 53,47% dei voti, seguito da Levan Gachechiladze con il 25,69%, con una significativa caratteristica: Misha ha raccolto ben pochi voti nei distretti elettorali della capitale, dove la dura repressione delle proteste di piazza ha dunque lasciato qualche scoria, oltre a una profonda insoddisfazione per l’operato del governo, mentre ha fatto il pieno nelle province periferiche. Nonostante Saakhasvili abbia salutato il risultato con grande clamore, e lanciato segnali distensivi sia verso l’opposizione, sia verso il grande vicino russo, rimangono molte misteri legati al voto, peraltro confermati dal rapporto Osce. È ritenuta frettolosa l’archiviazione di alcune proteste dell’opposizione, anche se secondo il Ministero degli esteri georgiano sono ridotte solo all’1% dei seggi. Questa precisazione può essere intesa come una implicita ammissione di colpa, e se non si parla di brogli, quantomeno si ha a che fare con una certa fragilità nella procedura elettorale. Una spallata alle ambizioni filo-ocidentali dei georgiani c’è dunque stata con queste elezioni che, caso raro nello spazio post-sovietico, non erano dal risultato annunciato. E qualcosa si è incrinato nella luna di miele fra la Georgia e l’occidente negli ultimi mesi, mentre sembrano essere incoraggianti i segnali di distensione con la Russia, almeno a vedere il ministro degli esteri russo Lavrov presente alla cerimonia di investitura del presidente. La strada della transizione è ancora lunga e deve passare dal parlamento, non dalle piazze.

Saakhasvili è stato costretto a indire nuove elezioni dopo aver dichiarato lo stato d’emergenza nel paese a inizio novembre, non essendo stato in grado di gestire l’opposizione di piazza, che era iniziata a settembre con il pretesto della chiusura di un’emittente privata, Imedi TV, contraria al governo. Anche se il canale televisivo ha ripreso le trasmissioni ed è stato una piattaforma molto parziale del candidato-businessman Patarkacishvili, la sostanza del problema rimane la stessa. La piazza non è la causa, bensì l’effetto delle scelte politiche dei governanti, e i malumori manifestati in quei giorni hanno radici che affondano più lontano. Saakhasvili dovrà cambiare il modo di gestire il paese, perché il tempo della modernizzazione/occidentalizzazione a tutti i costi è arrivato al capolinea. Servono riforme sociali, e la società deve essere coinvolta in questo processo, deve sentire i benefici di un benessere che finora è stato appannaggio di pochi. Gli slogan populistici si sono susseguiti durante la campagna elettorale, e le promesse vanno tutte nella stessa direzione: calmare un crescente risentimento dovuto nato dal disappunto per i mancati obiettivi raggiunti, nonostante l’entusiasmo e le promesse.

Arrivato al potere con la prima delle rivoluzioni colorate nello spazio post-sovietico, la Rivoluzione delle Rose, Saakhasvili ha cavalcato il malcontento popolare verso il governo Shevarnadze, del quale anch’egli aveva fatto parte, e ha cercato in tutti i modi di liberare la Georgia dal giogo indiretto di Mosca, pilotando il paese verso l’occidente, inteso come Nato e Ue. Non ha trovato un fronte compatto ad accoglierlo, come in realtà auspicava, se non altro per l’interesse strumentale che gli Usa hanno dimostrato, ed è rimasto intrappolato nel suo schema di continue accuse al Cremlino, colpevole in quest’ultimo caso di architettare un putsch nei suoi confronti. L’ingerenza russa negli affari georgiani è innegabile, e spazia dal supporto logistico ai separatisti di Abchazia e Ossezia del sud, al blocco commerciale di un anno fa, fino alle improvvise impennate dei prezzi del gas. Tuttavia, se è possibile che una mano russa possa essere dietro le recenti manifestazioni di piazza, peraltro represse con pugno duro dalla polizia georgiana, la fragilità del sistema politico non dipende solo dalle intrusioni di Mosca, ma anche da alcune basi di argilla sulle quali Saakhasvili ha costruito il consenso internazionale, ma non quello interno. Il grande partner americano è lontano e l’ingresso nell’organizzazione militare nord-atlantica un rischio troppo alto che né Europa, né Usa sono pronti a correre. L’Ue, poi, fa orecchie da mercante con l’Ucraina, ormai un paese confinante, figurarsi con la Georgia contesa fra Usa e Russia: forse il silenzio è la scelta migliore, almeno per ora, per non creare false illusioni, come accadde proprio con Kiev. Inoltre, quel che è ancor più grave, la fragilità territoriale georgiana crea un problema ulteriore: le due province dell’Abchazia e dell’Ossezia del sud, che chiedono l’indipendenza e hanno preso parte alle elezioni parlamentari russe del dicembre scorso, non permettono al governo centrale di preservare l’unità territoriale necessaria per consolidare le istituzioni domestiche e il controllo sulla nazione.

Le proteste di settembre, dunque, hanno portato alla luce problemi endogeni che la Georgia di Saakhasvili è costretta ad affrontare senza l’appoggio (incondizionato) degli occidentali. Le migliaia di persone scese a manifestare contro il presidente hanno riportato la politica georgiana al centro della politica internazionale. Misha però deve trovare soluzioni interne e giocare la partita fra le mura di casa, come in realtà sta facendo. Dietro slogan e vessilli che accusavano il governo di corruzione, i manifestanti hanno anche invocato il nome di Irkaly Okruashvili, diventato leader dell’opposizione dopo essere stato revocato dall’incarico di ministro della difesa un anno fa. Le sue accuse, lanciate dopo aver fondato il Movimento per una Georgia Unita, hanno chiamato in causa direttamente il presidente, che secondo Okruashivili lo avrebbe incaricato di assassinare il tycoon Patarkacishvili, imprenditore che ha fatto fortuna nella Russia di Eltsin fino ad accumulare una ricchezza superiore al budget georgiano stesso. Imedi TV, come era prevedibile, ha cavalcato la protesta. Com’è prassi in gran parte dello spazio post-sovietico quando si ha a che fare con gli oppositori, Okruashvili è stato poi arrestato, costretto ad auto-incolparsi, e rilasciato. La sua presa di posizione è stata l’ultima in ordine di tempo, perché le defezioni degli alleati di Saakhasvili sono state numerose nell’ultimo anno. La mano pesante per reprimere le proteste ha fatto salire la tensione fino alla dichiarazione di uno stato d’emergenza per quindici giorni e l’imposizione di un limite alla libertà di stampa, mosse che hanno imbarazzato anche i sostenitori occidentali. Come qualche analista ha suggerito, Saakhasvili ha “putinizzato” la Georgia, e anche qualcuno in occidente se ne è accorto. Il sostegno incondizionato è solo un ricordo ormai vecchio, adesso non rimane che provare a portare davvero il paese verso un’indipendenza e una stabilità di fatto.