CHI PARLA DI NAZISMO FINANZIARIO (E DI GERMANIA SFRUTTATRICE D’EUROPA) NON HA CAPITO NIENTE

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Tutti quelli che continuano a blaterare di dominio tedesco in Europa dovrebbero studiare attentamente l’ultimo numero di Limes, dedicato proprio a questo Paese e ai suoi rapporti con gli Usa. Sono questioni che noi di ConflittieStrategie segnaliamo da anni, sempre inascoltati perché vanno di moda le versioni semplicistiche, alimentate da intellettualucci da strapazzo o da esperti del piffero, sovrabbondanti nei media, che attribuiscono al “nazismo finanziario tedesco” le responsabilità del declino europeo.
I ferventi germanofobi, col tiro al tedesco, coprono le spalle agli Stati Uniti, veri carnefici del Vecchio Continente e di altre aree strategiche. Ma l’errore commesso da questi narratori di sciocchezze un tanto al chilo è doppio. Non solo viene additato, come causa della crisi politica europea, l’egoismo economico di un Paese che, al pari degli altri (e forse anche di più), viene guardato a vista da Washington e sconta pesanti ingerenze nei suoi affari, sino ai livelli più profondi dei suoi apparati di Stato, ma, ancor peggio, costoro individuano nella deriva finanziaria del modello occidentale il fulcro di tutti i mali del mondo. Questo è solo un altro modo per obnubilare i reali rapporti di forza a livello mondiale che discendono dalla supremazia americana in ogni campo. E’ più comodo parlare di mostro senza testa e senza patria, lobbies del denaro semidelinquenziali deterritorializzate, piuttosto che rivelare il nucleo politico-militare da cui si diramano le catene che tengono imprigionati i vari contesti nazionali.
I tedeschi, o meglio i governi berlinesi, hanno il torto di essersi messi a disposizione della Casa Bianca, come dipendenti principali del carrozzone unitario, anziché provare a guidare l’Europa verso la sua indispensabile autonomia. Ma questa sudditanza è caratteristica precipua anche di altri esecutivi che, al contrario della Germania, nemmeno tentano il necessario recupero di sovranità. In Europa esiste unicamente una concorrenza autolesionistica tra servi, per compiacere il padrone d’oltreatlantico, priva di qualsiasi aspirazione indipendentistica.
Di Limes, di cui parlavo poc’anzi, segnalo in particolari gli articoli di Caracciolo, Fabbri, Mini, Mainoldi e l’intervista, sempre di Fabbri, a G. Friedman. Il quadro che ne emerge è ancora quello di una Germania occupata dagli americani, con basi e strutture d’intelligence che vincolano i movimenti e rendono la sua sicurezza strategica dipendente dagli interessi Usa. Gli autori riportano di Generali teutonici che rispondono a Washington prima che ai loro referenti politici e di agenti crucchi direttamente agli ordini dei colleghi americani. Lo ricorda Fabbri: “Come capitato nel 2003, quando il servizio federale di informazioni (Bundesnachrichtendienst, BND) contribuì fattivamente all’invasione dell’Iraq che pure il cancelliere Schröder aveva osteggiato”. Sembra che i tedeschi siano messi persino peggio degli italiani, benché tentino, contrariamente a noi, di sottrarsi a questa stretta dipendenza per definire un proprio orizzonte d’influenza geopolitica. Come afferma Caracciolo: “La posta in gioco, per Washington, era e resta impedire l’emergere in Eurasia di una concentrazione di potere capace di contendere agli Usa il primato planetario”. Un simile risultato è ottenibile esclusivamente con un’alleanza europea, capeggiata da Berlino, che guardi finalmente ad est, verso la Russia. Gli americani si sono preparati a questa evenienza. Se la Germania dovesse concretamente smottare verso Mosca hanno pronta la contromossa, o meglio l’atto di guerra. Così descrive Mini il possibile scenario, che parte dagli ultimi eventi, effettivamente accaduti, e si protende verso avvenimenti immaginari ma molto verosimili (forse nel giro di 5-10 anni, con la realtà che supererà la fantasia, e non già nel 2018 come “fantastica” il Generale):

 

“…A partire dal maggio 2017 gli Stati Uniti accelerarono la sostituzione degli ordigni e lo spiegamento di F35 in Europa. Germania e Belgio erano fuori dallo sharing e gli altri paesi non avevano ancora gli F35 a doppia capacità. Francia e Regno Unito si opposero alla condivisione e gli Stati Uniti fecero sapere che ormai la difesa nucleare in Europa poggiava soltanto sulle loro spalle. Tuttavia si ritennero impossibilitati a impiegare le armi nucleari in Europa per i limiti imposti dal Trattato di non-proliferazione. Soltanto lo stato di guerra avrebbe consentito di superare tali limiti e l’amministrazione Trump dichiarò che non era propria intenzione aprire un confitto con la Russia.
Tuttavia, la Nato poteva aggirare anche questo apparente ostacolo e anzi serviva proprio a questo. Secondo l’articolo 5 del Trattato un attacco a un paese membro era considerato un attacco a tutta l’Alleanza. Bastava soltanto che l’attacco ci fosse o, meglio, che lo si credesse per creare lo stato di difesa collettiva e consentire la guerra.
Così le cosiddette esercitazioni Nato in Polonia e nei paesi baltici cominciarono a presentare problemi. Si verificarono due sconfinamenti di aerei americani in Estonia e uno russo in Polonia. La campagna della minaccia russa montò in tutta la Nato e gli Stati Uniti iniziarono a incrementare le proprie forze in Germania. Ci furono alcune proteste locali subito attribuite a formazioni neonaziste o a pacifisti ignoranti. Il Pentagono annunciò il «rafforzamento» dei rapporti di amicizia con la Germania riprendendo le esercitazioni Reforger. Proprio durante il periodo elettorale tedesco (settembre) furono rischierati in Germania 18 mila uomini e altre decine di migliaia erano in afflusso. Fu ricostituito il V corpo d’armata e
la 4 a divisione meccanizzata Usa fu dislocata nell’area di Francoforte sul Meno.
Alle truppe tedesche furono richieste «esercitazioni» nell’area dell’ex Germania orientale al confine con la Polonia che il Trattato di Mosca del 1990 aveva designato come area libera da forze esterne. Poi furono richieste dimostrazioni di forza congiunte con le unità polacche, ceche e slovacche ai confini con l’Ucraina.
In Germania non si capì subito la situazione che si stava determinando. Soltanto verso l’ottobre 2017 i tedeschi si resero conto che mentre le unità statunitensi affluivano in Germania e non si spostavano né in Polonia né nei Paesi baltici, quelle poche tedesche sotto comando nazionale e relativamente efficienti erano all’estero. Montarono ovviamente le proteste popolari in tutta la Germania. La cancelliera Merkel appena rieletta si rivolse alla Nato e il segretario generale Stoltenberg la rassicurò sulle intenzioni americane: se le unità affluite di recente (che ormai avevano fatto aumentare le forze americane a 120 mila uomini solo in Germania) non raggiungevano prontamente le zone di rischieramento previste in
Polonia e nelle repubbliche baltiche era a causa della «limitata capacità di trasporto tedesca». Stoltenberg invitò la Germania a incrementare i trasporti, ma allo stesso tempo scoraggiò il richiamo in patria delle forze tedesche. La tensione in Europa, disse, era molto alta e le fonti d’intelligence americane avevano individuato movimenti di truppe russe ai confini con la Bielorussia. La cancelliera, per nulla rassicurata, tentò un approccio diretto con gli americani e volò a Washington. Il 12 dicembre 2017 incontrò Trump e la dichiarazione congiunta fu di preoccupazione ma di rinnovo della grande intesa fra i due paesi. Tornata in patria, la cancelliera fu accolta da un parlamento freddissimo e da una piazza popolare incandescente. Le dimostrazioni in Germania contro i movimenti di truppe ai confini ucraini erano diventate violente e a esse si erano unite le analoghe dimostrazioni in Slovacchia e nella Repubblica Ceca.
La Russia sembrava inattiva, ma i comandanti delle Forze armate e lo stesso Putin alimentarono una campagna di propaganda antiamericana e denunciarono le ormai palesi e quotidiane violazioni del Trattato di Mosca. La delegazione russa alla Nato rientrò in patria rilasciando un comunicato di fuoco che denunciava il «piano efferato americano che per non coinvolgere il proprio continente in un confronto nucleare diretto sta costringendo i singoli paesi della Nato e in particolare Polonia, Estonia, Lettonia, Lituania e la stessa Germania a creare le condizioni di guerra con la Russia in modo da far scattare l’articolo 5 del Trattato Nato e l’annullamento del Trattato di non-proliferazione nucleare». Quest’ultima osservazione riacutizzò il dilemma nucleare tedesco facendo spostare l’attenzione dei parlamentari tedeschi e delle opposizioni di piazza sui siti di stoccaggio di ordigni nucleari in tutta Europa.
La Germania si trovava completamente dipendente dall’ombrello nucleare americano e nel contempo ospitava sul proprio territorio il maggior numero di militari americani al mondo. Tutto questo la qualificava come l’obiettivo più probabile di un attacco preventivo russo in Europa. Per evitarlo, in parlamento fu
avanzata l’ipotesi di uscire dalla Nato. Questa eventualità fu subito accolta dagli Stati Uniti come un affronto e dalla Nato come un tradimento. La popolazione tedesca la considerò invece come l’unica via d’uscita da una situazione di triplo ricatto: dalla minaccia russa, dalla morsa americana e dalla strategia della Nato ormai controllata dagli Stati antirussi e antieuropei. La base di Ramstein e il sito di Büchel furono circondati da dimostranti contrastati duramente sia dalle forze di polizia tedesca sia poi, in un caso di penetrazione, dai militari americani. Dimostrazioni analoghe si svolsero in Belgio con una pericolosa intrusione nel sito di Kleine Brogel. Altre dimostrazioni si ebbero in Italia, a Ghedi e in Sicilia. Gli Stati
Uniti e i vertici della Nato denunciarono la minaccia alla sicurezza dei loro siti e richiamarono la Germania al rispetto degli accordi bilaterali e dei trattati internazionali. L’amministrazione Usa aggiunse il solito aut aut trumpiano: «O ci pensate voi o ci pensiamo noi». L’effetto su tutto il governo e sulla popolazione fu esatta-
mente l’opposto di quello sperato. I tedeschi si convinsero che l’uscita dalla Nato era l’unica soluzione. E alla fine di febbraio 2018, la proposta fu presentata in Consiglio atlantico con l’invito agli altri paesi membri di seguirla.
Fu allora che iniziò una drammatica serie di attentati alle strutture e alle forze americane in Germania. A Berlino saltò un pub frequentato dai soldati americani. A Francoforte fu distrutto un convoglio ferroviario con materiali americani. Ad Amburgo s’incendiò un cargo di contractors. Nelle dimostrazioni di piazza aumentarono le presenze di gruppi neonazisti. Le emittenti radiotelevisive statunitensi in Germania attribuirono la responsabilità degli episodi a infiltrazioni russe e Washington accusò il governo tedesco di collusione. Le indagini della polizia tedesca sugli episodi violenti ormai diventati giornalieri portarono invece a individuare responsabilità degli stessi americani e di strutture tedesche a essi collegate. La popolazione era frastornata e la politica sospettosa. La cancelliera Merkel rivelò al parlamento che il rapporto FWD aveva in effetti messo in evidenza l’eventualità di una operazione statunitense in Germania e nella Nato del tipo Northwood, proposta dai militari nel 1962 per giustifcare la guerra e l’occupazione di Cuba. In particolare, l’operazione in Germania avrebbe dovuto comprendere sia attività terroristiche sia azioni coperte false fag contro le forze americane da attribuire alla Russia e alla Germania. La Northwood fu rigettata da un presidente cauto e lungimirante come Kennedy, disse la cancelliera, «oggi la leadership militare ha assunto atteggiamenti identici a quelli del 1962 ma l’America non ha un
presidente cauto o lungimirante». In una drammatica seduta del parlamento tedesco, l’8 maggio 2018 (anniversario della resa incondizionata delle Forze armate del Terzo Reich nel 1945), la cancelliera parafrasò parti del discorso di Hitler al Reichstag dell’11 dicembre 1941. Elencò tutti gli episodi di violazione americane, le provocazioni e l’arroganza nella considerazione delle esigenze di sicurezza della Germania e dell’intera Europa. Denunciò la connivenza di paesi cosiddetti alleati nelle provocazioni. Elencò tutte le iniziative tedesche per la costruzione europea e per la formazione di un esercito europeo. Enumerò costi e sacrifici tedeschi nel mantenimento delle forze alleate sul proprio territorio «anche quando la minaccia sovietica era scomparsa, credendo che ciò dovesse essere un contributo volontario e cosciente di un paese sovrano e non il debito permanente di una nazione debellata e sottomessa». Fra i continui applausi dei parlamentari, la cancelliera concluse con la frase che sarebbe diventata famosa e che avrebbe
procurato reazioni drammatiche da parte americana, ma che avrebbe unito il popolo tedesco sotto una nuova idea di sovranità, indipendenza e coscienza umana:
«L’11 dicembre 1941 un elenco di violazioni americane nei confronti della Germania portò alla formale dichiarazione di guerra del Terzo Reich agli Stati Uniti d’America. L’elenco di violazioni americane e dei contributi tedeschi alla sicurezza europea di oggi inducono invece a una formale dichiarazione di pace. Costi quel che costi, la Germania non si presterà alla guerra e cercherà più che mai la pace in Europa invitando gli altri paesi del continente a considerare che la pace non può provenire né dalla Russia né dalla Nato né dagli Stati Uniti di oggi». Com’era prevedibile la «dichiarazione di pace» fu presa per una dichiarazione di guerra e la Germania fu accusata di essersi proposta come leader di una nuova identità europea. Nessuno Stato europeo raccolse l’appello. Dopo due giorni di imbarazzati commenti e di veementi accuse da parte degli americani, la Germania richiamò in patria le truppe schierate in Polonia, Repubblica Ceca ed Estonia. Alcuni
generali tedeschi si dissero preoccupati di queste decisioni, ma furono subito dimissionati. L’elenco dei generali che per decenni avevano anteposto gli interessi americani a quelli tedeschi comparve su tutti i giornali.
Domenica 13 maggio 2018 un sommergibile russo in emersione davanti a Kaliningrad fu colpito da raffiche di cannone a cinque canne da 25 mm sparate da una coppia di F35 statunitensi e costretto all’immersione. I velivoli stealth (invisibili) erano sfuggiti ai radar del sommergibile e della difesa aerea russa e presi dall’entusiasmo si diressero verso la base navale sede del comando della Flotta russa del Baltico. Anche questa volta sfuggirono ai radar dei sistemi automatizzati contraerei, ma non sfuggirono agli occhi degli addetti alle vecchie postazioni contraeree che, al secondo beffardo passaggio, ne abbatterono uno. Gli americani s’indignarono, chiesero spiegazioni e fu loro risposto che siccome erano invisibili «non li avevano visti». Il Pentagono non colse l’ironia e il giorno dopo rispose con una salva di missili sulla base lanciati da un sommergibile nucleare schierato nel Baltico. La Russia avvertì la Lituania che una colonna di rinforzi diretti a Kaliningrad ne avrebbe attraversato il territorio. La Nato indusse la Lituania a negare il transito. Le truppe russe ignorarono il divieto e le colonne corazzate passarono lentamente per un paio di giorni protette da nugoli di elicotteri e cacciabombardieri che, a causa della lentezza dei convogli, così dissero, «dovevano» compiere lunghi giri su Vilnius. Sulla tangenziale sud della città i russi dislocarono distaccamenti di forze speciali ufficialmente per «dirigere il traffico». Tanto bastò per far tornare la memoria ai lituani. Il comando Nato Force Integration Units di Vilnius, creato per facilitare l’accesso di truppe Nato in Lituania, si mise in licenza.
Intanto in Germania le basi militari e gli accasermamenti delle forze americane e inglesi furono posti sotto sorveglianza dalla polizia tedesca per «proteggerli da attentati», ossia per controllarli. Le comunicazioni militari Usa furono sottoposte a radiodisturbi e il governo federale dichiarò la mobilitazione di 100 mila riservisti in tutto il paese. La misura non fu contestata da nessun tedesco, nemmeno dai pacifisti, che anzi svolsero un ruolo di fiancheggiamento della politica governativa creando presidi permanenti attorno a tutte le principali basi americane e inglesi.
Gli Stati Uniti s’irrigidirono ulteriormente, ma persero completamente la testa quando il Regno Unito annunciò l’anticipo alla fine di luglio del ritiro delle proprie forze dalla Germania previsto per il 2019. Le truppe americane assunsero il controllo di Berlino. I comandi militari tedeschi furono tagliati fuori da qualsiasi comunicazione. Nei principali Länder del Centro-Nord s’insediarono commissioni di controllo della sicurezza americane. Droni e pattugliatori aerei ed elicotteri iniziarono un servizio di sorveglianza continuo su molte città. I porti di Amburgo, Brema e Lubecca furono bloccati al traffico commerciale. Il comando navale di Rostock fu oscurato da attacchi di hacker e jammer satellitari. Le basi navali di Wilhelmshaven e Kiel furono bloccate e tutte le componenti tedesche destinate al supporto della fotta in Olanda, negli Stati Uniti e in altri Stati furono dichiarate «sospese» dai rispettivi paesi. Negli ultimi giorni di settembre, la mobilitazione militare e popolare in Germania crebbe ulteriormente trovando il sostegno anche esterno nei paesi nordici, nella stessa Francia e perfino in Gran Bretagna. I tedeschi non si rassegnavano e i maggiori partiti, oltre a decine di altre formazioni, sostennero la formazione di un movimento di resistenza nazionale.
Oggi 3 ottobre, anniversario della riunificazione del 1990 e festa nazionale mai veramente sentita dai tedeschi, la Nato è a pezzi, ma la presa statunitense non si è allentata. La Germania è definita il nuovo impero del Male e viene accusata di essere in combutta con la Russia. Di fatto, la Germania è di nuovo sotto occupazione militare. A Berlino dalle finestre del Marriott in ogni direzione da IngeBeisheim-Platz si vedono mezzi e velivoli militari di presidio e di pattuglia. Il traffco è inesistente, la gente non esce dalle case, come se sapesse cosa sta per succedere. La filodiffusione dell’albergo trasmette un valzer lento, un po’ triste.
L’incubo del decennio 1945-55 è tornato e, come allora, la Germania è sola. La differenza è che si trova in queste condizioni alla vigilia e non alla fine di una guerra devastante che comunque la vedrà come prima vittima dello scontro che si sta facendo sempre più globale, totale, finale. La Germania ha solo una conso-
lazione: in questa occasione ha trovato la vera unità e sovranità che le avevano fatto credere di avere acquisito nel 1990. Una consolazione importante anche per l’esempio di dignità dato al resto dell’Europa, ma piuttosto magra, perché forse domani la Germania, l’Europa e il mondo non ci saranno più. A meno che…”