Elezioni tedesche, lezioni europee

il ratto d'europa

 

Anche nel Paese più prospero d’Europa cresce un certo malcontento. Parliamo della Germania felix degli ultimi anni che, rispetto agli altri membri della zona europea, ha fatto sicuramente meglio in molti settori, anche se non a livelli sorprendenti. Semmai, questi sono tali paragonandoli alla decrescita italiana che i nostri istituti statistici rovesciano in fantomatica ripresina, interpretando i numeri a tutto vantaggio della classe politica.
E’ la sicurezza il problema più sentito dai tedeschi che quanto meglio stanno economicamente tanto più non vogliono essere esposti a rischi inutili, a causa di scelte superficiali del loro governo.
Le scriteriate politiche sull’immigrazione della Merkel non tranquillizzano la società tedesca. Per punire la cancelliera, una parte dell’elettorato, piuttosto emotivamente, si è rivolta all’unico partito che ha saputo cavalcare le sue ansie. Ovviamente, benché l’Afd, si collochi all’estrema destra non ha niente a che vedere con il nazismo, fenomeno politico che deve considerarsi definitivamente esaurito. In Germania come altrove.
Semmai, sventolare lo spauracchio dei fanatismi del passato, preparando il terreno a faziosità ben più pericolose, è funzionale alla lettura consolatrice (o sconsolante) di chi ha perso voti e a quella dei loro corrispondenti europei che proprio non vogliono saperne di cambiare direzione di marcia. Poiché i flussi migratori incontrollati sono il risultato degli interventi americani in alcune aree calde del pianeta, bloccarli significherebbe mettersi contro Washington. L’Europa è succube degli Usa e non è in grado di elaborare politiche all’altezza delle sue potenzialità, in una fase in cui si salva solo chi può o vuole farlo, potenziando lo Stato e i suoi apparati. E’ vero che con Trump alla Casa Bianca dovrebbero verificarsi mutamenti anche nella configurazione delle élite europee, affinché se ne affermino di più ricettive alle parole d’ordine e alle iniziative del nuovo corso americano, ma, attualmente, il Presidente Usa non è riuscito a stabilizzare la sua situazione in Patria e resta ancora sotto attacco del precedente establishment democratico, quello dal quale i drappelli subdominanti europei continuano a prendere ordini. Questo bailamme sta generando attriti in tutta l’area atlantica e di queste contraddizioni bisognerebbe approfittarne, hic et nunc, per iniziare a ragionare con la propria testa fino a sganciarsi da vecchie alleanze ormai deleterie, rompendo gli schemi geopolitici . Di sicuro non è un compito assolvibile dagli attuali governanti europei che sono di una pasta putrefatta e servile, completamente succube all’impero americano.
Bisogna però anche smettere di nutrire speranze nei piccoli partiti che, ogni tanto, riescono a collocarsi nei parlamenti, con agende politiche apparentemente antisistemiche, trascinati dai malumori generali. Sono soggetti troppo deboli politicamente (ed idealisticamente) per rovesciare i destini delle singole nazioni e quelli del Continente. La stessa scelta della via democratica è già un segnale di cedimento. Difatti, solitamente, la spinta rivoluzionaria con la quale questi neofiti conducono la campagna elettorale, infiammando le praterie, si spegne dopo la distribuzione dei seggi e l’ingresso nelle Camere della rappresentanza legislativa. Il sistema democratico ha proprio questa funzione di neutralizzazione delle forze antagonistiche per la protezione dello statu quo, ricorrendo a regole e rituali precisi in cui tutti devono restare invischiati. In Parlamento si entra incendiari e si diventa pompieri. L’AfD ne sta già facendo le spese (in Italia lo abbiamo riscontrato con i grillini che dovevano rivoltare le aule come calzini ed, invece, sono finiti a tessere reti di relazioni per conservare le sedie), da quanto riporta Il Giornale: “La storica ex leader Frauke Petry ha annunciato questa mattina in conferenza stampa che non si unirà al gruppo parlamentare eletto al Bundestag per la formazione populista ed anti-europea. La sua scelta, spiega, è arrivata “dopo una lunga riflessione”, attaccando il copresidente Alexander Gauland, accusato di fare “retorica che gli elettori civili non considerano costruttiva”: il riferimento è alle parole pronunciate da Gauland subito dopo l’annuncio dei primi risultati nella giornata di ieri, quando il leader dell’Afd aveva promesso di “dare la caccia alla Merkel”.” Mi sembra chiaro che, al di là delle dichiarazioni della Petry, dietro ci sia solo l’ennesima lotta per interessi personali, quelli preferiti dai poteri costituiti per corrompere gli individui e i concorrenti, assicurandosi la continuità. Sotto la cenere della storia sta covando qualcosa di grosso ma ancora non si vede (nel senso di avanguardia politica) chi potrà addomesticare il fuoco per bruciacchiare i laidi che ci sgovernano.