Sul referendum autonomistico

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L’unico risultato che produrrà il referendum per l’autonomia in Veneto e Lombardia è l’indebolimento della segreteria Salvini, a favore di Maroni e Zaia, con conseguente rafforzamento della leadership di Berlusconi all’interno del centro-destra. I governatori leghisti preferiscono mantenere il loro movimento nell’orbita delle vecchie alleanze coltivando il proprio orticello nordista, contro qualsiasi svolta nazionale. Berlusconi, infatti, si è schierato a favore della consultazione non per convinzioni federalistiche ma per convenienze elettorali e politiche. Ovviamente, il Cavaliere predilige trattare con uomini che non aspirano a fargli le scarpe e si accontentano di posticini istituzionali (non disdegnando nemmeno quelli ministeriali a Roma ladrona). Oggi lo ribadisce anche Sallusti nel suo editoriale che Salvini dovrà ridimensionarsi accettando la “ritirata” e l’egemonia di Berlusconi sulla coalizione.

Del resto, basta ascoltare le ragioni di chi sostiene l’autonomismo per rendersi presto conto che si tratta di miseri pretesti per rafforzare il proprio potere locale e null’altro. Costoro sostengono che occorre far fare ai territori incrementando le materie di competenza e lasciando in loco maggiore gettito fiscale. In particolare, Lombardia e Veneto, motori economici della Penisola, così favorite, diventerebbero la locomotiva che trainerebbe anche il centro-sud. In realtà, per quanto alcune regioni siano governate più saggiamente di altre, la devolution ha dimostrato di aver moltiplicato sprechi e inefficienze, nonché il numero di consorterie ristrette che reclamano la loro fetta di torta ad ogni livello. In verità, ciò che manca seriamente a tutto il Belpaese è una dotazione di strateghi politici con una visione meno gretta e particolaristica di quella in auge. I problemi strutturali dell’Italia sono da tempo gli stessi solo che prolungando le varie deficitarietà la situazione va peggiorando. Lombardia e Veneto stanno meglio del resto dell’Italia, pur attraversando ugualmente una fase di crisi, non per merito di Lega, Fi o Pd. Queste regioni hanno saputo svilupparsi negli anni in diversi settori sfruttando il contesto internazionale, la posizione geografica e le caratteristiche socio-culturali. Sono pregi e fortune (di altri momenti, con altre classi politiche) attualmente messi a dura prova dalla congiuntura sfavorevole (un periodo di lunga stagnazione), con insoddisfazione della cittadinanza. Tuttavia, i problemi non si risolveranno con più autonomia e non sarà quest’ultima a far volare la Penisola come dicono i suoi cantori. Inoltre, si verificherebbero a catena altre diatribe territoriali poiché anche le altre regioni avrebbero, ad un certo punto, il diritto di chiedere un uguale trattamento coltivando le medesime false credenze. La Basilicata, serbatoio nazionale, dovrebbe gestire in proprio petrolio e gas? Dove va, infatti, un locomotore senza carburante? La Puglia i proventi del turismo e del suo tessuto di piccole imprese? Ecc. ecc. Sono tutte sciocchezze. L’Italia si salva con un’autentica politica industriale che spinge le imprese ad uscire dal loro guscio e a crescere come giganti multinazionali, perché piccolo non è bello, piccolo è debole. Si salva con uno Stato forte che tutela gli investimenti interni e internazionali di tali industrie e che prepara i mercati globali alle penetrazioni dei campioni nazionali. Si salva proteggendo le aziende strategiche dagli assalti stranieri grazie a politiche estere autonome nel nuovo clima multipolare. Se non si procede in questa direzione le vive attività del Nord, più che trascinare il meridione, si faranno inglobare, in maniera ancillare, nei più ampi e attrezzati processi produttivi della Mitteleuropa, stritolate da una concorrenza spietata senza le protezioni del proprio Stato.

Per cambiare strada dobbiamo sostituire queste élite nazionali e regionali di incompetenza abissale. Questa operazione di palingenesi politica non avverrà con un referendum consultivo ma con una rivoluzione generale che scuota dalle fondamenta Roma e le sue regioni.