TEORIA E NULLA PIU’

gianfranco

Questo è il terzo paragrafo di un articolo complicato che sto scrivendo; e nemmeno so se lo finirò (farò il possibile) proprio perché s’incontrano difficoltà non facilmente risolvibili. In ogni caso, ho voglia di trattare di questioni che so avere poca udienza. Sono in questo momento stufo dei soliti argomenti. Per una volta mi diletto in arzigogoli che sappiano annoiare i più. Aggiungo soltanto che scrivo realtà e reale, ecc. senza virgolette per indicare quello che a mio avviso è il vero reale. Uso le virgolette quando scrivo di ciò che normalmente si è convinti sia la realtà, mentre io credo sia costruita tramite certe modalità del nostro pensiero.

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3. Abbiamo già per sommi capi indicato nel primo paragrafo come si giunge alla formulazione di una teoria, pur magari partendo inizialmente da una rappresentazione più immediata e a volte perfino intuitiva. In ogni caso, sia tale rappresentazione in genere assai semplice e grezza, sia la teoria assai meglio elaborata, giungono a fissare quello che potremmo definire un campo di stabilità. In definitiva, si costruisce una porzione della “realtà”, il cui movimento, implicante mutamento, è pensato sulla base del supposto modificarsi spaziale di date variabili, elementi strutturanti quel campo secondo una “legge scoperta” mediante l’osservazione della “realtà” stessa con l’uso di mezzi quali sono i nostri sensi, potenziati via via da strumenti sempre più complessi e raffinati.

Se seguiamo con l’occhio una pallina che rotola su una superficie piana, crediamo di osservare un movimento continuo; in realtà, la stessa nostra vista lo dispiega cinematicamente sia pure per istanti di durata piccolissima e della cui separatezza, dall’uno all’altro, non ci accorgiamo. Anche con i nostri sensi quindi, non meno che con il nostro pensiero, non cogliamo la realtà nel suo flusso continuo, bensì la “realtà” così come l’abbiamo stabilizzata, pur nel suo movimento e modificazione, per i nostri scopi pratici. Pensate un po’ quando si tenta di ricostruire, tramite più testimonianze, il succedersi dei vari fenomeni verificatisi durante un incidente automobilistico. Non dico che queste testimonianze siano sempre contrastanti (spesso lo sono), ma come minimo ben diversificate fra loro. Questo avviene per ogni evento della nostra vita. Noi vediamo, udiamo, ecc. secondo una cinematica, cioè per minimi istanti di ogni dato evento osservato posti in successione; è quindi facile che l’evento presenti differenze da individuo a individuo e da momento in momento.

Figuriamoci quando facciamo intervenire il pensiero di tipo teorico che, come già detto, compie riflessioni di primo, secondo, terzo, ecc. ordine per avvicinarci a quella che crediamo essere una sempre più approssimata riproduzione del reale mentre è invece, quando va bene, una sua costruzione “realistica”. E quando possiamo dire che lo è? Quando tale costruzione (di quello che ho definito campo di stabilità utile alla nostra pratica) ci fa conseguire, e per un determinato periodo di tempo (più o meno lungo), qualche successo. Certamente, quando interpretiamo un dato fatto storico, può sembrare assurdo parlare di successo. Il passato è ormai passato. Tuttavia, la sua interpretazione serve in definitiva nel presente per indirizzare certi ordini di pensiero, che conducono a pratiche varie. Se oggi ritengo che vada rivista quanto meno la storia degli ultimi due secoli (e in particolare quella del ‘900) è perché avverto una sensazione di definitivo fallimento di date valutazioni storiche, che ci indirizzano – sempre a mio avviso – assai male per il futuro.

Ho parlato di campo di stabilità – pur se di questo viene supposto un movimento specifico – poiché si tratta del modo di assegnare un ordine (in genere strutturato in base ad una serie di variabili fra loro interrelate) a quella sezione del reale da noi sottoposto ad attenzione. Tale ordine appare più o meno precisamente delineato a seconda del linguaggio usato per esporlo. Spesso si usa il più povero, quello matematico, perché allora la precisione diventa massima. Quello più ricco credo sia affidato all’arte e letteratura. Sono qui possibili svariate interpretazioni; e non si giunge mai, mi sembra, ad essere esaustivi. E’ giusto che sia così, perché una qualsiasi forma di linguaggio non ha la continuità del reale vero, tende sempre a ridurlo ad una serie di elementi che lo strutturano, pur se in forme che sembrano a volte del tutto fluide e mutevoli, ma non certamente come lo è quell’effettivo reale fra l’altro privo di forma.

Nemmeno ci accorgiamo di essere immersi in, o come minimo di stare galleggiando su, un flusso che scorre caoticamente senza struttura alcuna. La nostra intelligenza – non diversamente da quella, assai differente e di tipo elementare, degli animali – ci pone subito nella condizione di crederci in equilibrio pur nelle condizioni di movimento lungo percorsi, che l’uomo suppone conoscibili e prevedibili tramite le costruzioni (le teorie appunto) del suo pensiero. Solo a tratti si è “svegliati” dal “sonno razionale”, viene così avvertito lo squilibrio e l’invecchiamento irrimediabile delle teorie o dei nostri convincimenti più elementari; resta, però, la certezza di poter giungere a nuove stabilizzazioni con una certa definitezza, fino al prossimo “risveglio” più o meno brusco o invece lentamente progressivo.

In ogni caso, tuttavia, anche quando il flusso caotico e non strutturato ci destabilizza e si crea tutt’intorno a noi il massimo di confusione, non si è in grado di conoscerlo nella sua realtà che ha andamento continuo. Alcuni sono convinti di sapersi immergere in esso e di seguirlo nel suo effettivo andamento, appunto continuo. Non sono per nulla convinto che sia così; secondo me non ci si rende conto che la presunta immersione cosciente è una reazione più immediata allo stimolo del reale, una reazione che avviene in tempi ancora più infinitesimali che per altri individui (di tradizione culturale e modo di vivere, ecc. assai differenti). Noi però, come tutti gli esseri animati, reagiamo sempre per momenti successivi e inseguendo, a volte inconsapevolmente, il tentativo della stabilità persino nella rapidissima successione delle nostre reazioni; anche quando, insomma, siamo sicuri di stare adattandoci allo squilibrio continuo.

Prendiamo ancora ad esempio la realtà automobilistica. Al guidatore si presenta improvvisamente un ostacolo e l’urto è imminente. Guai se si mettesse in moto il pensiero razionale dei due, tre, ecc. ordini di riflessione per ricostruire quanto sta accadendo; occorre invece la cosiddetta prontezza di riflessi, cioè la reazione immediata e che sembra precedere ogni pensiero. Dubito che avvenga questo; immagino che ci sia un solo ordine di riflessione, velocissimo, di temporalità in(de)finitamente piccola, in cui si tenta di stabilire quel campo di stabilità contro cui si rischia di andare a sbattere; è questo oggetto – cioè una porzione di “realtà” costruita in un istante con tutta la sua strutturazione, vista dai nostri occhi cinematicamente e non nel continuo – che si cerca di evitare. E il successo o insuccesso della reazione non dipende solo dal tempo che si ha a disposizione per essa, ma anche da come, in un solo ordine di riflessione (e così breve), si è riusciti a costruire quel campo di stabilità strutturato, che è l’oggetto visto all’improvviso. Se si sbatte contro di esso, si è convinti di non avere avuto sufficiente prontezza di riflessi. Credo che ci sia anche questo, ma non soltanto; penso pure ad una cattiva costruzione del campo di stabilità strutturato rappresentativo dell’oggetto in questione.