I piani americani

gianfranco

Questo è l’editoriale dell’ultimo “Le Monde diplomatique”. Che mi sembra abbastanza sensato. Gli USA, con la nuova presidenza, intendono riprendere l’egemonia mondiale. I democratici hanno accusato ripetutamente Trump di essere quasi “alleato” di Putin e di essere invece estremamente “acceso” contro la Cina (con cui, secondo l’accusa dei repubblicani, uno dei figli di Biden ha fatto molti affari). In realtà, la nuova presidenza statunitense vorrà riprendere un’avversità totale nei confronti delle sedicenti “autocrazie” russa e cinese per riaffermare con maggior forza la predominanza globale della tanto decantata “democrazia” americana, che ha portato nel mondo, da quando gli USA sono nati (e come sono nati!!), la “libertà” con i più grandi massacri che la storia ricordi; e con una continua serie di colpi di Stato e di assassinii di avversari politici. I nazisti possono essere considerati dei dilettanti (allo sbaraglio) rispetto ai “serial killers” che sempre hanno diretto gli USA.
Per ottenere la nuova ondata di repressioni in ogni dove, gli USA chiamano a raccolta le “democrazie” per unirsi al loro progetto. Cioè eserciteranno sempre maggiori pressioni e chiederanno maggiore servilismo ai putrescenti paesi “occidentali”, in particolare a quelli europei. E l’Italia – sia con i malfattori che governano che con le sordide opposizioni – è fra i paesi più putridi e servi. Non credo che gli USA – in chiaro anche se ancor lento declino e malgrado la loro ancora superiore potenza militare – riusciranno nel loro intento. Si accentueranno i contrasti interni malgrado la comune aspirazione di democratici e repubblicani a riprendere una supremazia mondiale. Una “Forza Nuova”, ancor oggi da creare integralmente, dovrà allentare sempre più i legami “atlantici” e avvicinarsi proprio a Russia e Cina (secondo me ben più alla prima che alla seconda). E senza alcuna preferenza per l’organizzazione sociale e la direzione politica di quei due paesi. Semplicemente perché in questo momento – soltanto una fase storica specifica, non una millenaria e inconsistente aspirazione al “bene comune” e alla “giusta società” – il compito principale e decisivo è l’accentuazione del multipolarismo e del contrasto tra potenze.
La Russia attuale – malgrado gli sconvolgimenti del 1989-91 – è nata dalla “Rivoluzione d’ottobre”, che mai avrebbe visto la luce senza la prima guerra mondiale, cioè l’esplosione aperta del confronto tra potenze. E la nascita della Cina è frutto del secondo e più decisivo scontro tra le solite potenze con l’aggiunta di quella nata dal decisivo evento del 1917. Basta con gli imbecilli e i ritardati (anche mentali), che credono ad una “rivoluzione sociale” mondiale. Si riparta finalmente da dove sempre sono partite le grandi svolte storiche!
I ceti oggi dominanti nei nostri degenerati paesi, ormai in piena decadenza e degrado culturale e di civiltà, saranno spinti a sopravvivere con grandi operazioni criminali quali già furono le due guerre mondiali. Da lì dovrà ripartire la svolta del “rinnovamento globale”. Che non sarà mai per i secoli dei secoli. Ma potrebbe ben essere per una lunga nuova epoca di rinascita sociale (e anche di civiltà). Sempre con la consapevolezza che gli ideali umani – quelli ancorati a questo mondo terreno imperfetto – si trasformeranno alla fine in ideologie vanamente aspiranti a compiti “eterni” e quindi di nuovo in piena decadenza. E ci penseranno i nostri discendenti fra qualche altro secolo. Adesso addosso a questi vermi che stanno impestando e disfacendo il nostro mondo attuale!

Qui sera le prochain ennemi ?
PAR SERGE HALIMI
LA carte de vœux de M. Anders Fogh Rasmussen n’a pas attendu la Saint-Sylvestre. L’ancien secrétaire général de l’Organisation du traité de l’Atlantique nord (OTAN) a résumé ainsi la mission que celle-ci devrait remplir, selon lui, sitôt que M. Donald Trump aura quitté la Maison Blanche : « En 2021, les États-Unis et leurs alliés auront une occasion qui ne se présente qu’une fois par génération. Celle d’inverser le repli global des démocraties face aux autocraties comme la Russie et la Chine. Mais il faudra pour cela que les démocraties principales s’unissent (1). » Ce qu’ont fait nombre d’entre elles, il y a une génération, justement, en envahissant l’Afghanistan, puis l’Irak. Il est donc temps de s’attaquer à des adversaires plus puissants…
Mais par lequel commencer ? Puisque Washington entend assurer le « leadership » de la croisade démocratique — « L’Amérique est de retour, prête à diriger le monde », a proclamé M. Joseph Biden le 24 novembre 2020 —, les pays satellites feraient bien de comprendre que les Américains ne s’accordent plus sur l’identité de leur adversaire principal. Leurs raisons ont peu à voir avec la géopolitique mondiale, et tout avec leurs déchirements internes. Pour les démocrates, l’ennemi est d’abord russe, puisque, depuis quatre ans, les dirigeants de ce parti ont répété, à l’instar de Mme Nancy Pelosi, présidente de la Chambre des représentants, qu’« avec Trump tous les chemins mènent à Poutine ». Côté républicain, dans le registre d’« un prêté pour un rendu » qui évoque les bousculades d’école maternelle, le slogan « Beijing Biden » tient lieu de réplique. Car le second fils du nouveau président, M. Hunter Biden, a fait des affaires en Chine ; et la mondialisation, imputée aux démocrates, a fait les affaires de la Chine. CQFD.
Le 10 décembre dernier, le secrétaire d’État Michael Pompeo s’est donc appliqué à creuser le fossé existant entre les deux pays. Invoquant, sans rire, son souci du respect de la vie privée, celui qui fut aussi directeur de la Central Intelligence Agency (CIA) a d’abord alerté le monde : « Xi Jinping a l’œil sur chacun d’entre nous. » Puis il s’est attaqué tour à tour aux 400 000 étudiants chinois envoyés aux États-Unis chaque année, dont une partie viendrait voler des secrets industriels et scientifiques ; aux universités américaines elles-mêmes, « très nombreuses à avoir été achetées par Pékin » ; enfin, aux produits de la société Huawei, dont chaque utilisateur se placerait « entre les mains de l’appareil de sécurité chinois » (2). Voilà le refrain que les républicains vont opposer à M. Biden. Il relaiera les quatre ans de paranoïa antirusse alimentée par les démocrates contre M. Trump. Mer de Chine, Taïwan, sort des Ouïgours, Hongkong : tout sera prétexte à tester la détermination antichinoise de la nouvelle administration.
M. Rasmussen a vu clair au moins sur un point : « Une file d’alliés inquiets attendent le président élu Joe Biden devant sa porte. » Mais, en demeurant dans une alliance que dirige une puissance mentalement ébranlée, ils ne vont pas recouvrer de sitôt leur tranquillité.
SERGE HALIMILa