BUGIE SU BUGIE E L’IGNORANZA DEGLI “ANTICOMUNISTI”, di GLG

gianfranco

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/napolitano-coniglio-1428048.html

adesso basta anche con le menzogne di questi superficiali e anche ignoranti “destri”. L’unica cosa corretta riferita nell’articolo è che fu certo Napolitano a volere l’approvazione dell’aggressione a Gheddafi e a sostenere che non si poteva non stare con gli alleati della Nato. Questa stabilì soltanto la “no-fly zone” sulla Libia, ma non riuscì a prendere una decisione chiara sul vero e proprio misfatto, compiuto non solo da Sarkozy (come sembra da questo articolo), ma anche dall’Inghilterra. Inoltre, basta anche con il far finta che tutto ciò era una scelta francese; faceva invece parte della nuova strategia obamiana del caos, in cui si cambiava quella bushiana fondata sull’attacco diretto (vedi Afghanistan 2002 e poi l’Irak 2003 con l’ormai più che documentata balla delle armi di distruzione di massa possedute da Saddam, raccontata da Colin Powell all’ONU, mentre l’allora Ministro degli Esteri francese prendeva nettamente le distanze). La strategia obamiana prevedeva invece l’uso di servitori delinquenziali che, come tutti i soggetti di tale tipo, chiedono certamente di godere alcuni vantaggi (e soprattutto, in quell’occasione, di fregare gli interessi italiani in Libia; e non solo). Tutti scordano che, poco prima che i due sicari partissero contro Gheddafi, navi americane nel Mediterraneo spedirono varie decine di missili a distruggere difese aeree e quel po’ di aviazione della Libia.
Ci si scorda poi che l’“affranto” Berlusconi poteva opporsi nettamente a quell’aggressione (mentre il suo Ministro degli Esteri, Frattini, l’appoggiava apertamente) e non limitarsi a quella frase (pur essa scordata da chi ha memoria corta): “sic transit gloria mundi”, con la quale si accettava vergognosamente e vigliaccamente l’infamia, che avrebbe condotto a quell’autentica macellazione del leader libico. Basta anche con la contraddizione in termini: Napolitano “comunista e filoamericano” (anzi: stalinista e filoamericano). Nessun comunista e stalinista era filoamericano. Conoscevo fior di “amendoliani” (i cosiddetti “miglioristi”); non erano già più comunisti perché in via di netta socialdemocratizzazione, criticavano nettamente il regime politico vigente in Urss, ma nel mondo bipolare stavano comunque con quest’ultima e non con gli Usa. Nel 1969 (vicesegreteria del Pci a Berlinguer, che ne divenne segretario nel 1972), il Pci (e non la parte “migliorista”) iniziò trattative segrete e coperte con gli Usa per quel passaggio di campo (di stampo “badogliano”) che poi compì un bel passo avanti con il viaggio (raccontato ridicolmente come “culturale”) di Napolitano negli Usa, iniziato un po’ dopo che Moro (con la sua bella borsa di documenti mai trovati e mai rivelati dalle BR, ampiamente “infiltrate”) era stato rapito. Infine, con il crollo del campo “socialista” (1989) e dell’Urss (1991), si ebbe la svolta decisiva e scoperta del Pci (che aveva ormai iniziato la sua trafila: Pds-Ds-Pd) divenuto il migliore e più infame segugio degli Stati Uniti, partecipando nel 1999 (governo D’Alema) all’aggressione clintoniana alla Serbia di Milosevic, pur esso definito del tutto impropriamente comunista.
Infine la più incredibile manomissione storica di questo demenziale articolo: Togliatti e Mao che avrebbero spinto la riluttante Urss ad invadere l’Ungheria nella ben nota repressione dell’ottobre 1956. Dopo il XX Congresso del Pcus (febbraio 1956), si erano prodotte all’interno dell’Urss forti divisioni, che portarono l’anno successivo allo scontro aperto. In un primo momento, Molotov, Malenkov, Kaganovic e Scepilov (che era stato fino allora kruscioviano, ma che si era accorto dove portasse la sua politica) riuscirono nel Presidium del partito a sconfiggere (e buttare fuori) Kruscev. Questi ribaltò la situazione convocando il CC del partito; e lì vinse espellendo a sua volta i suddetti quattro. Quelle contraddizioni interne spiegano l’atteggiamento sovietico nell’ottobre ’56 in Ungheria; all’inizio reazione incerta e dopo, quando l’insurrezione si precisò anche nei suoi contorni filo-atlantici (altro elemento che gli anticomunisti viscerali e mentitori scordano), repressione durissima. Figuriamoci se Togliatti e Mao potevano condizionare il “centro” del campo “socialista” (cazzata orba!).
Le contraddizioni interne al Pcus continuarono. Ci fu la pagina di storia da me raccontata nella sua “verità” (non come l’hanno alterata gli ignoranti e in malafede storici di tempi grami come quelli dal 1945 in poi), cioè la crisi di Cuba. Accordo fra Kruscev (bisognoso di un gesto forte di fronte alla fronda interna sempre più robusta) e Kennedy per mettere i missili sovietici nell’isola da poco divenuta castrista. Opposizione interna al presidente americano, accordi (segretissimi) saltati, figuraccia krusceviana, ritiro dei missili e infine, nel giugno 1964, il leader sovietico fu spazzato via. E non terminò lì perché, dopo il ventennio brezneviano, venne un altro “Kruscev”, cioè Gorbaciov. E anche qui mi vanto, di fronte a tutti gli ormai “andati” comunisti (e marxisti) che si crogiolavano con la rifondazione della “via al socialismo”, di avere fin dal 1986 (un anno dopo l’insediamento del mediocrissimo nuovo leader sovietico) previsto (non il quando e il come, ma nella sostanza) l’affondamento dell’Urss.
Per quanto riguarda la Cina di Mao, va ricordato che essa entrò già in dissidio (politico, ma anche come conseguenza di quello teorico e ideologico) con l’Urss dopo il XX Congresso del Pcus. Da quel momento, fu l’intero Pcc in contenzioso con l’insieme della direzione sovietica, non con il solo Kruscev; come dimostra il violento scambio di lettere tra i due comitati centrali dei rispettivi partiti nel 1963. In quell’occasione, il Pcc al completo (anche la parte che, dopo la “rivoluzione culturale” del 1966, fu indicata come “linea nera”, diretta da Liu-sciao-ci, o come diavolo si scrive) si contrappose all’intero gruppo dirigente sovietico. Nel 1957, dopo le prime crepe con l’Urss, Mao scrisse il rilevante “Sulle contraddizioni all’interno del popolo”, in cui cominciava a rivedere la tesi dell’incrollabile unità del paese durante la “costruzione del socialismo”. E quel primo “timido” tentativo finì per teorizzare, appunto con la “rivoluzione culturale”, la continuazione della lotta di classe tra borghesia e proletariato nel partito e nello Stato anche dopo la presa del potere comunista, concludendo che in Urss (e negli altri paesi di quell’area) la prima era tornata al potere e lo stesso rischio correva la Cina precisamente con la “linea nera”.
Questa, anche se necessariamente illustrata per brevi cenni, una storia un po’ più vera e complessiva di quella raccontata da certi giornalisti “di destra”, il cui anticomunismo primitivo conduce a scrivere sciocchezze quasi incredibili. Basta così con questo caldo da sfinimento.
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