I polli di Renzo, le galline di Obama

La riunione del Consiglio Europeo di mercoledì 26, con annesso siparietto da avanspettacolo riservato ai risolini delle due prime maschere, Merkel e Sarkozy e alla letterina di buone intenzioni del nostro Ronzinante, rappresenta una vera e propria cartina di tornasole rivelatrice dello stato, penoso, di questa appendice di continente; il dramma si sta consumando e risolvendo, ormai, in una trama farsesca.

La caratteristica ricorrente di questo genere teatrale consiste, solitamente, nella scarsa consapevolezza della situazione da parte dei protagonisti apparenti e nella presenza di un giudice-tessitore il più delle volte in ombra.

Il nostro Ronzinante, dismessa la veste del quadrupedestre lanciato in gloria contro i mulini a vento, pare tramutato non in un mulo da fatica con il suo residuo quarto di nobiltà, bensì in un ciuco destinato a sorbirsi, senza sussulti apparenti, ogni sorta di legnate e di angherie pur di garantirsi qualche attimo in più di sopravvivenza, ormai a stretto servizio e controllo dei fustigatori ma schiavo del terrore per un futuro ancora più cupo.

L’unico sollievo che pare concedersi è il suo reiterato “ve l’avevo detto” a rimarcare il dissenso verso i suoi propri stessi atti; una recriminazione con un fondo amaro di nobiltà sulle labbra di Cassandra, condannata all’esilio e alla solitudine dalla propria comunità; con un pieno di meschinità in bocca ad un capo politico, responsabile della condizione di un paese e abbarbicato sempre e comunque alla posizione; meschinità volta, per altro, a trattenere in qualche maniera il consenso della parte più scettica del proprio elettorato.

È probabile che tanto stoicismo e tanta complicità derivino, probabilmente, dalla speranza recondita di poter uscire di scena con un nuovo capo-carovana meno infido che non si chiami più Barak Obama e che non assuma le vesti di Hillary Clinton nel dubbio atroce che l’ultima cinica, gaudiosa sentenza di costei non fosse riferita al solo defunto “amico” Gheddafi, ma fosse anche il presagio a quelli prossimi a cadere in repentina disgrazia.

Tutto sommato si tratta di tener duro ancora un anno; quale beffarda soddisfazione sarebbe, per il nostro, coronare la sopportazione di anni di frollatura della propria carne e, soprattutto, di quella viva di gran parte del gregge al seguito con un raglio di saluto al capocarovana destituito proprio un attimo prima del momento della propria macellazione e della spartizione ineguale dei quarti tra i commensali!

Alla possibile salvezza dell’Uno nazionale corrisponderà, necessariamente e comunque, la prosecuzione di legnate e tosatura fuori stagione del gregge.

Al ruolo del Ronzinante-mutante-in-ciuco corrisponde una seconda figura: il Miles Gloriosus Sarkozy il quale, sull’orlo di un declassamento prossimo a venire, ama sfoggiare una divisa dalle troppe stellette non corrispondente al posto effettivo meritato nella gerarchia del corteo e, per il momento, eluso solo perché ostinatamente abbarbicato, con relativo sorriso di circostanza, al braccio della terza figura: la Ciambellana Angela, al momento la reale incaricata dal Sovrano.

Questi ultimi due meriterebbero altrettanta attenzione del primo; ne soffrirebbe, però, l’economia dell’articolo.

Noi del blog, del resto, abbiamo più volte ribadito che il ruolo delle singole personalità, nelle vicende politiche, è importante; è, però, un fattore di accelerazione, di deviazione o di freno solo in quanto parte di contesti e dinamiche di gruppi e apparati; su questi ultimi e sulle loro relazioni puntiamo maggiormente l’attenzione.

È indubbio che l’evento della settimana scorsa, comprese le miserie personali, offra parecchi spunti di analisi e di interpretazione sia dal punto di vista del ruolo della Comunità Europea che, al suo interno, dell’Italia.

Analisi ed interpretazioni ancora del tutto inadeguate e strumentali da parte della stampa nazionale, in particolare dei due pilastri del Corriere e del Sole24ore.

Come di abitudine da parte di chi, in prima fila il Corriere, ama nascondere la testa ed eludere l’aspetto centrale delle questioni, si sceglie l’avversario più adatto con il quale ingaggiare la tenzone a prescindere dalle reali forze in campo; così, il quotidiano nazionale attribuisce ai complottisti la funzione di alter ego le cui tesi manichee tendono a ridurre le dinamiche e gli eventi direttamente alla volontà e alle decisioni pianificate di singoli o, al massimo, di piccole élites, entrambe avulse e onnipotenti rispetto all’autonomia operativa e logica dei vari ambiti dell’attività umana in società (politica, ideologica, economica, ect).

La critica agli interlocutori di comodo si risolve, quindi, nella riaffermazione della forza e della virtù naturali di leggi e regole, prime su tutte quelle dell’economia, autonome in ogni ambito sociale il rispetto della indipendenza delle quali è condizione necessaria e ottimale per il funzionamento virtuoso della società.

Da questa visione di mondi che procedono paralleli e che dovrebbero, tuttalpiù, sfiorarsi in punti predeterminati, nasce la schizofrenia interpretativa propria di una fase di radicali rivolgimenti, dove l’azione politica, in particolare strategica, appare con tutta evidenza nel suo ruolo fondamentale di per sé e in ogni ambito, compreso quello economico, ma con ancora una debolezza endemica nella motivazione e forza ideologica delle scelte.

Per tornare alle miserie di casa nostra e dei nostri vicini, il Consiglio Europeo, di fatto Germania e Francia, ha individuato correttamente nell’Italia l’anello debole in grado di far deflagrare il fragile sistema finanziario e, conseguentemente, il sistema politico europeo; ha invitato, con modi irriverenti ed offensivi, irrituali nei paludati ambienti diplomatici, il Governo ad attuare con certezza specifici ed ulteriori provvedimenti tesi a tranquillizzare i mercati. L’avvallo della stampa nazionale e, per quello che conta, del centrosinistra a queste tesi è stato pressoché totale. Berlusconi, a suo modo e a scapito degli interessi nazionali, ha saputo, con la letterina prenatalizia, confezionare una polpettina avvelenata ai suoi avversari italici, neutralizzare momentaneamente il rozzo attacco personale dei due leaders europei e procrastinare la sopravvivenza del Governo probabilmente sino a fine legislatura o, quantomeno, a dettarne, sotto il patrocinio di Napolitano, tempi e modi di caduta. Non che ai suoi sedicenti avversari sia dispiaciuto particolarmente rinunciare al ribaltone oppure a nuove elezioni.

Solo una parte significativa del PD, incapace di illuminarsi di luce propria e ormai diviso più che altro secondo la lettura del quotidiano di preferenza, alcuni la Repubblica di Mauro e Scalfari, altri il Corriere di Alesina e Giavazzi, continua ad illudersi e disperarsi sulla possibilità di un colpo di mano che porti a quelle elezioni necessarie a ricompattare il “fronte a prescindere” antiberlusconiano e a impedire il riavvicinamento di Casini al PDL senza Berlusconi.

Il Cavaliere, con quella lettera scritta sotto dettatura nelle componenti programmatiche, ma di suo pugno nei toni e nei contenuti riguardanti il rispetto formale delle prerogative sovrane e la condizione comune di crisi dei vari stati europei, in qualche modo ha recuperato una parvenza di orgoglio nazionale e dettato i tempi di azione e i contenuti programmatici di un qualsiasi governo dei prossimi anni.

La valenza di quel documento, però, non va assolutamente sottovalutata. Dal punto di vista dei destini personali può essere il tentativo di procrastinare la sopravvivenza; non credo, però che questa sia la motivazione fondamentale dello stesso Berlusconi.

Dal punto di vista del paese è una agenda che detta i tempi di ulteriore asservimento e dei corrispondenti attacchi, compresi quelli speculativi che si susseguiranno nei mesi e negli anni a venire contro l’Italia e progressivamente contro gli altri grandi paesi europei.

I contenuti programmatici non presentano particolari novità rispetto alle finanziarie varate in questo anno; ma la determinazione nel perseguirli si accentuerà e con essi lo scompaginamento dei blocchi sociali che tengono in piedi il paese in queste condizioni.

Le fibrillazioni sempre più nervose e parossistiche presenti nelle realtà associate sono un sintomo evidente dei movimenti in corso, ancora carsici ma in procinto di affiorare.

  • Confindustria, in particolare l’attuale gruppo dirigente, da quasi un anno ha scelto la strada di uno scontro frontale con il Governo reclamando a gran voce, di fatto, il rigoroso rispetto delle compatibilità decise nella Comunità Europea; le privatizzazioni e dismissioni generalizzate che, confortate da preliminari e adeguati aumenti tariffari, per le aziende ed i servizi di grandi dimensioni serviranno a distruggere la forza e autonomia residua delle imprese nazionali a favore delle imprese straniere, per quelli piccoli e medi contribuiranno a garantire ai gruppi nostrani rendite e profitti necessari a procrastinare l’esistenza; un patto concertativo fondato sul sacrificio dei pensionati in cambio della salvaguardia momentanea della condizione occupazionale del pubblico impiego; un piano di investimenti e di riorganizzazione della macchina statale tese a rendere competitive le imprese nel mercato, in realtà secondo regole e strategie decise da altri più potenti. In realtà Confindustria sta riflettendo l’ulteriore pesante declino della capacità egemonica trainante della grande impresa nella stessa categoria esattamente corrispondente al suo declino nella competizione strategica e all’asservimento ulteriore del paese, o per meglio dire delle sue singole parti, alle forze dominanti. Una delle conseguenze più evidenti è la progressiva tentazione degli strati intermedi dell’imprenditoria di rifugiarsi nell’illusione del “fare da soli”; nella politica, quindi, dell’occupazione degli interstizi lasciati liberi dalle forze dominanti piuttosto che nel tentativo di formazione di un gruppo dirigente politico strategico in grado di ricostruire un paese sovrano e autonomo.
  • La Chiesa Cattolica e le associazioni da essa ispirate, da un lato hanno dismesso ogni parvenza di autonomia rispetto alle strategie imperiali di Obama, dall’altro è impegnata fortemente nella salvaguardia della enorme struttura assistenziale e ideologica-formativa. Il recente seminario di Todi e la precedente prolusione di Bagnasco rivelano tutta la loro preoccupazione e la loro rivendicazione della funzione di mantenimento della coesione sociale, della sopravvivenza, quindi, degli apparati assistenziali, di servizio e formativi detenuti. Con l’aria che tira, si sa bene a favore di chi si risolverà l’antitesi tra conservazione delle strutture assistenziali e fornitura di servizi alla persona.

È la struttura chiesastica stessa, specie quella vescovile più legata alla struttura sociale, che più chiaramente si sta ponendo il problema della formazione di un nuovo gruppo dirigente; ma è la struttura che se dovesse prevalere, cosa attualmente improbabile, segnerebbe la fine di ogni velleità sovranista. Basterebbe osservare la composizione delle varie associazioni per trarre le debite conclusioni

  • Singole figure, Montezemolo e Della Valle in prima fila, diretta espressione di gruppi particolari direttamente connessi a lobby internazionali oppure tecnocrati cosmopoliti ed europeisti da mercato libero, ma dalla scarsa capacità di presa politica.

 

Quella lettera è l’enunciazione di programmi e riforme trite e ritrite da anni, alcune condivisibili come quelle riguardanti la riorganizzazione e la semplificazione delle amministrazioni e delle procedure; altre illusorie come il piano di investimenti in infrastrutture, necessarie solo a determinate condizioni, tanto è vero che la Grecia stessa, ad esempio, si è dissanguata anche per la costruzione inutile di infrastrutture logistiche e strade che di per sé avrebbero dovuto innescare lo sviluppo economico; altre ancora decisamente negative come le liberalizzazioni e dismissioni generalizzate e le privatizzazioni indiscriminate che, nella logica conflittuale corporativa che sta prendendo piede, si risolveranno nella difesa delle prerogative corporative delle categorie più parassitarie e potenti e nella liquidazione e/o integrazione subordinata delle attività e imprese strategiche residue.

L’assoluto silenzio e la evidente connivenza con cui si sta liquidando una parte consistente di ENI, parti fondamentali di Finmeccanica, come Fincantieri nella cantieristica navale e Ansaldo Treni nel trasporto ferroviario e si sta integrando in maniera del tutto subordinata alle esigenze americane la componente strategico-militare della attività della stessa Finmeccanica, con la conseguente perdita di commesse e influenza nei paesi potenzialmente alternativi al predominio statunitense lasciano intuire quale sia il livello di asservimento della quasi totalità del gruppo dirigente del paese e quale sia il pericolo di dispersione di un patrimonio tecnologico e professionale costruito in decenni.

In assenza di alternative è, comunque, un disegno in grado di raccogliere un consenso sufficiente a gestire in qualche maniera il paese; le stesse oscillazioni che si registrano nei cosiddetti ceti intermedi, compresi quelli produttivi, lasciano intravedere, purtroppo, questa eventualità.

 

La teoria complottistica tesa a ricondurre le disgrazie del 99% della popolazione nella sua componente movimentista e quelle di un paese, nella fattispecie l’Italia, nella componente nazionalista reazionaria e cialtrona, in realtà, è perfettamente speculare e subordinata alle teorie cosmopolite di aperto asservimento, proprio perché negano il fondamento reale dei problemi sollevati e si rifugiano in un populismo deleterio teso a formare blocchi sociali eterogenei, nel migliore dei casi innocui e sterili e sorprendenti solidarietà e destini comuni tra finanzieri impegnati nel riconoscimento dei diritti e nella spoliazione di paesi e indignati con o senza stipendio fisso.

Quello della gestione della spesa pubblica e delle normative che regolano, incentivano, finanziano le attività, l’assistenza, i servizi, oltre alle funzioni fondamentali dello stato, è un problema che riguarda tutta la società indirettamente e buona parte di essa, cioè milioni e milioni di persone, direttamente; la loro trattazione comporta il cambiamento di status di milioni di persone.

Indennità di disoccupazione che spaziano dal 80 al 30% del salario, sino alla totale assenza di riconoscimento per la gran parte dei disoccupati; pensioni simili che sono riconosciute a prescindere dagli anni di anzianità, altre contributive inferiori addirittura ai 500 euro previsti da quelle sociali, contributi di assistenza personalizzati sono strumenti formidabili di formazione e scomposizione di blocchi sociali; con ciò si sta parlando del solo aspetto redistributivo.

Lo stesso trattamento normativo di queste voci, la natura e l’entità del prelievo fiscale, del rapporto di lavoro, contribuiscono o meno alla formazione di economie solide o precarie a seconda della loro corrispondenza con i livelli di produttività ed efficienza delle attività, comprese il loro carattere strategico.

Se si passa a quello normativo e di regolazione, a un livello ancora più raffinato, con esse si consente la formazione efficiente o parassitaria di intere categorie professionali. Ad un livello ancora superiore, le varie forme di incentivazione, finanziamento e ricerca contribuiscono ad orientare le attività di interi settori imprenditoriali e manageriali. Per non parlare poi delle funzioni coercitive, di orientamento e ideologiche dello stato, veri e propri luoghi di condensazione e scontro di gruppi di potere, della loro mediazione con i blocchi sociali e di collegamento con i gruppi di altri paesi.

Puntare ad un paese in grado di resistere ai tentativi di asservimento significa agire in questi ambiti con la capacità di spostare e concentrare risorse e motivare persone in determinati settori e ambiti piuttosto che in altri. Significa la formazione o la trasformazione di élites in grado di gestirle e di organizzazioni, da quelle sindacali a quelle funzionali e informali, in grado di coagulare le forze necessarie. L’esatto contrario di quello che sono attualmente sindacati e formazioni professionali e di quello che rappresenta attualmente la quasi totalità del ceto politico.

Da qui la schizofrenia già citata dei formatori di opinione pubblica i quali parlano giustapponendo le virtù del mercato, alle aggressioni militari umanitarie e alle diffidenze sulle richieste di liberalizzazione quando sono poste dalla Cina e dalla Russia in cambio del finanziamento del debito europeo e all’accondiscendenza totale e masochistica quando sono poste da Stati Uniti o da paesi satelliti essenziali come la Corea del Sud; lo stesso quando omettono di collegare la crisi della grande industria meccanica ed elettronica italiana alla svolta in politica estera maturata due anni fa.

Ogni tanto qualche barlume di realtà appare, spesso dagli ambienti più insospettabili.

Sul Sole24ore si assiste, così, tre mesi fa alla cronaca della cialtroneria dei ribelli in Libia e dell’arroganza dell’intervento umanitario dell’alleanza occidentale; ieri, sabato 29, lo stesso quotidiano si chiede come mai il parziale default della Grecia debba essere pagato dalle banche europee, escludendo le banche americane titolari dei contratti di assicurazione, comprese quelle che hanno contribuito a taroccare i bilanci pubblici; come mai la decisione sulla liquidazione spetti ad un comitato di quindici banche, dieci delle quali emettono i CDS e alcune delle altre cinque hanno partecipazione in una di quelle dieci; come mai ad essere penalizzate nella ricostituzione dei fondi debbano essere le banche italiane esposte nel debito pubblico nazionale ma con pochi titoli spazzatura e non le banche francesi e tedesche esposte per oltre 80% in derivati e titoli spazzatura e per centinaia di volte nelle esposizioni creditizie a privati rispetto ai capitali disponibili.

Quello che conta, in realtà, è la forza e il livello di autonomia e di difesa di un paese, la sua capacità di giostrare in condizioni così mutevoli, piuttosto che l’accondiscendenza remissiva così amorevolmente prescritta dai benpensanti nostrani.

Tant’è che già due giorni dopo la letterina, i tassi sul debito sono saliti al 6% i quali in aggiunta agli ulteriori 35 miliardi annui di ulteriori provvedimenti prescritti all’Italia, secondo il documento finale del Consiglio Europeo, si risolveranno in un ulteriore drenaggio di risorse a favore di paesi esteri e ceti parassitari piuttosto che di settori utili all’incremento di potenza, efficienza ed equità del paese.

L’abilità sarà quella di mantenere il più possibile in bilico la situazione e proseguire nel drenaggio; la reale prospettiva sarà quella di una stagnazione e di un aggravamento della posizione debitoria.

Una condizione simile a quella vissuta dal paese a partire dal XVI secolo. Allora occorsero quasi tre secoli per dilapidare il patrimonio accumulato in due secoli di commerci e manifatture; oggi tutto si potrebbe risolvere in pochissimi decenni.

La polemica verso l’Italia è servita a esibire un capro espiatorio e a mascherare le pesanti contraddizioni presenti tra gli altri tre principali paesi d’Europa, in particolare tra Francia e Germania. Le banche francesi saranno quelle più colpite dal parziale default greco, concordato con la Comunità Europea, ma di entità minore rispetto a quanto ufficializzato e insufficiente ad impedire la recessione in quel paese; le banche saranno ricapitalizzate da risorse europee solo in terza ed ultima istanza; la consistenza del fondo di sicurezza sul debito pubblico sarà triplicato solo con artifici contabili piuttosto che con versamenti effettivi. Esattamente quello su cui si era impuntata la Germania e che aveva cercato di modificare Sarkozy. Ci sono, praticamente, tutte le premesse perché anche la Francia sia coinvolta negli attacchi speculativi.

I veri vincitori appaiono, in realtà, il sistema finanziario e l’amministrazione americani e in parte quella britannica, tanto più che sarà il FMI a supervisionare l’insieme delle operazioni.

Gli incidenti che possano portare ad un tracollo sono probabili e ciò determinerà il mantenimento dell’euro con Germania e in apparenza la Francia, ma solo grazie alla solidità del suo apparato statale e militare, in posizione di leadership per conto degli Stati Uniti e con gli stessi in grado di manovrare tra la pletora dei ventisette stati della Comunità Europea; in alternativa si arriverà ad una zona di influenza della Germania nella MittleEuropa, insufficiente a farle compiere il salto a superpotenza e una area mediterranea a più diretto controllo statunitense con sparizione dell’euro.

La fine della Guerra Fredda, in realtà, ha messo a nudo la vacuità della retorica europeista basata su libero mercato e sentimentalismo privo di un progetto politico e statuale. In sessant’anni manca il minimo accenno di politica estera, una ossatura di esercito europeo, una struttura statale dotata di poteri propri diretti, un sistema minimo di imprese che non sia abbarbicato alle prerogative del proprio stato di appartenenza.

Il collante principale è stato, in realtà, la politica estera degli Stati Uniti.

In Europa comincia a diffondersi l’idea di una ricostruzione della Comunità fondata sugli stati. In particolare, in Francia, la corrente che giudica disastrosa l’attuale gestione dell’euro sino a considerarla generatrice di conflitti sempre meno gestibili e dall’esito traumatico per le future relazioni tra i paesi europei continua a rafforzarsi sino a sostenere il passaggio da una moneta unica ad una moneta comune e l’avvio di una politica di reindustrializzazione fondata anche su misure protezionistiche concordate.

Parlare, a questo punto, di Ronzinante, Miles Gloriosus e Ciambellana significa concedere eccessivo credito ai personaggi; lo stesso microdramma dei polli di Renzo non rende bene l’idea.

L’instabilità caratteriale di galletti e galline in un pollaio rende meglio la situazione laddove il sorriso più convinto e sornione è della gallina che sa di essere spennata per ultima. Finirà con tutti gli onori al posto del tacchino sulla tavola di Obama, il giorno del ringraziamento.